Realtà virtuale

Dicembre 2009


Persone come spade di Dàmocle ammucchiate nei vagoni. Difficile scrivere nella folla di pendolari, nella calca che spinge, urla, agogna posti a sedere. In piedi o seduti, l'argomento di conversazione è il medesimo: regali mai ricevuti e doni attesi sotto l'albero. Siamo a Natale, la Matrice s'infittisce, si fortifica. Odo prezzi esorbitanti, cifre sgranate come noccioline, valori scontati.

- Trecento euro, è vero, ma li vale tutti ...
- Mi budgetizzano un millesettecento circa, pensavo a quel paio di stivaletti ...
- Capodanno in Val Tellina, abbiamo una casetta. Che vuoi, c'è la crisi ...
- Settimana bianca, poi si vedrà ...
- Aspettiamo un last-minute ...
- Avere i soldi ...

Voglio scendere. Fuori ci sono quattro gradi sotto zero e io voglio farmela a piedi. Da Lecco a Milano, come Renzo, a prendere il pane, sfamare la famiglia. Vacanze e regali sono fuori della mia portata, è il prezzo da pagare, tornare alla Matrice costa. Loro invece calcano la mano, il coro dei consumatori alza il volume, inneggia chiare stelle lamentose, pianifica vacanze da poveracci, cenoni moderati, regali presi in saldo e valori scontati. Ai primi conati di vomito ricordo il lettore mp3, quello che da pochi mesi ha preso il posto del mangiacassette. Lo inietto vorace nei timpani, a mo' di overdose musicale, e sono salvo.
Dietro lo schermo sonoro, chiuso nel mio mondo, sto meglio. La malattia è soprattutto isolamento. Rifiuto degli status symbol, allergia al benessere capitalista, rigetto consumista.

What shall we use / to fill / the empty spaces / where we used to talk ? How shall I / fill /
the final places? How / should I / complete the wall?
  [1]

Forse dovrei davvero finirlo, 'sto benedetto muro, allontanarmi dal mondo e fare l'eremita.
Starei davvero meglio? Solo con me stesso, da mattina a sera, mangiando radici, parlando con gli alberi, ascoltando la foresta? L'ho già fatto, non ha funzionato. Condividere è necessario, non posso farne a meno. Sono tornato alla Matrice per dare il mio contributo, assolvere alla leva sociale, spingere il mostro sulla via dell'evoluzione. Purtroppo ho un'innata capacità di perdermi per strada, una sorta di labilità alla Starnone. Così eccomi qua, a dubitare per l'ennesima volta della mia capacità di resistere nella Matrice. Non dico vivere, divertirsi, realizzarsi, ma sopravvivere, esistere.

Stay sane inside insanity  [2]

Resistere per lei, la piccola perla di Labuan, lumino ondeggiante nel buio, cassaforte dei ricordi; lei, che inizia a fare domande.

- Cos'è?
- Pinocchio, fa uno spettacolo, per Mangiafuoco.
- Cos'è?
- Altri burattini, coi fili, ballano con lui.
- Cos'è?
- Pinocchio, un burattino speciale, vedi? Non ha i fili, ma si muove lo stesso.
- Cos'è?
- Pinocchio, è come un bimbo, ma di legno. Un bimbo finto, diciamo.
- Cos'è?
- Altri burattini, ma veri.
- Cos'è?
- Pinocchio, un burattino finto, senza fili.
- Cos'è?
- Pinocchio che balla con gli altri burattini, quelli veri. Lui, invece, è finto. E' un bimbo finto, perché è fatto di legno. E' un burattino finto, perché non ha i fili.
- Cos'è?
- Una marionetta.

Ho scoperto che Pinocchio non esiste. Peter Pan o Capitan Uncino sono veri, identificati, protagonisti senza ambiguità d'una storia inventata. Pinocchio, invece, non esiste nemmeno nella finzione, è doppiamente finto. E' un bimbo virtuale, perché balla canta e parla, ma non scorre sangue nelle sue vene di legno. E' una marionetta virtuale, con giunture snodabili e articolazioni smontabili ma, se impiccato ad un albero, muore. Pinocchio è l'icona della virtualità, la non-favola per eccellenza, cento volte più etereo e sfuggente del bianconiglio. Povero Pinocchio. Nemmeno nel paese dei Balocchi riesce a diventare un asino vero. Ottiene solo la coda, le orecchie e il raglio da somaro. Un ibrido di legno e cuoio con un'innata propensione alla menzogna. Solamente alla fine, dopo esser sfuggito dalla grinfie del pesce-cane, Pinocchio diventerà un bambino vero.

