Bandiera inglese Bandiera italiana

Capitolo 5 – Tristano Antonioni

Inutile fingersi santi, siamo bestie!


Dietro le tende scure c'erano due figure che armeggiavano sul pavimento. La prima era quella di un uomo sulla trentina, giacca e cravatta, capelli e baffi pettinati con cura. La seconda apparteneva ad una donna di corporatura intrisa di femminilità. Era difficile comprendere le parole, da lontano, ma all'interno della stanza la conversazione era molto più chiara.
- Non sono convinta.
Andrea lasciò perdere la vite del cavalletto, poggiò la macchina fotografica sul tappeto e si alzò in piedi.
- Allora mettiamola così: l'ideatore di questa macchinazione ha previsto tutto, giusto? Conosceva il percorso seguito nel trasferimento del Franzon, sapeva dove piazzare l'aquila e sicuramente adesso si aspetta che noi arrestiamo Cocciante. Mi segue?
- Fin qui tutto chiaro.
- Abbiamo a che fare con un burattinaio, ispettore! Qualcuno che anticipa i nostri movimenti. Perciò dobbiamo diffidare di ogni indizio, evitare le mosse scontate e agire in modo imprevisto. Arrestare Cocciante sarebbe un'azione troppo ovvia, è sicuramente quello che vogliono.
- Su questo son d'accordo, Cerulli. E' la giornata di tregua che non mi convince.
- Si riferisce a ieri?
- Esattamente.
- E' questo il punto. Supponiamo che il grande genio abbia davvero previsto tutto. Forse gli allegati che abbiamo trovato finora sono fasulli e noi siamo sulla pista sbagliata, o meglio: sulla pista che vogliono farci seguire. Mettere l'appartamento sotto sorveglianza era la prima cosa da fare, per questo non l'abbiamo fatto. Cocciante potrebbe essere un diversivo, una pedina inconsapevole, uno specchietto per le allodole. Se fossimo venuti a Bologna ieri avremmo fatto il gioco del nemico.
- Ma non è successo niente.
Andrea stava perdendo la pazienza.
- Accidempoli, ispettore, non capisce? Ieri non è successo nulla perché siamo rimasti a Milano, con le orecchie tese, i monitor accesi e le pattuglie pronte a intervenire. Venire qui sarebbe stata una mossa avventata. Forse abbiamo già fatto saltare l'intero complotto, semplicemente prendendoci una giornata di pausa imprevista.
Claudia alzò lo sguardo dal radiomicrofono con un sorriso dipinto in faccia.
- Agente Cerulli?
- Sì?
- Posso farle una domanda personale?
- Sentiamo.
- Perché impreca a quel modo?
Il viso dell'Agente Speciale Cerulli s'imbiancò come se gli avessero sparato in faccia con un cannone per la neve artificiale. Un militare non avrebbe mai fatto una domanda personale di quel tipo, le domande personali a cui era abituato erano molto diverse: è sposato, Tenente? Ha figli, Tenente? Si sente bene oggi, Tenente?
Andrea iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, stringendo nervosamente le mani dietro la schiena. Se c'era un dio, da qualche parte, a quell'ora stava gustandosi la scena su un televisore da duecento pollici, sghignazzando divertito davanti ad una buffa pescata del gioco delle coppie. La bella notizia è che il dio non c'era, almeno non da quel punto di vista. La notizia curiosa è che il televisore era un comunissimo ventun pollici con casse stereo incorporate.
Dopo aver percorso il tragitto un paio di volte Andrea si fermò davanti agli scatoloni, lo sguardo rapito dalle apparecchiature adagiate tra patatine di polistirolo: un visore a infrarossi, radioline UHF, telecamere, videoregistratori e computer portatili dell'ultima generazione. Inspirò a fondo e rispose con voce calma, come al solito.
- Senta, ispettore, siamo qui per lavorare, non per una seduta psichiatrica. Le sembra serio fare domande simili? Lo ritengo alquanto poco professionale, da parte sua.
Claudia avrebbe giurato che la frase contenesse qualche "accipicchia" o "perbacco" che erano stati censurati al volo. Un po' si era abituata al fascino freddo dell'uomo con cui stava lavorando, visto da fuori era un professionista, un esperto del settore, intelligente e scaltro. Ma dentro batteva un cuore caldo come una stufa di maiolica e altrettanto grande, Claudia ne era sicura. Un fremito la scosse sotto gli abiti borghesi: non stava mica prendendosi una cotta? Per un finto agente della Digos che non riusciva a dire le parolacce? Per un attimo si domandò se Cerulli fosse sposato, forse quella era una domanda lecita da farsi, ma ricacciò il pensiero nello stomaco: sono domande troppo personali, quelle
- Le chiedo scusa, Cerulli, era così, pourparler.
Calò un breve silenzio. Fuori la notte avvolgeva il palazzo, punzecchiandolo con dita dipinte d'oscurità. Poche finestre resistevano ancora al sonno, le luci erano quasi tutte spente o abbassate, come l'abat-jour a forma d'orsetto che illuminava i due investigatori.
Il condominio dirimpetto era più alto e popolato, all'inizio era sembrato difficile trovare l'appartamento di Cocciante, c'erano decine di finestre tra cui scegliere. Invece lo avevano beccato subito: primo piano, finestra di sinistra, giusto sopra il negozio del fotografo.
- Che sta facendo, adesso?
Claudia portò il visore davanti agli occhi, si avvicinò alle tende e puntò verso il basso.
- Sta cambiando una lampadina.
- Ancora?
- Stavolta è quella del salotto.
- E' la terza che rompe da quando siamo arrivati - Andrea guardò l'orologio - quattro ore.
Poi Claudia scoppiò a ridere.
- Che succede?
