Presentazione

Settembre 2009


Questo è un romanzo di self fiction.
Fiction nel senso di finzione, perché il punto di vista del narratore è immaginario, in bilico tra magia e fantascienza. Ma è una storia vera, un resoconto fedele delle mie avventure ai margini della società. Ogni singolo evento, ogni riferimento a cose e persone, è reale. Quando confesserò di aver rubato per mangiare, a Londra, sarò sincero. Quando spiegherò come andare in vacanza con venti euro la settimana, sarò preciso e dettagliato. Quando racconterò del mio dialogo con l'Onnipotente, sotto un cielo tempestato di fulmini, dirò il vero.

Ma sono uno scrittore, non un cronista, perciò rispetterò la privacy dei personaggi, almeno di quelli ancora in vita, evitando di chiamarli per nome. Cypher, Trinity e Neo sono persone reali, in carne ed ossa; protagonisti sotto falso nome di questa storia. Esistono tutti, proprio tutti. Il marchese De Sade, Aetius il giovane, Zagreus, Ares, i Gemelli.
Ma sono ingegneri, artisti, muratori, filosofi o cari amici. La pillola rossa è uno stile di pensiero, non una pasticca. La Matrice è l'insieme dei valori convenzionalmente accettati, non un programma di simulazione. Ogni particolare è autentico: sto veramente scrivendo in treno, sotto lo sguardo curioso degli altri pendolari; ho veramente cambiato cellulare, il mese scorso, con pessimi risultati.
Al tempo stesso sono il re senza terra di un mondo immaginario, costruito usando i sogni al posto dei mattoni, un mondo onirico ma altrettanto reale, lo sa bene chi ci è entrato almeno una volta, in occasione di un banchetto elfico o un compleanno hobbit.
Attraverso il simbolo ogni fantasia diventa realtà, perché la realtà è una collezione di simboli.
Mi è venuta così, a caso, ma suona proprio bene.

Vivo nel mondo dei sogni per fuggire la mia malattia. Non traendo gioia da vestiti, cibo, automobili e successo, la mia anima ha cercato (e trovato) la felicità nel mondo dei sogni. E' una strada battuta da secoli, l'hanno calpestata nomi illustri, come Tolkien, Saint-Exupéry, Barrie, Ende, Carroll e Poe. Ogni notte migliaia di persone seguono le orme del viottolo erboso, che serpeggia sull'argine frondoso e mena al paese delle fate; dove tu ed io, stasera, avremo riposo.
Vi vedo passare tutti, notte dopo notte. Dall'alto da una rupe d'argento discreto, posta ai bordi del sentiero lunare, mi diverto a guardarvi entrare nel mio regno, uno alla volta. Osservo i vostri corpi lucenti, le menti sveglie, le coscienze addormentate. Vi ammiro nell'ebbrezza dell'esperienza, ascolto e imparo. Poi, malinconico, vi aiuto a dimenticare e vi lascio tornare alla vostra vita.
Ah, quanti tesori ci lasciamo alle spalle, risveglio dopo risveglio! Questa storia è dedicata a voi, pellegrini smemorati del sogno, che visitate il mio regno la notte.

Raccontandovi della mia esperienza spero di raggiungere almeno due obbiettivi. Il primo è guarire dalla mia malattia; il secondo contagiarvi almeno un po'. Ci sarebbe un terzo obbiettivo, un meta obbiettivo. Raccontare una storia vera mentre accade, in tempo reale, senza inventare nulla: tutto quel che accade, lo scrivo; tutto quel che scrivo, accade. E' come guardare il mondo attraverso un caleidoscopio ad alta voce, così gli altri possono leggere, rispondere, fare domande.
- Ma come, noi facciamo di tutto per uscire, e tu vuoi tornare dentro?
Avete ragione, fuori stavo meglio, non c'erano regole, paure, attaccamento e povertà. Ma un conto è uscire dalla Matrice per scelta, cavalcando l'onda quando serve; un conto è trovarsi esiliato a vita, incapace di godersi stipendio e carriera. Ho messo al mondo un angelo che cresce giocando nella fabbrica dei sogni, senza dover pagare il biglietto. Finché ero single potevo dormire sulle panchine, viaggiare in autostop e chiedere l'elemosina. Adesso è difficile, tremendamente difficile, mi serve un lavoro vero. E siccome sto fuori casa dodici ore al giorno devo trovare gratificazione da questa vita, altrimenti non resisterò a lungo. Devo riuscirci per mia figlia, affinché abbia un padre felice, sorridente, non un cadavere ambulante capace solo di ficcarsi lo spinotto nel culo. Cosa che tra l'altro faccio così bene da dubitare, perplesso, della mia presunta virilità.

