Il giorno più lungo

Ottobre 2012

Esistono solamente due tipi di persone:
chi concorda con questa affermazione, e chi no

Sulle orme di Re Artù

Ho narrato le sorprese dell'estate milanese per spiegare il concetto di Realtà Esterna. Ma le vere sorprese erano quelle che vivevo ogni giorno, tra il '95 e il '99, quando rimasi fuori dalla Matrice per quasi cinque anni. Credo d'aver percorso almeno mille chilometri in autostop, forse duemila. Quelli in bici non li voglio nemmeno contare, perché al sol pensiero mi torna un inspiegabile formicolio alle chiappe. Ricordo molto più volentieri i mesi senza bicicletta, quando andavo tutti i giorni da Voltabarozzo all'Università a piedi, passeggiando per Padova. Stranamente, solo ora m'accorgo di una curiosa correlazione tra felicità esperita e lentezza del mezzo di trasporto. Viaggiare è un po' come fare all'amore: se hai fretta di arrivare, ti perdi gran parte del divertimento.


Nell'estate del '99, quand'ero a Londra, decisi di fare ciò che non ero riuscito a fare in nove mesi di Erasmus: vedere l'Inghilterra. Da studente è difficile trovare il tempo e i soldi per viaggiare. Così dovetti finire gli esami ed essere di nuovo un senzatetto, per poter visitare la terra d'Albione. In quel momento fui libero di "produrre tempo", viaggiare in autostop e dormire sotto le stelle. Ne approfittai per arrivare fino ad Avalon, pernottando dove capitava, persino all'interno dei cromlech britannici: le pietre azzurre del Galles sono giacigli un po' duri, ma robusti. Non devi mai rifare il letto. Fu un'odissea di fede e magia, sulle orme di Re Artù, passando per Glanstobury, Bath e infine di nuovo Londra. A quel punto, spinto dall'entusiasmo, decisi di affrontare anche il viaggio di ritorno, sempre in autostop. Arrivare a Dover fu un gioco da ragazzi. Dovetti sborsare qualche sterlina per attraversare la manica, ma il più era fatto: ero di nuovo sul continente. L'Italia era a portata di mano. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo clamorosamente.
Stavo attraversando la Francia, a me sconosciuta, senza una mappa e senza sapere il francese. Fu un miracolo se arrivai a sud di Parigi, comunicando a gesti con un camionista. Giungi fino ad un casello autostradale affogato nella campagna francese, dove finalmente mi lavai in una toilette pubblica di lusso, cullato da sinfonie musicali e dal respiro dell'acqua calda.
- Che signori, questi francesi - pensai uscendo dalla toilette, redivivo.
Passarono molte ore e poche vetture: nessuno mi raccolse. All'imbrunire iniziai a deprimermi. Abituato all'efficienza inglese (al massimo un'ora di attesa) sei ore senza un passaggio sembravano un'eternità. Non sapevo dov'ero, né dove dormire. Ma non era (ancora) un problema.

Bivacco di lusso

Per viaggiare in autostop devi immergerti in una realtà dove non esistono problemi ma (ormai dovrebbe essere chiaro) opportunità. La strada è una maestra, tu sei in piedi che ascolti la lezione, qui ed ora. I tuoi nemici sono le aspettative, le speranze, la paura di restare bloccato. I tuoi alleati sono la fede, la serenità e la certezza di andare avanti. Il tramonto, se non sai dove dormire, recupera il suo valore originale, il significato atavico: l'oblio scarlatto, la cerca di un posto da chiamare casa, il lungo corteggiamento di caverne e anfratti.
Così caricai zaino, valigia e borsone e m'incamminai verso il paese più vicino. Dopo qualche chilometro di asfalto grano girasoli giunsi ad un grazioso borgo sconosciuto. Piccolo, tranquillo, senza un'anima in giro. Sembrava un paese fantasma, con le casette bianche sfocate nell'indaco del cielo morente. Lo stomaco brontolava. Entrai in una bottega, che era l'unica porta aperta di tutto il paese. Chiamai a voce alta, senza ottenere risposta. Suonai il campanello, invano. Dietro di me, sugli scaffali, c'era ogni ben di dio. In tasca avevo due lire, che tenevo da parte in caso di emergenza. Nutrirsi, quella sera, non era un'emergenza.
Era un dono.
Presi un pezzo di pane, una lattina di birra e una confezione di affettati, con tutta calma. Non era rubare, ma come diceva mio padre, era cior (prendere). Consumai la prima cena sul suolo francese ai piedi di un campanile di pietra, mentre la notte strisciava sull'erba umida e l'aria strizzava l'amaranto in fiocchi di velluto.
Opportunità, non problemi.
Dopo cena giunse il momento di decidere dove passare la notte. Consultai un bancomat e feci due conti: c'erano abbastanza soldi da comprare un biglietto del treno, ma significava spendere tutto. Forse era meglio viaggiare gratis, mangiare gratis, e tenerli da parte per una vera emergenza. Ma ero stanco, depresso e avevo perso la Fede: quella nell'autostop. Indeciso sul da farsi, m'incamminai verso la stazione dei treni, con un'idea in testa, un'idea che avevo ben collaudato durante l'adolescenza.