La donna fece appena in tempo ad appoggiare il binocolo sulle gambe, prima di farsi rapire dall'attacco di ridarella, incapace di rispondere. Cerulli la guardò sconvolto. Discrezione? Professionalità? Era quasi mezzanotte e lui era davanti ad un ispettore di Polizia in preda al delirio.
- Zitta, per carità, stia zitta! Vuole svegliare l'intero condominio?
- Aiuto - Claudia respirava a fatica, tra una risata e l'altra - la scala...
- Cos'è successo?
Inutile, Meleri si sbellicava sul tappeto, vicino alla finestra, e non era in grado di rispondere. Andrea prese il cannocchiale e guardò verso l'appartamento sorvegliato.
C'erano le comiche in TV. Trattenne una risata mentre metteva a fuoco: Cocciante era caduto dalla scala, cambiando la lampadina, ed era finito sopra alcune gabbie vuote, simili a quelle dove si tengono i conigli al mercato. La testa era rimasta incastrata dentro una gabbia e la serratura era scattata. Attraverso il binocolo un pazzo con la capoccia quadrata si agitava per la stanza sbattendo da tutte le parti, come dentro un film di Charlot, ma l'unica colonna sonora era la risata contagiosa che gorgogliava nell'aria.
Era troppo anche per Andrea. Abbassò il visore e si chinò accanto a Meleri con le lacrime agli occhi, ridendo sotto i baffi il più sottovoce possibile. Per un paio di secondi i due corpi si agitarono in preda alle convulsioni, vicini tra loro, dietro le tende. All'improvviso l'immagine si fermò. Congelati nel tempo, Andrea Cerulli e Claudia Meleri si tramutarono in figure immobili senza un alito di vita, come se avessero incrociato lo sguardo di una Medusa dalla chioma sibilante. Il sibilo usciva dalle casse del televisore, ma non era Dio a guardare.

Fine della registrazione. Che palle, quando avrebbero inventato un telecomando factotum?
Tristano s'era lasciato abbracciare dal divano in maniera lussuriosa, aveva srotolato i calzini a metà, lasciando solo le dita dei piedi avvolte dal cotone. Tentò di alzarsi una prima volta, lanciando un appello a tutti i muscoli. Unico risultato: sciopero generale dal collo fino al tallone, si erano mossi solamente un alluce e forse la lingua.
Mentre si lasciava ricadere all'indietro s'interrogò sull'etimologia della parola "divano". C'era una connessione col termine "divino", ne era sicuro. Tentò una seconda volta, riuscendo ad azionare gli addominali per una frazione di secondo, prima di crollare di nuovo tra le briciole e i mozziconi di sigaretta. Qualcosa fece crack dietro la schiena; ebbe un fremito di terrore prima di comprendere che si trattava di un lattina dimenticata tra i cuscini.
Il terzo tentativo fu quello buono. Si trascinò in vestaglia fino al videoregistratore ed estrasse la cassetta VHS dal titolo "Voyeurs Uno: 20:00 - 24:00". Già che era in piedi ci stava una pisciatina in bagno, gli scappava da un bel po'. Sporcò per bene tazza e pavimento, non si lavò le mani e tornò in salotto, raccogliendo un biscotto dalla moquette. Sbirciò attraverso le tende sgranocchiando rumorosamente a bocca aperta.
I poliziotti avevano ricevuto il cambio. Le figure dietro le tende adesso erano diverse, Tristano sapeva riconoscere le persone in base alle silhouette meglio di chiunque altro.
Perché? Perché era un pervertito e aveva fatto il guardone per anni. Stavolta però era differente, ci avrebbe guadagnato parecchio a filmare ogni cosa e tutto sommato il lavoro non era niente male. L'unica seccatura era che i poliziotti agivano ventiquattro ore su ventiquattro, senza tregua, alternandosi turno dopo turno. Lui invece doveva fare tutto da solo. Quindi registrava e guardava solo le parti migliori, quelle dove gli spioni parlavano, oppure quando compariva un personaggio nuovo.
L'importante era tener d'occhio i due capoccia, Cerulli e Meleri, che parevano essere dei pezzi grossi, roba tipo Ispettore Capo, per dirla alla Clouseau. Invece adesso, in pieno giorno, c'erano solo sbirri ordinari, e comunque stava registrando pure loro. Per il montaggio ci avrebbe pensato Jacopo, con calma, più avanti.
Arrancò fino alla libreria e scorse i vari titoli, soffermandosi per un attimo con lo sguardo libidinoso su "Giovani collegiali marinano la scuola", poi scosse la testa. Lavoro, lavoro, sempre lavoro! Perché si doveva far tanta fatica per tirare a campare? Non aveva mai capito a che pro sgobbare da mattina a sera per far soldi, se così si spreca la maggior parte del tempo.
Sospirò tra il malinconico e il sognatore, afferrando una videocassetta un po' più in là: "Voyeurs Due: 00:00 - 04:00". Tornò verso il divin divano, facendo tappa davanti al ventun pollici animato dalle strisce di cemento elettrico danzante. Inserì la videocassetta, pigiò il tasto play e si lasciò cadere tra i cuscini.
Ah, che dura la vita...

Dopo l'attimo d'ilarità imprevista la situazione era tornata normale. L'agente Cerulli sedeva davanti ad un paio di tastiere e una decina di monitor illuminati. Poco più in là l'ispettore Meleri stava ordinando gli appunti, stringendo il lapis tra i denti. Il momento di comicità aveva rotto il ghiaccio dell'intera banchina artica, e loro, coerentemente, avevano deciso di darsi del tu. Claudia volteggiò sulla sedia girevole con un block notes tra le mani, giocherellando con la matita, sorridente come una bambina che aveva appena finito di fare i compiti.
- Secondo me dovremmo compiere delle indagini trasversali.
- Tipo?
- Iniziamo da Franzon. Chi era prima di immischiarsi in questa vicenda? Che scuole ha frequentato? Qual è il suo curriculum vitae? Dove comprava la marijuana? Hai ragione tu, smettiamo di seguire le briciole che ci hanno lasciato lungo la via e inoltriamoci nella selva.