Il problema è un altro. La malattia toglie significato all'esistenza, non c'è un modo di spendere lo stipendio che valga la candela. Pare assurdo, ma tutte le volte che ho lavorato più di quattro ore al giorno i soldi mi avanzavano. In America guadagnai così tanto in così poco tempo, lavorando poco o nulla, che appena tornato offrii una cena agli amici, per sentirmi meno in colpa.
Quand'ero scapolo usavo la strategia della formica mutante. Dicesi formica mutante un insetto, per lo più immaginario, che un anno fa la formica, un anno fa la cicala. Un anno mette via i soldini, lavorando otto ore al giorno, l'anno dopo scialacqua tutto facendo il barbone tetto munito, che sembra un controsenso, invece è un'esperienza di lusso sfrenato. Quando uno si definisce barbone, il solo fatto di avere l'acqua corrente in casa diventa un miracolo.
La vita è spesso un gioco di scontri ed incontri tra aspettative inconciliabili.
Adesso, con una figlia a carico, il giochino della formica mutante è pressoché impossibile. Ecco perché vorrei guarire: devo trovare un modo di spendere i soldi che guadagno, dare un senso al mio sacrificio quotidiano. Devo farmi piacere la Matrice. Perché se lavorare è un dovere, uno dovrebbe almeno poterlo scegliere liberamente, come recita la nostra costituzione:

Articolo 4: la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Quand'ero fuori dalla Matrice, per scelta, lavoravo tutti i giorni a favore della società, ma a modo mio. Organizzavo eventi sociali, pulivo sentieri nei boschi, raccoglievo rifiuti dagli argini, inventavo giochi, pubblicavo racconti e distribuivo software libero. Nessuno mi pagava per farlo, ma centinaia di persone apprezzavano il mio lavoro, mi gratificavano col loro sorriso.
Adesso invece mi pagano col vile denaro, quasi fossi una troia.
Come si può gioire di qualcosa ottenuto col denaro? La cosa più bella, quando facciamo all'amore, è sentire la voglia dell'altro, la sua partecipazione libera, passionale. Vale lo stesso per il cibo, l'automobile, la casa. Nel sapore di un pomodoro cresciuto nel mio orto sento il gusto della fatica, l'aroma del sudore, l'eco della zappa e la forza della terra. Invece, quando compro qualcosa, mi sembra di corteggiare una prostituta sventolando banconote.

Lo ripeto ancora: voi siete sani, non sentitevi in colpa, sono io quello sbagliato, il pazzo che vaga per la campagna a parlare coi rustici abbandonati. Il bello è che mi rispondono pure.
- Ciao bell'uomo, mi piaci sai? Sono anni che aspetto uno come te... Mi piacerebbe farti entrare, ho bisogno di tante coccole, attenzioni che solo tu puoi darmi. Potresti riparare il soffitto, otturare le finestre cariate, risanare i pavimenti storti, raddrizzare le fondamenta zoppicanti. Ti accoglierei tra le mie mura, lasciandoti giocare nel boschetto e scendere giù, in fondo, fino alla cantina umida. Poi dormiremmo assieme, tu dentro me, io attorno a te, senza vincoli di proprietà...

Ecco, così mi piacerebbe prendere casa: di comune accordo coi mattoni, senza la mediazione del vile denaro. Pagare l'affitto non è una soluzione perfetta ma è un buon compromesso, un po' come offrire la cena ad una bella donna, senza la certezza di possederla tutta la vita.
Troppa fantasia? Sono fuori dal mondo? Può darsi, ma ho un asso nella manica.
Conosco qualcuno che vive fuori dalla Matrice da quarant'anni, qualcuno che si è costruito una casa meravigliosa con le proprie mani, usando solo materiali di scarto. Sto parlando di Zagreus, il mio più antico maestro, la cui vita è talmente incredibile che se ve la raccontassi, appunto, non ci credereste. Lui da quarant'anni vive completamente fuori dalla Matrice. Vista dall'esterno la sua vita sembra quella di un uomo perennemente in vacanza. I parenti lo hanno ripudiato, etichettandolo come smidollato barbone perdigiorno. In realtà Zagreus non è mai fermo, si alza prima del sole, dorme di rado, lavora fino a tarda notte. Ha le mani coperte di calli, il corpo striato di cicatrici e l'abbronzatura da muratore. Semplicemente non ha un lavoro fisso, retribuito in moneta sonante e perciò riconosciuto dalla società. Come tira a campare? Tanta fede, tanta buona volontà e nessuna esigenza. Il segreto, mi dice sempre, è non avere desideri, accettare tutto ciò che viene senza tirarsi mai indietro.
- Chi è Zagreus?