Dovrebbe essere chiaro, ormai. La differenza tra reale e virtuale non ha nulla a che fare con l'esistenza. Tutto esiste, in un modo o nell'altro. Ci sono cose che esistono nella realtà esterna, la Grande Matrioska, e per questo influenzano tutte le realtà virtuali contenute all'interno: se Collodi non fosse nato, non avremmo mai avuto Pinocchio (forse). Altre cose esistono solo nelle matrioske più piccine e sono per questo meno importanti: se Geppetto avesse usato il ceppo di Mastro Ciliegia per costruirsi una figa di legno, anziché una marionetta, Collodi sarebbe nato comunque, ma Geppetto non avrebbe avuto figli (di sicuro).
Solamente alcune lingue, e alcuni dizionari, appiccicano l'etichetta "contrari" sulle parole reale e virtuale. Persino l'idioma italico tentenna sull'argomento, lasciando naufragare il significato nell'oceano della libera interpretazione. L'inglese è molto più chiaro. Il contrario di virtual è actual, che significa vero, concreto.
Il termine real, di contro, va a passeggio con reality, really, ovvero realtà, veramente. Se virtuale fosse davvero l'opposto di reale, il concetto di realtà virtuale sarebbe un ossimoro sfuggente, una bolla di sapone persa in un mare di neuroni ubriachi.
La realtà virtuale esiste, si può toccare, sperimentare, usare per imparare cose nuove. Come la storia di Pinocchio, o gli estratti dal Manuale d'Uscita della Matrice.

Realtà virtuale

Virtuale: aggettivo comparativo privo di significato assoluto.
L'oggetto virtuale gode di molte delle proprietà dell'oggetto originale, ma non tutte. Se le proprietà in comune sono poche, l'oggetto si dice molto virtuale. Viceversa, se le proprietà in comune sono tante, l'oggetto si dice quasi reale.

Postilla: il verbo "esistere" non può essere annoverato tra le proprietà confrontabili, in quanto esso rimanda alla metafisica ontologica e non alla fenomenologia verificabile.

Non posso proteggermi dalla pioggia con la fotografia di un ombrello, ma solo perché la foto è piccola, non perché è virtuale. Un poster, magari plastificato, andrebbe benissimo. Non posso fumare la pipa di Magritte, eppure posso toccarne la tela, se non mi arrestano prima. Non posso sposare una vulcaniana, ma posso amarla in segreto, alla maniera di Peter Camenzid. Non posso toccare la materia dei sogni, da sveglio. Posso invece rammentare tra brividi di freddo le esperienze oniriche, vere sulla pelle, reali fino all'osso. Finché non apriamo gli occhi non possiamo dire se un sogno è finzione, occorre svegliarsi per discriminare il vero dal falso, il reale dal virtuale, la matrioska interna da quella esterna. Ve lo dice Morfeo, signore del sogno, vecchio amico di Zhuangzi e delle farfalle immaginarie.
Quelle che dormono di giorno, per sognarci meglio.

- Cos'è quetto?
- Una fragola di plastica, un giocattolo.
- Pappa?
- No, è finta, non si può mangiare, fa male.
- Si eh!
- Però posso lanciarla contro il muro, vedi?
- Rompe?
- No, è di plastica, non si rompe. Rim-bal-za.
- Balsa.
- Brava. Invece, una fragola vera, se la tiri contro il muro, si rompe.
- Si eh!
- Ci mangiamo una fragola vera?
- Si! Ieeeh!
(rumore di frigorifero tra le righe)
- Ecco, questa è una fragola vera. Si mangia, vedi? Ne vuoi una?
- Si eh!
- Però non lasciarla cadere, sennò si rompe.
- Rompe?
- Si, non è un giocattolo. Ha colore uguale, forma uguale, è grande uguale, però non è un giocattolo. E' un giocattolo finto, insomma. Virtuale.