Andrea la guardò soddisfatto: Claudia era in gamba. Sei mesi, un anno al massimo, e sarebbe stata pronta per l'esame di ammissione all'InterNom.
La donna proseguì in quarta.
- Idem per Levis. Cosa fa nel tempo libero? Come si mantiene? Chi frequenta? Dov'ha comprato il computer che a malapena sapeva accendere?
- Ottimo. Ma non lasciamo fuori Cocciante.
- Beh, lo stiamo tenendo d'occhio proprio adesso.
- Sì, ma credo sia d'uopo investigare trasversalmente anche su di lui. Dove ha recuperato un'aquila reale? L'ha rapita allo zoo? Sicuramente non l'ha comperata in un negozio d'animali, si tratta di una specie protetta e non commerciabile. Potrebbe esserci un traffico di animali esotici, connesso alla Grande Truffa, o chissà cos'altro.
Da brava allieva, Claudia aggiunse la voce "Aquila del Cocciante" alla lista, prima di controllare il monitor alla sua sinistra.
- E' andato a dormire: un quarto dopo mezzanotte.
Andrea indossò le cuffie e rimase in attesa un istante. Attraverso i microfoni direzionali presto si sarebbe sentito ronfare, e lui voleva campionare tutto, anche il modo in cui Cocciante russava. Non dovevano tralasciare nulla se volevano scendere dal palcoscenico, spezzare i fili e incastrare il burattinaio che li aveva presi in giro fino a quel momento.
Un attimo dopo stava correndo come un folle per la stanza.

Avanti veloce per quasi un'ora. A Tristano interessavano solamente i dialoghi, non i pulsanti che gli sbirri pigiavano sulle apparecchiature fantascientifiche. Sul ventun pollici Cerulli e Meleri zampettavano su e giù per la stanza: era il loro turno per le comiche in TV.
Nell'angolo in basso a destra i numeri scorrevano rapidi: 00:20, 00:21,00:22. Quando Tristano tornò a velocità normale il timer indicava l'una e tre quarti.


- Caffè?
- No grazie.
- Non fumi, non bevi, non prendi il caffè. Ce l'hai qualche vizio?
- Uno solo: mania compulsiva per l'ordine.
Claudia inserì la cialda vergine nella macchinetta delle bevande calde e si voltò verso il collega. Andrea passava completamente da un estremo all'altro, in un batter d'occhio, alternandosi tra dottor Jekyll e mister Hyde più veloce di un battitore di baseball. Poliziotto impacciato in prima base, mostro disumano alla seconda, coi diamanti nel cervello, al posto delle rotelle. Andrea continuò a parlare con voce metallica.
- Ordino i pelati con l'etichetta dalla stessa parte, dopo aver fatto la spesa. Tengo ogni oggetto sempre al suo posto, annoto ogni proposito e verifico di averlo messo in atto - alzò la mano per evitare d'essere interrotto - lo so, è spaventoso, ma c'è dell'altro: passo le domeniche a catalogare le librerie altrui, quando me lo concedono.
Raccolse tutta la serietà di cui era capace in una breve pausa, poi alzò gli occhi verso la donna. Non sarebbe bastato un oceano di consapevolezza per descrivere la profondità di quello sguardo, carico di angoscia ossessiva per una missione senza tempo.
- Vorrei mettere in ordine il mondo intero.

Da paura.
Tristano rabbrividì. Se quelli erano i nemici da combattere allora la Grande Truffa non era un semplice atto criminale, ma l'inizio della più grande rivoluzione nella storia dell'umanità. "Loro" avrebbero rovesciato il mondo del lavoro come un calzino e liberato i comuni mortali dalla oppressione dell'InterNom.
Per fortuna lo scambio di confessioni tra i due poliziotti fu breve. Tristano era devoto a ben altri valori, gli unici per cui valesse davvero vivere: verità, bellezza e giustizia. Se poteva, evitava di subirsi le depravazioni ideologiche di quei poveracci, facevano male al cuore e rovinavano la pelle; quindi pulsante "avanti veloce" e tanti saluti all'audio.
Si levò un peso dallo stomaco quando il timer digitale schizzò oltre le 2:00. Stappò una birra al giro di boa delle 3:00, finì di berla una manciata di secondi prima delle 4:00. Gran bella invenzione, il videoregistratore, ti permette di osservare la realtà attraverso la macchina del tempo. Alla fine del film i due piedipiatti si salutarono, con gli occhi arrossati dal sonno, mentre ricevevano il cambio da un paio di novellini.
Dunque i turni erano di otto ore ciascuno: ma che bravi lavoratori indefessi!
Tristano era della scuola opposta. Sveglia a mezzogiorno, colazione abbondante all'inglese, caffè, sigaretta e riposino digestivo. Nel pomeriggio, senza fretta, si metteva al lavoro, di solito verso le tre. Adesso erano le cinque, si era già sorbito due registrazioni da quattro ore ciascuna, quindi meritava una pausa. Prima però doveva segnare le date sulle etichette, era un attimo fare confusione con tutte quelle telecamere, videocassette, telescopi e centraline temporizzate.
Spiare la gente è un lavoro delicato.
Cercò il calendario appeso alla parete, ma al suo posto c'era una macchia bianca. Senza pensarci due volte spostò il tavolo del salotto, gattonò tra le nuvole di polvere e recuperò un pezzo di carta inutile. Bene, era giugno, ma quanto? Ecco la fregatura dei calendari: se non segni con una crocetta il passar del tempo, giorno dopo giorno, loro diventano completamente inutili. Chissà come faceva il resto del mondo a ritrovare il presente, quando l'aveva perso? Andavano tutti all'ufficio tempi smarriti? Mah?