Bivacco itinerante di lusso

Viaggiare in autostop di giorno e in treno di notte, per risparmiare le spese di alloggio. Scegliere treni locali, i più lenti possibili, che compiano un percorso tortuoso tra partenza e destinazione. In tal modo sarà possibile dormire almeno sei ore acquistando un biglietto di poche centinaia di chilometri. Si consiglia di ricorrere alla tecnica solo in caso di emergenza, mal tempo o pericolo: quando la Natura è benigna, il bivacco all'aperto resta sempre la scelta migliore.

Ricordo benissimo quel momento. Passai quasi mezz'ora a girovagare tra sottopassaggi, binari, porte chiuse e bacheche infarcite di orari. Non c'erano più treni, nessuno passava di là, anzi: non sapevo nemmeno dov'era, il . Pur avendo deciso di spendere gli ultimi risparmi, ero rimasto inchiodato in un paesino senza nome, costretto all'ennesimo pernottamento improvvisato. Ma il problema non era trovare un bivacco: il guaio era che ormai avevo deciso di dormire in treno, mi ero fatto un programma, ed ero pure disposto a pagare per trasformarlo in realtà.
Il problema, come sempre, sono le aspettative. E, come sempre, più aspettative (illusioni) ci creiamo, più aumentano le probabilità che la Realtà Esterna decida di fare a modo suo, giocandosi una sorpresa (delusione).

Fu in quel momento, mentre aiutavo un'illusione partoriente a sfornare una baby delusione, che vidi la coppia. Un arabo sui trent'anni, forse meno, che parcheggiava un furgone e faceva scendere la moglie, avvolta in un lungo abito bianco tratteggiato d'azzurro. Si avvicinarono alla stazione, lui davanti lei dietro, guardandosi attorno. Pareva cercassero un fantasma. Lei teneva lo sguardo basso, fisso al terreno. Lui annusava l'aria con fare smarrito, alla ricerca di chissà cosa. Poi mi rivolse la parola, prima in francese, poi biascicando un inglese incomprensibile, infine a gesti. Il dialogo, per metà parlato e per metà gesticolato, fu qualcosa del genere.
- Ci sono treni?
- No, non ci sono...
- Da nessuna parte?
- No, non a quest'ora... seguimi, ti faccio vedere...
Presi l'arabo per il braccio e lo portai presso il cartellone degli orari. Ci vollero parecchi minuti, qualche camminata avanti e indietro, un paio di sottopassaggi e un lungo fraseggio di mani e di sguardi. Alla fine riuscii a convincerlo che non c'erano più treni. Lui guardò in basso, guardò in alto, guardò la moglie, cercando ancora una volta lo spettro d'una presenza invisibile.
- Ma tu dove vai?
- Torno in Italia in autostop. Volevo prendere un treno per andare verso sud, ma non ce ne sono più.
- E adesso?
- Adesso non lo so.
Nuovo sguardo alla moglie, altra annusata al crepuscolo. Poi la sorpresa.
- Domani io vado in Marocco, pensavo di partire la mattina presto. Ma se vuoi cambio programma. Ti do un passaggio, ti porto a Parigi. Lì troverai sicuramente un treno... (breve pausa imbarazzata) ... in cambio, se puoi, se vuoi, mi paghi la benzina fino a Parigi.
Lo guardai sorpreso. Davvero sorpreso. Avevo pianificato un viaggio notturno in treno dal paese X, situato a sud di Parigi, per andare ancora più a sud, verso casa. La Realtà rispondeva con l'offerta di una gita nella direzione opposta, verso la capitale che avevo sacrificato per questioni di spazio, tempo e denaro.

