Ars Ludica

Novembre 2009

Arte e gioco sono esperienze virtuali

Di nuovo in treno. L'inverno si avvicina strisciando, attraverso il finestrino, freddo e umido.
Ci ho messo sei mesi, ma finalmente le ho imparate a memoria, le fermate, da Lecco a Sesto S. Giovanni, le so tutte. All'interno della Matrice, per definizione, la realtà cambia raramente, lentamente, come se avesse paura di non ritrovarsi più, di non riconoscersi. Il solito treno, il solito ufficio, il solito Oracolo. Solamente il parco è diverso. E' da un pezzo che non ci vado in pausa pranzo, fa troppo freddo. Invece ci vado a ballare, con la musica sparata negli auricolari, piantati sotto il berretto di lana. Il parco è pieno di gente strana, alcuni più di me; posso danzare nel silenzio altrui senza dare nell'occhio. Vantaggi delle metropoli.
Ho scritto "silenzio altrui" e, senza accorgermene, ho tirato di nuovo in ballo la matrioska delle realtà. Che poi si potrebbe anche chiamare, amichevolmente, la cipolla delle realtà.
- La realtà puzza?
- No, è fatta a strati, pezzo d'asino.
Nello strato esterno ci sono il travestito sulla collina, i maghrebini sulle panchine, le coppiette che pranzano, il verde affogato nel centro di Milano. Nello strato interno, invece, ci sono io che vibro cavalcando le onde meccano quadriche dei Subsonica, Gorillaz, Blur, Nirvana, Depeche Mode.
Nello strato esterno io ballo da solo, sotto gli alberi, nel silenzio più assoluto.
E' un'esperienza virtuale? Spulciamo il vocabolario.

Virtuale: aggettivo.
In filosofia: che è solo in potenza, con le medesime proprietà del reale.
In informatica: realtà virtuale, situazione simulata dal computer, con tutte le caratteristiche
di quella reale, rispetto alla quale è possibile interagire.
Contrario: attuale.

Una volta, da piccino, ho provato a smontare le casse dello stereo, pensando di trovarci dentro un'orchestrina di folletti verdi, un clone di Hendrix in miniatura, un carillon sintetico, un qualsiasi genere di strumento musicale polivalente. Invece, con gran stupore, ho trovato solamente un magnete e un altoparlante. Pensare che sembrava così reale, il suono, quando usciva dalla casse. Eppure, se vogliamo restare fedeli alla lingua italiana, ascoltare musica è una mera esperienza virtuale. Le voci bianche che scivolano morbide sulla chitarra di Gilmour, nel cuore del Muro, esistono solo in potenza. Hanno tutte le proprietà di una voce reale, timbro, frequenza, cadenza e persino l'accento inglese, ma non c'è nessun bambino a produrle, in quell'istante, facendo vibrare corde vocali fatte di carne e sangue.

L'arte tutta, in quanto rappresentazione di qualcosa che lì per lì non c'è, è sempre un'esperienza virtuale. I film, in potenza, sono immagini. In essenza, pellicola arrotolata nelle pizze. I libri, in potenza, sono racconti. In essenza, alberi seppelliti nell'inchiostro. Il Davide di Michelangelo, in potenza, è un distruttore di giganti. In essenza, marmo inciso a colpi di scalpello. Il Lago dei Cigni, in potenza, è la visione danzante di un amore proibito. In essenza, uno stormo di fanciulle in calzamaglia e tutù. Il teatro di Pirandello, in potenza, è un riflettore puntato sulla Matrice. In essenza, un palco calcato da attori più o meno mascherati. La Mattina di Ungaretti, in potenza, è un'alba di luce riflessa sul mare. In essenza, due parole ben accostate. La voce di Jim Morrison, in potenza, è un caldo abbraccio sonoro e incestuoso. In essenza, un solco scavato nel vinile.
E con questo mi sono fatto una bella orgia di Muse.
Si viene al mondo donnaioli, ed io, modestamente, venni.

Tuoni di metallo fendono l'aria. Piombo fuso cola nei timpani, sbattendo, urtando, lacerando membrane vibranti di paura. Il ritmo è deciso, forte, stabile. Dopo un po', passato lo stupore iniziale, diventa rassicurante, oserei dire musicale, piacevole. Granpasso insiste con cadenza precisa. I colpi di spada, uno dietro l'altro, echeggiano tra le montagne della Carnia, rapendo l'attenzione collettiva. Io stesso, grottescamente schierato tra le orde di orchetti, mi fermo a guardare la spada luccicare contro il cielo. Una fotografia, da farci il poster. Si ferma un attimo, poi, con tutta la forza dei tempi antichi, col cuore del guerriero sepolto nei secoli, scende guizzando contro lo scudo del nemico. L'avversario striscia sul terreno, inerme, rannicchiandosi sotto i colpi martellanti, secchi, totalizzanti.