Dunque: lui era arrivato ieri. No, l'altro ieri, in treno da Roma. Non ricordava bene, però da qualche parte doveva esserci un biglietto timbrato, con la data esatta. Controllò nelle tasche dei pantaloni, nel taschino della camicia di pizzo, in quello del gilet macedone, rovesciò le scarpe, annusò i calzini e infine guardò nel frigorifero, che non si sa mai. Nessuna traccia del biglietto, però c'era uno sgargiante post-it giallo appiccicato sul coperchio della terrina, quella con dentro i fermenti per lo yogurt. Tristano ricordò di aver nutrito le candide bestioline appena preso possesso dell'appartamento, subito prima di puntare le telecamere. Sul biglietto era scritto "16 giugno", quindi oggi era il diciotto e la prima registrazione risaliva alle otto di sera del giorno prima.
Eureka.
Secondo Tristano l'unica bussola dell'esistenza era l'istinto, i metodi e le formulette erano per i tipi ordinati, gli squared che altrimenti si perderebbero in un bicchier d'acqua. Un tipo come Cerulli, ad esempio, sarebbe morto in dodici ore senza un orologio e un calendario. Tristano invece ne faceva volentieri a meno: c'erano i fermenti lattici, per dirne una, e mille altre alternative tra cui scegliere. Il tempo è il fuoco eterno in cui ardiamo tutti, aveva sentito dire da qualcuno, quindi perché scervellarsi per sapere che ore sono? Tanto bruciamo comunque.
Segnò la data sulla videocassetta appena visionata, mise la teiera sul fuoco e sbirciò per un paio di minuti attraverso il telescopio.
Il sole tagliava la via Emilia con precisione chirurgica, riflettendosi sui tettucci delle automobili parcheggiate. A quell'ora c'era troppa luce per distinguere le persone dietro i vetri del condominio di fronte, per questo le telecamere erano montate nella stanza dei poliziotti, assieme ai microfoni: non potevano mica fare affidamento su quegli aggeggi a onde ultracorte e raggi infrarossi! Molto meglio il buon sano voyeurismo, alla vecchia maniera.
Alzò il volume della radio, fece una piroetta alla Nureyev e s'accucciò davanti al televisore, gustandosi la situazione in tempo reale. Nel monitor c'erano due poliziotti in abiti borghesi, fumavano come turchi e giocavano a briscola. La qualità dell'immagine era tale da permettergli di distinguere i bastoni dalle spade. Gli sarebbe piaciuto dare qualche consiglio a quei due deficienti, tipo "Dlin, dlon, scusate, vi guardavo dalla finestra, così per caso, e volevo dirle di caricare, tanto l'altro è pulito come il culetto di un bambino".
Ecco l'unico problema del guardone: non poterci mai mettere mano. Ma il controspionaggio restava comunque un'esperienza orgiastica, gli veniva la pelle d'oca al solo pensiero. Si sentiva al vertice di una strampalata piramide pan-dimensionale. L'appartamento di Elias stava cinque piani più sotto, ed era vigilato notte e giorno; come il suo proprietario, del resto, che a quest'ora aveva almeno otto poliziotti alle calcagna. Tristano invece se ne stava in panciolle davanti agli sbirri, più in alto di tutti, come l'ultima statuina di una matrioska, quella più grande.
Anche se, a dir la verità, il più grande era Amedeo, capo indiscusso dell'operazione: era merito suo se il piano stava funzionando a meraviglia. Amedeo si era lavorato l'agenzia immobiliare, affinché risultasse libero soltanto quell'appartamento, in modo che i piedipiatti non avessero altra scelta. Era stato sempre Amedeo a installare i microfoni dietro i mobili, facendo scomparire i fili attraverso le canalette della rete elettrica. Le telecamere, poi, erano state un capolavoro. Amedeo le aveva piazzate dietro gli occhi di vetro degli abat-jour di marmo, a forma d'orsetto, dallo sguardo sognante, teneri e graziosi. Se gli innocenti sono i professionisti dell'inganno, gli orsetti lo sono per eccellenza. Ce ne erano due in ogni stanza, il cavo passava dentro la guaina della corrente e ogni statuina pesava un paio di chili, tanto per scoraggiare i maniaci dell'ordine dall'idea di spostarli.
Complessivamente l'impianto consisteva in una dozzina di microfoni e otto telecamere, compresa quella del bagno: la preferita da Tristano.
La teiera fischiettò un allegro motivetto. Tornò in cucina, spense la fiamma e allontanò il bricco dal fornello, ché il tè non deve mai vedere l'acqua bollire. Slegò il sacchettino di pelle contenente le sue erbette personali, raccolte con amore sui Colli Albani ai primi di maggio. Ne sbriciolò una manciata abbondante attraverso i fumi caldi del vapore. Inspirò a fondo i suffumigi carichi di clorofilla, trattenendo con le mani i lunghi capelli castani per evitare di bagnarsi i boccoli.
L'ondata di energia lo scosse come una banderuola nella tempesta, acuendo le sue percezioni. L'estate palpitava là fuori, la vita esplodeva in ogni risata, in un solo istante Tristano s'immaginò canottiere scollate, pantaloncini aderenti, gambe levigate e spalle nude baciate dal sole. Gli era dato di volta il cervello? Cosa stava facendo da solo in quell'appartamento, quando tutta Bologna lo invitava a uscire mugugnando sottovoce? Aveva già lavorato due ore, oggi, erano più che sufficienti: non veniamo mica al mondo per soffrire!
Se il tè poteva raffreddarsi in cinque minuti, questo non valeva per Tristano. Infilò i sandali e un paio di pantaloni arrugginiti, poi si precipitò giù per le scale.
A torso nudo, ovviamente.

Stava lavorando sotto copertura, altrimenti non avrebbe lasciato correre. Se Claudia Meleri avesse indossato la divisa blu polizia, quei due si sarebbero beccati una denuncia per atti osceni in luogo pubblico. Ispettore della narcotici o no, la legge è la legge.