Se guardiamo alla realtà da abbastanza lontano ogni cosa è virtuale; se invece entriamo nel contesto, immergendoci nel significato condiviso, allora tutto diventa reale. L'arco magico di un elfo è reale per l'elfo che lo tende mirando agli orchetti, ma è virtuale per il lettore che lo distrugge chiudendo il libro. Gli orologi di Dalì sono reali per i rami morti su cui poggiano, ma non ci dicono che ora è. Coi soldi guadagnati nei videogiochi posso comprare astronavi, fabbriche di deuterio e alberghi piramidali, ma non posso pagarci l'affitto, almeno non in questo mondo.
E' una mera questione d'interazione tra realtà diverse, nulla più. Se un oggetto gode di poche proprietà interattive, poche virtù, è meno importante del resto, e lo chiamo virtuale. Ma siccome le virtù dipendono dal metro di confronto, dall'oggetto del paragone, tutto dipende da quello che vogliamo farci, con l'oggetto della disputa. Se devo improvvisarmi giocoliere per mia figlia, la frutta che si mangia è un pessimo giocattolo, rimbalza mala e si rompe subito. Meglio quella di plastica, che essendo "davvero" un giocattolo è, contestualmente, più vera.
Se invece devo scatenare uno degli incontri decisivi della mia vita, interagendo con un principe della Terra di Mezzo, allora la natura elfica, per quanto virtuale e immaginaria, deve emergere dall'oblio onirico e manifestarsi nella realtà comune.
Magari durante un carnevale, preferibilmente a Venezia, tipo quindici anni fa.

Quando lo vedo è già lontano. Vestito di verde e marrone sembrerebbe un elda, come me, eppure c'è qualcosa, nella sua camminata, che dice no, non lo è. E' troppo alto, grosso e massiccio per essere un elfo. Forse un guerriero, un barbaro, un ramingo o semplicemente un pirla con addosso un abito medievale. Come me. Poggio il panino sulla latta di birra, mi alzo, scrollo le briciole, guardo la fidanzata.
- Vado a conoscerlo ... no ... è già passato. Pazienza.
Mi risiedo, un morso, tre sorsi. La gente cammina a frotte verso Piazza San Marco, a caccia di musica, bistrot, ristoranti, bar e pizzerie. Nessuno nota la coppietta che bivacca sul piedistallo di una statua sconosciuta, in un campiello anonimo, lungo una calle qualsiasi.
- Faccio in tempo a raggiungerlo! Mi tieni il panino? No, che scemenza, troppo tardi.
Un morso, tre sorsi, ci ripenso, mi rialzo, rinuncio. Altro morso, sorsata lunga di birra, ennesimo ripensamento. Quello giusto. Taglio la folla di corsa, come una rompighiaccio bollente in un mare di granita e coriandoli increspato di stelle filanti. Abbozzo un inchino.
- Piacere, mi presento. Sono Legolas Verdefoglia, principe di Bosco Atro, figlio di Re Thranduil. Al vostro servizio, messere.
Lui sgrana gli occhi, s'illumina da capo a piedi. Poi ricompone il sorriso e appoggia l'arco al muro, per assumere una posa il più regale possibile.
- Aragorn figlio di Arathorn, discendente di Elendil, erede di Isildur; noto al tuo popolo come Elessar, la gemma elfica.
Mi tende la mano, larga e carnosa, da vero re. Poi sorride.
- Ma puoi chiamarmi Granpasso, se preferisci.

Con questo abbiamo finito. Sulla virtualità dell'esistenza umana abbiano detto tutto, o quasi. Resterebbe una cosuccia che stavo per dimenticare. Il famosissimo, nonché totalmente estemporaneo, koan zen di Gigetto, il nostro eroe senza volto.

Koan di Gigetto

La mamma, in giardino, lavora.
- Guarda Gigetto, guarda che bello questo fiore. E' talmente ben fatto che sembra finto.
Il figlio, al computer, gioca.
- Guarda mamma, guarda che bella quest'acqua. E' talmente ben fatta che sembra vera.


[1] Pink Floyd, Empty Spaces (The Wall)

[2] Richard O'Brien, Eddie's Teddy (The Rocky Horror Show)



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