Perdonatemi, sono un maleducato, ve lo presento. Zagreus è mio zio, fratello di mia madre. Da giovane era un pilota d'elicottero dell'esercito, medaglia al valor civile per i soccorsi prestati dopo il terremoto del '76 in Friuli. Poi la presa di coscienza, molti viaggi, qualche spinello, tanta meditazione e un brutto incidente. Erano in due e tornavano dall'India in moto, lui si è addormentato mentre guidava e si è svegliato in ospedale completamente ingessato. Adesso ha un braccio che funge da ornamento, parecchio metallo al posto delle ossa e una folta barba da santone. Di viso mi somiglia, pelata compresa. Secondo molte persone è un handicappato, per altre un pazzo, per altre ancora uno sciamano. Io chiaramente rientro nell'ultima categoria.

A volte, quando mi domando com'è nata la mia malattia, penso a Zagreus. Lo ricordo atterrare con l'elicottero nel giardino di casa, a portare salumi e formaggi dal meridione. Poi, quando avevo sette anni, scomparve nel nulla. Lo fece sparire mio padre, da bravo ufficiale dell'aeronautica, per nascondere la vergogna di un disertore in famiglia. Se ti piacciono divisa, denaro e carriera non puoi andar d'accordo con chi ci ha rinunciato. I poveri, con la loro scelta, insultano la ricchezza. Gli obbiettori di coscienza, per quanto pacifisti, dichiarano guerra ai militari. Non lo fanno di proposito, ma funziona proprio così, è una legge di natura.

Ritrovai mio zio quasi vent'anni dopo, durante il suo periodo bene. Io Athos, lui Aramis.
Erano gli anni '90 e Zagreus si sposava in chiesa, con abito elegante e rito cattolico. Una casa vera, una figlia in arrivo e una dottoressa in moglie. Così va la vita. Molli la carriera militare per andare in India, fai l'hippy freakettone per qualche anno, poi ti spacchi una dozzina di ossa e ti innamori della tua fisioterapista. La sposi e vai a vivere nella sua villa in Friuli, dove vent'anni prima atterravi con l'elicottero, tra macerie chiazzate di sangue e cadaveri impolverati.
Fortuna? Destino? No, si parla di fortuna quando c'è speranza, aspettativa, desiderio. Zagreus non cercava né moglie né casa, si è limitato a seguire la corrente, senza pensieri. Il colpo di fortuna fu tutto mio, perché il nuovo status sociale di Zagreus mi concesse di rivederlo, riesumarlo dal cimitero dei parenti scomodi e sistemarlo sul comodino, vicino alle fotografie dei parenti per bene.
Giusto il tempo di conoscersi e nel giro di pochi anni lui divorziò dalla moglie; si ritrovò a vivere in una baracca, senza riscaldamento né acqua corrente.

Sfortuna? Destino? No, per lo stesso motivo di prima. Zagreus è fuori dalla Matrice perché non ha paura. Se gli capita una villa con piscina, si spoglia e sorride. Se gli capita una baracca coperta di ghiaccio, si veste e sorride. Da vent'anni lascia le chiavi dell'auto sul cruscotto, gli hanno rubato tre auto, ma lui non cambia abitudine. Per Zagreus trovarsi senza macchina è una scocciatura: burocrazia, soldi e tempo perso. Ma vivere fuori dalla Matrice non vuol dire fregarsene, vuol dire non avere paura. Zagreus se ne frega solamente se gli rubano qualcosa, non prima. Noi invece viviamo nella paura di perdere ciò che abbiamo, e come dice il proverbio, chi ha paura di morire muore due volte. La cosa strana, oserei dire quasi magica, è che appena la paura svanisce, appena rinunciamo alle nostre certezze, la vita ci da tutto. Zagreus riesce a farlo da quarant'anni, io ci sono riuscito una decina di volte, e devo ammettere che funziona a meraviglia. Il nirvana del Buddha si raggiunge rinunciando, dimenticando noi stessi e le nostre speranze. Fingere non funziona, occorre rinunciare davvero: gioire della povertà e della malattia, senza cercare né di ottenerla né di evitarla, 'sta benedetta felicità. E' per questo, può darsi, che adesso Zagreus vive in un'opera d'arte a forma di casa, un mosaico intrecciato di legno, vetro e mattoni, invidiato da molti e incompreso da tutti. Povero, disoccupato, ma sicuramente ben alloggiato.