Claudia aggiustò lo specchietto per controllare meglio.
Era petting, d'accordo, ma decisamente troppo spinto. L'uomo si era già sbottonato i pantaloni, luridi di macchie arancioni, e stava arrampicandosi sulla ragazzina. Oddio, sarà stata almeno maggiorenne? Consenziente lo era senz'altro, ma maggiorenne? Forse erano i capelli raccolti in due codine a ingannare, poteva essere una qualsiasi studentessa universitaria, vent'anni già compiuti ma non ancora metabolizzati. Doveva essere maggiorenne, altrimenti cosa ci faceva seminuda, in un vicolo senza uscita, sdraiata tra gli espositori di cartone e i sacchetti d'immondizia? Con un tipo del genere, poi, che faceva paura solo a guardarlo?
Che spettacolo immondo, potevano almeno aspettare che facesse buio. Per oggi Claudia avrebbe lasciato correre, erano già le otto di sera e Cerulli la stava aspettando. Scese dall'auto sforzandosi di non guardare in quella direzione, ma fu impossibile.
L'uomo alzò il torace, vestito solamente dai lunghi boccoli castani, e accennò un saluto.

Andrea si rizzò a sedere di scatto, come se si fosse appena svegliato.
- Sei in ritardo.
- Scusami, c'era un coppietta qui sotto, sai: atti osceni in luogo pubblico.
- E allora?
Il punto di domanda esplose nell'aria, sotto forma di lampadina: l'orsetto dell'abat-jour si decapitò da solo, i cocci di vetri volarono attraverso la stanza come un'improvvisa grandinata estiva. Stavolta era davvero strano, forse troppo: la lampadina si era fulminata da spenta. Si guardarono imbarazzati. L'aria era satura del silenzio umido che segue ogni orgasmo, un misto di pace e terrore del vuoto.
Andrea prese in mano la situazione, parlando a trentatré giri.
- Ci penso io. So dove sono, le lampadine. Quelle di scorta.
Si mosse senza far rumore, trascinandosi per la stanza come un automa, perso in ogni piccolo dettaglio dell'operazione. L'anta dell'armadio, la confezione di plastica, il coltellino svizzero, il pezzo di ricambio. Era visibilmente stravolto.
- Stai bene?
- Non ho dormito, oggi pomeriggio.
Andrea avvitò la lampadina e controllò che funzionasse, accendendola un paio di volte. Poi sistemò l'abat-jour in modo che fosse perfettamente allineato al gemello.
- Ti spiace dare una spazzata per terra? Odio le schegge di vetro sul pavimento.
Claudia prese la scopa evitando di ribattere. Le faceva pena vederlo ridotto a uno straccio, Andrea sembrava l'ombra sbiadita di se stesso. Un'ombra un po' rigida, con lo sguardo assente, come un manichino telecomandato da un regista distratto e lontano.
- Insonnia?
- Lavoro.
- Capisco. Dov'è Cocciante?
- E' uscito, l'ultimo aggiornamento risale a cinque minuti fa. Si è fermato al Parco della Montagnola, i nostri gli stanno addosso.
Claudia raccolse in silenzio gli ultimi frammenti luccicanti, cestinò il cadavere dell'essere luminoso, infine aprì la valigetta sulla scrivania estraendone un paio di fascicoli.
- Anch'io sono andata avanti. Ho qui i dossier completi su Franzon e Cocciante.
- Ottimo: io ho portato quello su Paolo Levis.
Impiegarono un paio di minuti a sistemare le scartoffie sul tavolo, con lentezza e attenzione. Poi, all'improvviso, Andrea si svegliò dal torpore e partì come un razzo.
- Dunque: Paolo Levis, nato a Piove di Sacco il 16 marzo del 1966, il padre era un maresciallo dell'aeronautica. Bocciato alle scuole medie, rimandato al primo anno di agraria, ritirato al second'anno, mai diplomato. Appassionato di strategia e tattica militare, sembra che sin da piccolo si divertisse a organizzare giochi di guerra, oltre alle gare di skateboard e le inevitabili partite a calcio. Ho rintracciato un amico d'infanzia, da cui risulta che Levis era particolarmente portato per l'artigianato.
- Artigianato?
- Una sorta di tutto fare: lavorava il legno, truccava i motorini, metteva il naso ovunque, compresi i primissimi videogiochi anni ottanta. Non mi sorprenderei se avesse costruito il suo primo detonatore a dodici anni.
- Tutto qui?
- Riguardo l'adolescenza, sì. Ma ho trovato un particolare interessante, molto più recente. Abbiamo a che fare un con un duro dal cuore tenero: un musicista.
- Paolo Levis suona?
- Peggio! Canta in un complesso hard rock, i To Be Continued. Ho comperato tutti i loro CD da uno dei pochissimi fans. E' materiale che non si trova nei negozi di dischi.
Sul tavolo fecero la loro apparizione dei compact disk, sgargianti di luce laser.
- Non li ho ancora ascoltati, non ho avuto tempo. Il bello è che Paolo Levis dichiara di mantenersi con i proventi dell'attività musicale. Ho controllato anche questo: meno di mille copie vendute in cinque anni, non ci pagano nemmeno le spese di produzione.
Claudia raccolse uno dei CD e lesse il titolo: "Crazy Homely Games". Sicuramente robaccia.
- Tocca a te - disse Andrea.
Come all'università. Ispettore Claudia Meleri, dottore in legge, laureata col massimo dei voti. Il ricordo degli anni passati sui libri la travolse come un fiume in piena, trascinandola verso valle tra i flutti melmosi e gli alberi sradicati. Ogni relitto galleggiante era un ricordo, un pegno, un sacrificio rubato alla giovinezza. Pensò alle domeniche trascorse da sola, in compagnia del diritto civile, a ripetere articolo dopo articolo. Se gli uomini avessero avuto un po' di comprensione, quando lei restava a casa a studiare, forse adesso avrebbe un marito e un paio di marmocchi. Invece si erano tutti consolati tra le cosce di qualche troietta disoccupata e mantenuta.