Quella fu una vera sorpresa. Una di quelle che sgretolano la realtà, distruggendo tanto le illusioni quanto le delusioni, perché ti mettono davanti un mondo che la tua mente non avrebbe mai immaginato. Non saprò mai se la stazione dei treni, l'arabo, sua moglie e quel paese senza nome sono esistiti davvero, o sono stati solo illusioni create dalla mia mente. L'unica certezza è che la vita, quella notte, mi sorprese. La fantomatica Realtà Esterna aveva giocato il jolly, l'elemento sorpresa, la cartina tornasole delle seghe mentali.

Parigi mi avvolse tra le parole di un cicerone arabo, una valanga soporifera di gesti ed esperanto improvvisato. Accasciato sul sedile del passeggero passai la notte tra l'arco di trionfo, Notre Dame, le Champs Elysés e la Tour Eiffel. Nella sua estrema gentilezza, nel calore ospitale del sud del mondo, quell'arabo mi costrinse a visitare Parigi di notte. Mi fece vedere persino il tunnel dov'era morta Diana che, detto fra noi, non me ne fregava nulla. Alla fine, nonostante la realtà si ostinasse a proseguire lungo binari opposti a quelli da me tracciati, riuscii ad entrare nei panni del turista un po' addormentato, un po' incantato dalla notte francese.
Ci salutammo prima dell'alba. Gli diedi qualcosa come venti franchi per la benzina e il disturbo. Il mio fardello era stato il sonno, lo zaino e le due valigie che, da buon barbone, mi portavo dietro. Lui invece aveva accompagnato la moglie a casa, rinunciando all'ultima notte prima del viaggio, e adesso partiva per il Marocco. Mi sentivo in colpa persino a sbadigliare, mentre lo guardavo andare via dalla Gare dé Lyon. Appena fu lontano controllai l'orario del primo treno per Lione, mi trascinai verso alcuni cassonetti ed improvvisai un giaciglio.

Morfeo suonatore

Il mio sbarco in Normandia non fu come quello di Bill Millin, il suonatore di cornamusa che trascorse la giornata passeggiando tra i proiettili tedeschi, ma fu comunque pieno di sorprese. Bill Millin ebbe la sorpresa di sopravvivere al D-Day, io quella di ricevere il più grande esempio di carità cristiana (almeno nella mia vita) proprio da un arabo, per lo più sconosciuto.
Purtroppo, un'avventura come questa non era mai stata condivisa prima d'oggi. La mia famiglia non l'ha mai saputo: non hanno mai saputo nulla della mia vita fuori dalla Matrice, né vent'anni fa, né adesso. La questione non era la vergogna o l'imbarazzo, e nemmeno il buon senso, che suggerivano di non raccontare dei miei viaggi in autostop. La questione era che non ci volevano credere. Secondo loro, vivere in quel modo era impossibile.

- Come fai a saperlo, se non glielo hai mai raccontato?
E' bastato raccontare altro. In quel periodo tornavo a casa circa ogni tre mesi. Entusiasta della mia vita fuori dalla Matrice, raccontavo tutto. Ma alla prima cifra mi veniva risposto che no, non era possibile, erano tutte storie. Tra me e la mia famiglia si alzava ogni volta un muro fatto di incredulità e scetticismo.
- Guadagni 300€ al mese 1? E dici di viverci? Ma non raccontare balle!
Ricordo in particolare una volta che portai una VHS delle mie apparizioni televisive, quando, tra i vari lavori, facevo anche lo spadaccino. Infilai il nastro nel videoregistratore, mi sedetti orgoglioso vicino a mio padre, ma dopo una manciata di secondi lui si alzò indignato e se ne andò in cucina, borbottando.
- Arciere! Ma cos'è un lavoro? Mio figlio fa l'arciere, adesso!
(era spadaccino papà, ma non importa: ora ho capito)