Zagreus è come il sole, sorge, splende e tramonta, a volte attorniato da canti di gloria, altre volte da lacrime amare, ma ciò non toglie nulla alla chiarezza della luce. I suoi raggi lucenti indagano ogni pertugio, senza dargli più importanza del necessario, e quando arriva il momento di cedere il passo alla notte si fanno da parte, senza ferite nell'orgoglio. Non tutti possono seguire le orme di Zagreus, anzi, la maggior parte delle persone non lo vorrebbe nemmeno, me compreso.
Se avete pensato che fosse mia ambizione emulare le sua gesta è colpa, come sempre, dell'Illusione Ermeneutica. La storia di Gigetto che vien giù per la collina, per intenderci.

E' una questione di predisposizione. Zagreus è nato per vivere senza possedere nulla, capace di rinunciare a tutto, felicità compresa. Io sono nato per fabbricare sogni, ho iniziato da piccino, inventando giochi per gli altri bambini. Me ne sono reso conto a vent'anni, quando organizzavo scherzi notturni ai commilitoni, per tenere alto il morale della truppa. Ma l'ho compreso a fondo solo più tardi, quando mi capitò di stringere tra le mani la coppa del sacro Graal (è una bella storia, ve la racconterò).
Zagreus è fuori dalla Matrice perché non dà importanza ai valori occidentali moderni, per lui soldi, vestiti, automobili e case sono giocattoli presi in prestito, da restituire alla fine del viaggio. Io invece sono fuori dalla Matrice perché ho trovato nei sogni un'alternativa alla realtà quotidiana.
Zagreus è sano di mente perché non fa differenza tra abiti nuovi e abiti usati; io sono malato di mente perché mi vanto di indossare solamente vestiti usati.

L'amletico dubbio, a questo punto, è: sono emigrato nel mondo dei sogni perché malato, o mi sono ammalato a forza di trascurare la cosiddetta realtà oggettiva? Probabilmente un po' tutte e due le cose. Certe questioni non hanno senso, o sono mal poste, o addirittura contraddittorie. Molto meglio disinnescare la domanda e proseguire oltre, verso le origini della malattia, verso la sorgente di ogni male. Ma quale?
Direi di seguire la corrente, procedendo a ritroso, come ogni buon esploratore. Partiamo dal mare inquinato e sofferente e cerchiamo d'imboccare la foce, per risalire il corso del fiume. Allora guardiamolo bene, questo mare. Vedo la grande onda di Alexander Key, l'oceano mare di Baricco e in lontananza, piccina piccina, l'isola che non c'è di Barrie. Ma soprattutto, sulla spiaggia, vedo un elfo solitario che distoglie la sguardo dalle onde, nel timore di essere ammaliato dal ricordo di Valinor, al di là del mare:

Legolas Verdefoglia, a lungo nella foresta hai vissuto con gioia.
Guardati dall'Onda!
Se il gabbiano odi gridar sulla sponda,
il tuo cuor più non riposerà nella foresta
   (J.R.R. Tolkien)

Dietro l'elfo serpeggia l'ombra scura del fiume, che risale incerto verso le montagne. Ecco la foce, ecco la strada da percorrere, è così che inizia la mia storia. Vi racconterò di quand'ero un giovane elfo dai lunghi capelli castani, vestito di verde e nero, che correva tra i boschi nelle notti di luna piena, inseguito dai cavalieri erranti del Graal. Mi nascondevo sui Colli Euganei facendo tintinnare i campanellini cuciti addosso, con le scarpe a punta e la calzamaglia aderente, avvolto nel caldo profumo di un mantello capace di rendermi invisibile. E gli altri venivano a cercarmi, armati della luce saltellante di una torcia elettrica. Adesso il ricordo è lontano e sfumato, ma quel sogno era realtà, una realtà condivisa da molti, una realtà che si poteva vedere e toccare.
Perché questa è una storia vera, da cima a fondo.

< Precedente    Inizio    Successivo >