Così gli esami erano stati l'unico riscatto, il rito che le faceva scorrere l'adrenalina nelle vene per andare avanti. Claudia faceva scintille, quand'era sotto pressione.
- Giuliano Franzon, detto Zagreus, nato a Chioggia il dieci novembre del 1955. Nulla che già non sappiamo, vado rapida per non lasciare dubbi: ex giocatore di basket, appena congedato dall'esercito viaggia per tutto il nord Africa, arrivando fino in Eritrea. Dopo tre anni torna in Italia e fonda la Teuta Ancestrale, un'associazione non riconosciuta tesa a riportare in auge la civiltà preistorica e abolire ogni forma di tecnologia. Peggio dei mormoni.
Il tutto senza staccare gli occhi da quelli di Andrea, meglio di una cronista del telegiornale, ma lui non sembrava per niente stupito. Si limitò a rispondere con aria di sufficienza.
- E Cocciante?
D'accordo, questo era solo l'antipasto, cocco bello. Adesso ti stendo.
- Stefano Cocciante, gli amici lo chiamano Elias, ma nessuno sa perché. Nato a Bologna nel febbraio del 1970 da genitori ignoti, è cresciuto all'orfanotrofio comunale. Siccome non viene adottato, le suore gli danno il cognome di un cantante, sperando che gli porti fortuna. Invece la sua vita è un incredibile collezione di fallimenti. Prima si cimenta come chitarrista, senza ottenere alcun risultato, poi lavora come animatore nei villaggi turistici e nelle discoteche romagnole, ma perde il posto nel giro di pochi mesi. Tre anni fa ottiene finalmente il primo lavoro "serio": allevatore faunistico a domicilio. Indovina un po' di cosa?
- Conigli?
- Singolare.
- Coniglio?
- Con le ali.
- ...
- Un'aquila reale, Andrea! Un esemplare unico, cresciuto in casa senza alcuna autorizzazione a norma di legge.
Un'espressione confusa apparve sul volto di Cerulli. Finalmente Claudia aveva in mano le redini, esattamente come all'università.
- Così mi son detta: è un piano ordito da anni, giusto? Quindi perché comperare un'aquila adulta, attirando mille sospetti, quando c'era tutto il tempo di allevare un pullo? Tra l'altro ciò spiegherebbe le gabbie metalliche: Cocciante acquistava cuccioli di lepre, almeno un paio al mese, per darli in pasto al rapace.
Andrea la guardò compiaciuto. Era un ragionamento bizzarro, ma considerata la situazione non faceva un grinza. Confuso, abbassò lo sguardo per prender tempo, cercando di trovare le parole per un complimento azzeccato. Sei stata brava? Banale. Sei più intelligente di quanto sei carina? Troppo pericoloso, una donna poteva prenderla come offesa.
Fu salvato dallo squillo del telefono.
- Ispettore Meleri. Sì, dica pure. Quand'è successo? Siete sicuri? Mmm... quale ospedale? Resti in linea, grazie.
Appoggiò la mano sul microfono, con un misto di sorpresa e rassegnazione scolpiti sul volto.
- Cocciante ha perso conoscenza. La squadra che lo pedinava si è insospettita, era sdraiato sulla stessa panchina del parco da troppe ore, senza muoversi, così hanno controllato. In questo momento lo stanno portando all'Ospedale Maggiore, qua dietro.
- Dammi la cornetta.
Senza aspettare risposta Cerulli le strappò il telefono di mano, uno strappo accorto, né forte né gentile, ma deciso. A volte gli schiaffi servono solamente a ribadire chi è che comanda, ma fanno ugualmente male, anzi: forse di più.
- Sono il Tenente Cerulli, passatemi uno dei miei uomini.
Claudia lo osservò con attenzione durante l'attesa. Chissà se lui le avrebbe mai svelato di cosa era tenente? Carabinieri? Corpi Speciali? Esercito della Salvezza?
Andrea invece continuava a guardare verso il basso, fuggendo lo sguardo della collega. Il pavimento gli dava sicurezza: solido, ordinato e rettangolare. Così avrebbe dovuto essere il mondo, secondo lui.
- Sono Cerulli. Ordinate una scansione completa dell'organismo, per evidenziare eventuali agenti induttori di coscienza alterata, coma, catalessi o altro. Poi tutti gli esami del caso, come da procedura. Almeno quattro uomini di guardia, armati e schermati, ventiquattr'ore su ventiquattro. Passo e chiudo.
Ripose la cornetta con sobria eleganza, lasciando echeggiare il click nel silenzio surreale, poi avvicinò i polpastrelli con fare impacciato.
- Sembra che non ci sia più nulla da fare, qui. Io ne approfitto per riposare un po', finché aspettiamo l'esito degli esami dall'ospedale. Ti spiacerebbe svegliarmi quando chiamano?
Si girò sui tacchi, senza aggiungere altro, e sparì nella camera da letto.
Claudia rimase ipnotizzata dal tocco soffice dalla porta che si chiudeva, confusa e completamente disarmata. Non era umano quello lì, anzi: doveva essere un automa, un androide, qualcosa del genere. Aveva dimenticato la discussione in un paio di secondi ed era scomparso senza nemmeno dirle "brava". Cerulli era una macchina, fatta di pelle, ossa e muscoli, con un cervello grande come una casa ma senza cuore. Non c'era spazio per i sentimenti dietro quella camicia bianca e quella cravatta nera. Un cuore grande come una stufa di maiolica? Come aveva fatto a pensare qualcosa del genere, la sera prima?