Siamo a Tolmezzo, aprile 1995, Hobbitton II. Ho accettato di fare la comparsa. Mi hanno dato la parte dell'orchetto, ho fatto presente che ero vestito da elfo, hanno risposto che lì da loro gli elfi erano bianchi. Ho mostrato il mio abito silvano, verde e marrone, confezionato dalle fatine di Bosco Atro, hanno scosso la testa. Rassegnato, un po' deluso, mi sono schierato tra gli orchetti, dietro gli alberi, prima che arrivasse il pubblico. Durante l'attesa ho preso nota mentalmente del regolamento: soltanto spade in lattice, niente botte in testa, si cade al terzo colpo.
Poi c'è stata qualche discussione, tra attori e registi.
Gli elfi non cadono, devono vincere. Non è realistico, se un elfo non sa combattere, muore. Non può, sono immortali. Ti correggo, in battaglia possono morire. Hai ragione, ma qui c'è il pubblico. E' allora? Il pubblico vuole veder vincere i buoni. Anche se sono schiappe? Anche.
Quindi due squadre, gli elfi (chiari) contro gli orchetti (scuri). Granpasso con gli elfi, il suo amico con me, tra gli orchetti. Coppia spezzata per soddisfare l'esigenza di pareggiare spade vere con spade vere, spade in lattice con spade in lattice. Già, perché Granpasso e Tizio, solamente loro due, partecipano alla rievocazione tolkieniana con armi in acciaio, scudi in legno borchiato e cotta di maglia. Noi con spadino in gomma, meglio evitare.
E così via, su per il monte, giù per il monte, col pubblico che applaude, i bambini che strillano, la mamme che urlano, ma si faranno male, qualcuno che risponde, no, signora, non si preoccupi, sono spade finte, fatte in latt...
Tuoni di metallo fendono l'aria.
Il volto di lei nella folla.

Il 1995 fu un anno magico. Fu anche l'anno in cui piansi di più. Banalissime disperate faccende di cuore, lacrime che forse offuscarono la magia o, più probabilmente, la produssero. Miracoli e rivoluzioni funzionano spesso così, la sofferenza è la benzina delle nostre metamorfosi. Sul momento uno non se ne accorge, preso com'è a raccogliere lacrime, riempire bottiglie di rancore e metterle da parte per annate senza futuro. Intanto, dietro lo specchio, il bozzolo si rompe e ali nuove di zecca sbattono contro il vetro, in silenzio.

Essere bruchi è importante, necessario. Da bruchino a brucone, per venticinque anni, ho scavato nel tessuto matriciale, lasciandomi alle spalle il senso del branco, gli abiti alla moda, le buone maniere, il valore del denaro. Nel 1995 ero pronto ad uscire dalla Matrice, ma non ci sarei mai riuscito da solo. Qualcuno doveva rompere il vetro per me.
Le schegge nel cuore? Un prezzo da pagare. La rottura col passato? Un ancora da levare. La visione oltre lo specchio? Il situazionismo.

Appena infranto lo specchio, muta larvale ancora in corso, Aetius il Giovane mi fece leggere il Manifesto Situazionista. Non tutto, per carità, il libro è un mattone blu leggero ma eternamente senza fine. Aetius mi indirizzò verso le pagine più pregnanti, scegliendo accuratamente quelle che, in qualche modo, mi riguardavano.
- Hai delle potenzialità inespresse, Morfeo.
Fu un'epifania di sincretismi rivoluzionari. Arte ludica, installazioni interattive, deriva urbana, chimica della bellezza e, dulcis in fundo, il gioco di ruolo come arte sociale suprema.

E' impossibile riassumere il situazionismo in poche parole, lancerò qualche freccia a casaccio, pescando dalla faretra dei ricordi. L'arte è sempre un evento, un'interazione tra l'opera esposta e il pubblico sognante. Non basta dipingere per fare arte. Occorre coinvolgere la società, portarla davanti al quadro e accendere pure la luce, se serve. Il teatro, diceva qualcuno, è un evento che abbisogna sempre di due elementi: un attore e uno spettatore. Per i situazionisti non basta creare, bisogna anche organizzare, coinvolgere, interagire, ristrutturare. Andiamo oltre: l'arte può essere pura e semplice creazione di eventi sociali, ricami nel tessuto urbano. Non parlo di cene in pizzeria o aperitivi al bar, quelli esistono già. Il situazionista è chi ha inventato l'aperitivo, non chi ne ha fatto una professione; è un imprenditore d'arte, un costruttore di realtà. Realizza eventi nuovi, che nessuno ha mai esperito prima. Cose che non esistono.