Il mondo è pieno di persone che credono che la Realtà Esterna sia qualcosa di immutabile, eterno e quindi assoluto. Queste persone scelgono, più o meno consapevolmente, di credere che atomi, elettroni e leggi fisiche siano certezze assodate, dimenticandosi che esse sono convenzioni, concetti mentali condivisi. A parte me, Aetius il Vecchio e Zagreus, il resto della famiglia viaggia su posizioni assolutiste. Non è colpa loro, li voglio bene lo stesso, anzi: di più. Li voglio bene perché so che hanno paura, e quindi hanno bisogno di certezze. Io, col mio stile di vita fuori dalla Matrice (che per loro è una Realtà Assoluta) sono un insulto vivente. Una minaccia e una delusione.
Ecco perché, fuori dalla Matrice, preferiamo parlare di Realtà Esterna. Nella Realtà Esterna esiste tutto ciò che sfugge al nostro controllo, pur albergando nella mente: fantasmi, paure e leggi della fisica. La Realtà Esterna non pretende che queste cose siano né oggettive, né assolute, ma semplicemente che esse vengano percepite "esternamente". Dopotutto, come dice Pirsig, non c'è molta differenza tra un fantasma e la legge di gravità: sono entrambi concetti inventati dall'uomo per descrivere il mondo percepito.

Introduzione alla logica Fuzzy

Senza gli assolutisti il mondo sarebbe migliore. Ci sarebbero confronti, discussioni e forse qualche litigio. Ma non ci sarebbero omicidi, guerre, olocausti e crociate. La stessa Matrice esiste proprio in virtù del fatto che la maggior parte delle persone crede che valori, morale e realtà siano assoluti. L'assolutismo è la posizione contraria del possibilismo. Noi possibilisti crediamo che tutto sia possibile: per quanto migliaia di anni, libri ed esperienze possano dire che c'è un modo giusto per tirare con l'arco, un possibilista ammette che Gigetto potrebbe benissimo tirare tutto storto, ingobbito, infischiandone di ogni tradizione. Secondo un possibilista, Gigetto potrebbe persino vincere un oro olimpico, tirando nel modo sbagliato.

Per un assolutista ciò è impossibile. Si fa così, è così, non si discute: questa è la realtà. Posso capire tanto bisogno di certezza, perché le certezze aiutano a ridurre le sorprese e le delusioni, ma esse dovrebbero essere uno scudo per difendersi, non una mazza ferrata per picchiare chi la pensa diversamente.

La fede degli assolutisti, a mio parere, nasce da un'esigenza emotiva, collegata forse al meccanismo dell'insuccesso. Di cosa si tratta? Supponiamo che i miei amici vadano in discoteca e riescono a cuccare tutti, almeno una volta all'anno. Se io penso di non essere fatto per queste cose, il giorno che andrò in discoteca farò di tutto, a livello inconscio, per non rimorchiare. Così, quando uscirò a notte fonda con le orecchie ovattate e la scimmia nel cervello, affermerò trionfante:
- Vedete? Avevo ragione! Io non sono fatto per queste cose.
oppure
- Vedete? Con me non funziona.
Il meccanismo dell'insuccesso si traduce nella certezza assoluta che qualcosa sia impossibile. È un sistema di difesa che protegge dalle delusioni e dai fallimenti, anzi: tenendo un basso profilo, riducendo le aspettative al minimo, ragionando in termini pessimisti, probabilmente finiremo con l'aver sempre ragione. E la vita non ci riserverà più sorprese.
(che peccato)

Ecco il filo rosso che collega filosofia, psicologia e Matrice. Per timore del fallimento, per paura delle sorprese, decidiamo di credere in una Realtà Assoluta fatta di vincoli, limitazioni e sogni impossibili. Crediamo che sia impossibile vivere senza cellulare, così viene più facile ficcare lo spinotto nel culo e collegarsi alla Matrice. Diciamo che è impossibile campare con 700 euro al mese, per non dover scendere a compromessi coi nostri vizi. Pontifichiamo che sia impossibile non andare in vacanza, o non uscire almeno un weekend ogni tanto, per giustificare il nostro tenore di vita. Così finiamo per credere che sia impossibile vivere in un'altra realtà, diversa da quella che conosciamo, o peggio ancora: finiamo col convincerci che esista una sola realtà, e ci crediamo talmente tanto da non riuscire più a distinguerla dalla Matrice.


(1) Si parla di circa 700.000 lire al mese, nel periodo 1995-'99, con quale pagavo tutto: affitto, benzina, tasse universitarie, bollo, assicurazione, mangiare e ballare (divertirsi, per fortuna, era gratis).