A vent'anni avrebbe detto d'essere impazzita, a venticinque di aver sbagliato valutazione, a trenta di non aver osservato bene i dettagli. Ma adesso ne aveva trentasei, ed era pregna di consapevolezza come una spugna imbevuta di quintessenza, quindi sapeva riconoscere benissimo i sintomi del disorientamento. Doveva iniziare immediatamente a ripetere il mantra difensivo della donna di mezz'età.
- E' uno stronzo, un emerito stronzo, nient'altro che uno stronzo. Pieno di sé, complessato e insicuro. Anzi: è un immaturo, un codardo, un vile che preferisce gratificarsi col successo professionale, piuttosto che mettersi in gioco.
Si accasciò disperata sulla poltrona, accanto al telescopio a infrarossi e alla centralina di comando dei microfoni direzionali, con la mano tremante sul petto. Magia, fantascienza, la fine del mondo: avrebbe accettato tutto di buon grado. Ma innamorarsi un'altra volta dell'uomo sbagliato no, questo mai, proprio non poteva permetterselo.
Aveva già sbagliato una volta nella vita e le era bastato, tanto che se n'era addirittura dimenticata.

I cassonetti erano macchie quadrate avvolte dal puzzo della città. Macchie di consapevolezza, pensò Tristano. Conoscere la verità fa sempre male, è un dolore sordo che s'arrampica su per la colonna vertebrale, ti attanaglia i polmoni e ti strangola il cuore.
Per fortuna c'erano dei vantaggi, di tanto in tanto. Come ad esempio godersi la faccia dell'ispettore Meleri, quando li aveva sorpresi. Era stato quasi meglio di scoparsi la ragazzina che adesso riposava accanto a lui, tra i sacchi d'immondizia.
Tristano s'avvicinò al volto bianchissimo della fanciulla, lasciandosi incantare dai capelli ramati, raccolti in due codini "muy sexy". Perché le altre donne non capivano le regole del gioco? Domanda mal posta. Le altre donne capivano e come, ma non conoscevano le mezze misure. O erano sempre ben vestite, o sempre provocanti, o sempre trascurate. E' vero, avete ragione, impazzire per un reggicalze o una minigonna è superficiale, però è bello. A me piace guardarti, a te piace farmi sbavare. Allora non dico tutti i giorni, ma almeno una volta, ogni tanto... si potrebbe anche strafare, provocare, troieggiare. Insomma godersi la vita.
Tristano stava alla larga dalle estremiste del buon gusto, una donna sempre elegante è una donna a senso unico, e lui preferiva guidare contro mano.
Ma evitava anche quelle dell'altra scuola, quelle tipo pantalone più largo di otto taglie, felpa ginnica pseudo militare, cane, gatto, piercing e tatuaggio. Per vederle tirate si doveva aspettare la laurea. E se provavi a dirgli: "ti amo per quello che sei, non per il tuo corpo, anzi: il tuo corpo non m'interessa affatto", non le vedevi mai più.
Secondo Tristano la donna perfetta si vestiva di stracci, e qualche minigonna ogni tanto. Adorava mangiarla con gli occhi, spalmarla nuda sulle tartine e spogliarla attraverso i riflessi rubino del calice di cristallo. Non serve una cena a lume di candela quando ti lasci illuminare dalla passione, i sacchi dell'immondizia vanno bene lo stesso.
Però era difficile essere superficiali fino in fondo, liberarsi dal condizionamento del conformismo tirato a lucido. Le calze a rete smagliate sono più sexy di quelle nuove, la minigonna color panna macchiata di caffè istiga al sesso selvaggio, il maglione sgualcito è più erotico di un body attillato, la camicetta bucata è l'emblema della passione più feroce. Passione senza né virgole né puntini di sospensione, quando strappi i vestiti coi denti, affamato di carne e sudore. Quello era l'ardore che correva nelle vene di Tristano, quand'era eccitato. Quindi non più spesso di una dozzina di volte al giorno.
Accarezzò con la mano i ciuffi arruffati della fanciulla addormentata. Ecco una donna! Giovane e sostenuta con sussiego, accattivante e seducente. Tristano l'aveva notata subito, s'era lasciato incantare dagli stivaletti alti fino al ginocchio, la gonna rosso fuoco, stile cintura bassa, il corpetto di pizzo e il nasino all'insù, incastonato in mezzo a due smeraldi naufragati in un mare di mascara. Dio che bellezza! Sublime, incantevole, Tristano avrebbe ucciso per lei, una notte sola, è vero, ma avrebbe davvero ucciso per averla, questo contava. Così era l'amore, secondo lui: l'intensità del presente, la passione che travalica l'esistenza, rovesciandola nell'impeto degli ormoni che trascinano due anime abbracciate verso l'oblio.
- Se la sposavo non lo so, ma cosa conta...
Canticchiò sottovoce, sperando di svegliarla, immaginandosi davanti all'altare, in smoking viola, accanto alla dolce creatura ammantata del velo nuziale.
Naaah!
Il matrimonio era follia, un contratto sui sentimenti, inutile come un grattacielo costruito sulle sabbie mobili. Meglio amarla qui ed ora, godere ogni centimetro della pelle immacolata, morbida, calda e ancora umida. Iniziare dalla fronte, scivolare sulla guancia, scendere lungo il collo per arrivare alla spalla nuda. L'esile bicipite, i peli dell'avambraccio e il polso vellutato, scostando con delicatezza il cinturino dell'orologio, per non svegliarla.
Le nove e mezza. Tardi, s'era fatto terribilmente tardi.
Tristano baciò la bella addormentata, lasciandola sul letto di piselli, plastica e tetrapak, poi scattò in piedi e tornò correndo verso casa.
La videocassetta era finita, il tè era buono solo per invecchiare la carta e il divano sembrava la toilette trasandata di un porcile. Tristano rovesciò i cuscini alla ricerca d'una maglietta, l'indossò rapidamente e sbirciò nel telescopio.