Aetius destò il situazionista assopito in me. Ascoltando la sua voce lenta, profonda e saggia, ricomposi i pezzi del puzzle. Raccolsi le tessere sparse durante l'infanzia, trascorsa a creare diverse realtà locali.
I giochi di mia invenzione passavano di bimbo in bimbo, dal Friuli alla Calabria: birillo, bici in città, labirinto di sabbia, campo notturno. L'adolescenza, al posto dei baci rubati in motorino, portò il flipper d'aggiustaggio, il gioco delle scommesse, il club della casetta, la pattuglia acrobatica su due ruote e sott'acqua. L'acne giovanile esplose tra tornei di calcio, calcetto, fresbee e porticine; li organizzavo tra quartiere e quartiere, medaglie incluse. Con la maggiore età vennero le varianti scacchistiche, i giochi in scatola, le cacce al tesoro e le crociate di carnevale, a Venezia.

Il carnevale! Eterno trionfo dell'arte ludica universale! C'è chi improvvisa, due colori in piazza e uno scarabocchio sul viso e chi, come il sottoscritto, inizia a cucirsi l'abito a settembre. Prima di andare in scena, in Piazza S. Marco, passavo mesi a studiare la maschera. C'erano da curare i dettagli, la mimica, imparare lo slang del personaggio, realizzare gli effetti speciali. Come la Mano di Zio Fester, ad esempio, congegno da prestigiatore che stupiva grandi e piccini.
- Mamma, guarda, sembra vera!
- No, Gigetto... è finta, vedi?
- Ma si muove!
La mano vera era nella scatola, quella che reggeva la scatola era finta. Semplice ma molto, molto efficace. La famiglia Addams lasciò il posto al Joker, un folle armato di tutto punto: fiore con spruzzino, bastone con petardo, mano elettrica, cuore che ride, carte da gioco a mo' di coltello, pistola bang e molti altri gadget, che non ricordo. Ricordo invece una calle oscura, tornando verso Santa Lucia, dove m'imbattei in un pazzo travestito da pipistrello gigante, tale e quale al film di Tim Burton. Improvvisammo uno show che ci valse la nomination agli oscar degli attori mancati.
Nel febbraio 1995, infine, arrivò Legolas Verdefoglia. Fu la prima volta che indossai un abito elfico. Calzamaglia verde, scarponcini neri di terza mano, body in velluto riadattato, mantello preso a Brugine, arco in bambù e faretra in cartonlegno. Il tutto realizzato a mano, a costo praticamente zero. Non era un granché, ma era l'abito giusto nel posto giusto, al momento giusto.

- Buonasera, sono Alex, cercavo Legolas... Morfeo.
- Sono io.
- Ciao... ti ricordi? Sono Aragorn. A Venezia ci siamo scambiati i telefoni.
(fugace apparizione di cornette trafugate sotto il ponte di rialto)
- Sei quello con l'arco, senza spada e con la faretra vuota?
- Eh sì... questi poliziotti troppo ligi al dovere...
- Eh, già: l'ombra di Mordor incombe...
- Gli orchetti spopolano...
- Le Terre Imperiture si allontanano...
(parliamo sempre così, tra di noi, lo giuro)
- ...
- ...
- Dimmi, Aragorn, ti ascolto.
- Volevo chiederti se hai progetti per fine aprile.
- Perché?
- Ci sarebbe l'Hobbitton II, a Tolmezzo, in Carnia. Tre giorni full immersion nella Terra di Mezzo, tra elfi e stregoni. Ci saranno altri pazzi come noi, con abiti tolkiniani, tornei di giochi di ruolo, conferenze, spettacoli, escursioni. Se vuoi ti mando il programma.
- Non saprei... ho un appello, a fine aprile. Lo sto preparando da sei mesi.
- Non puoi rimandare? Ci saranno altre sessioni, no?
(mi saltato un esame in vita mia, finora)
- Mah... è vero... però....
- Se hai paura degli orchetti, non temere. Il popolo tolkiniano è apolitico, a parte qualche svitato. Ci sono sempre delle mele marce, rosse o nere, ma comunque marce.
- Della politica me ne sbatto, lo sai. E' per l'esame, davvero, ho studiato tanto...
- Ci sarò anche la rievocazione di uno scontro tra Elfi e Orchetti.
- ...
- Dai, Legolas, fai un'eccezione. Almeno una volta, nella vita, non te ne pentirai.
- ...
- ...
- Va bene, Granpasso. Ci sarò.

Il quel momento preciso avvenne la metamorfosi. Il vetro era incrinato, la crisalide già formata, il carnevale di emozioni prendeva il posto dei globuli rossi, pulsando a mille atmosfere, nel profondo del cuore. Odore di pillola rossa, germe di consapevolezza.
Il guaio del situazionismo? Difficile smettere.

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