L'ispettore Meleri era rimasta da sola a studiare alcune carte. Nella stanza accanto, nascosto dietro le persiane chiuse, l'agente Cerulli dormiva alla grande. Almeno secondo l'orsetto della camera da letto, dalla vista a raggi infrarossi.
Bene, non si era perso nulla. Inserì una nuova videocassetta, controllò la registrazione e stappò una birra ghiacciata. Portò la lattina alle labbra e la mandò giù a sorsate, lasciando scorrere la schiuma bianca lungo il viso e sul pavimento.
Se non sai spandere, non sai vivere.
Tra le bollicine gorgoglianti di luce dorata lui scorgeva ogni volta la verità. La birra era una delle poche manifestazioni dell'esistenza di Dio. Ambrata, leggermente frizzante, amara quel giusto che stroncava la sete senza pietà, inebriandola con briciole d'alcol figlie del malto fermentato. Alcuni anni prima, sorseggiando una birra, Tristano aveva raggiunto l'illuminazione sul sesso e l'amore. Secondo lui le donne son tutte porche, sognano uomini perversi ed egoisti che le usino come macchine da sesso, facendole sentire utili solo durante l'amplesso. Uomini che le desiderino appassionatamente, disposti a morire per loro, a strisciare, a uccidere.
La differenza stava nella consapevolezza: ci sono quelle che soffocano l'istinto e si concedono controvoglia persino al marito, negando che il sesso sia il fondamento della coppia.
Poi ci sono le semi consapevoli: hanno intravisto l'orizzonte della lussuria sfrenata, ma lo razionalizzano come un difetto, una malattia, una sorta di perversione. Sono quelle che quando concedono tutto poi si sentono sporche.
Infine ci sono le puttane: hanno capito cosa vogliono e lo prendono. Per questo sono osannate dagli uomini, e invidiate in gran segreto dalle altre donne.
La birra era finita e la verità evaporò tra le ultime bollicine gassose. Si tornava al lavoro.
Accostò l'occhio al telescopio e centrò la figura dell'ispettore Meleri. Chissà che tipo di donna era: repressa, complessata o libertina?
Tristano adorava porsi domande assurde, dopotutto solamente i rami secchi seguono la corrente, i pesci invece risalgono verso la sorgente e infrangono le regole. Il tronco si lascia cullare dai flutti, il pesce si muove per mangiare. Il tronco è morto, il pesce è vivo. I tronchi sono persone represse, i pervertiti sono i pesci.
Il pesce coi boccoli ruotò il telescopio, mentre Claudia sorseggiava il caffè.

La caffettiera aveva borbottato complice, coprendo il rumore dei singhiozzi.
Dove aveva sbagliato? Certamente era anche colpa sua, è troppo facile dar sempre la colpa agli uomini. Quando sei zitella a trentasei anni ci deve pur essere un motivo. Forse era la pignoleria selettiva con cui squadrava i maschi attraenti, oppure il carattere forte e tutt'altro che arrendevole. Più semplicemente non riusciva a innamorarsi, perché se ti innamori non ci sono mai problemi: ti butti e basta.
Claudia sfiorò la caffettiera coi polpastrelli, carezzandone il calore metallico. Il terrore di rovinare tutto le mordeva l'anima, non voleva ripetere gli errori del passato, cadere ancora una volta nel baratro astioso del vittimismo. Le sovvenne un dubbio: quali errori passati? Forse aveva rimosso e non voleva ricordare. Faceva già abbastanza male la ferita fresca, sapere che Andrea se l'era svignata in quattro e quattr'otto per andare a riposare, su due piedi, la prima e forse unica volta che Cocciante non sarebbe tornato a casa . La prima occasione buona per chiacchierare, conoscersi meglio, guardarsi negli occhi, senza parlare di lavoro.
Però era strano. Claudia ricordava chiaramente ogni dettaglio degli ultimi giorni: l'arresto di Franzon, la fallita intrusione a casa di Levis, il breve volo dell'aquila reale sulle alpi lombarde.
Prima invece c'era solo un vuoto affollato di quadri stinti, come una parete lontana, familiare e estranea al tempo stesso. Sapeva di essere cresciuta a Lecco, da genitori divorziati. Sapeva di aver studiato legge, di aver vinto il concorso per ufficiali della Polizia al primo tentativo, di essere diventata ispettore nel giro di pochi anni.
Sapeva, ma non ricordava. Era come se avesse ricevuto un'eredità scomoda, un bagaglio di emozioni che non le appartenevano. Però dentro di lei sapeva che c'era un motivo persino per quel vuoto di memoria. La certezza inspiegabile che tutto era sotto controllo la tranquillizzò, mentre annusava il caffè, alleggerita nella coscienza dai vapori caldi che salivano verso l'alto, ansiosi di esplorare il soffitto dell'appartamento. Niente zucchero, un soffio rituale sulla superficie nera bollente, per lasciarsi rapire dall'aroma della caffeina. Dopo un paio di sorsi poggiò la tazzina e iniziò a passeggiare per la stanza, fermandosi davanti agli occhi di vetro del portalampada.
- Piccolo mio, io sarò anche pazza ma so che tu capisci, mi capisci sul serio.
L'orsetto non rispose, almeno non in quella stanza. Nel condominio di fronte Tristano stava sbellicandosi dalle risate.
- E allora dimmi, orsetto, cosa devo fare con questo Clint Eastwood col vocabolario di Don Camillo: lo prendo a schiaffi? Gli salto addosso?
Nel silenzio della stanza Claudia s'immaginò la risposta echeggiare dentro di lei.
- Hai perfettamente ragione: devo dimenticarlo e lasciar perdere. Tutto qui.
Tornò verso il tavolo, riportando la mente sul lavoro sospeso, come un comanche che dissotterrava l'ascia di guerra. Trabaccò un paio di minuti, ordinando le carte sparpagliate sul tavolo, allineando i fascicoli e tracciando ampi circoli con l'evidenziatore. Aveva imparato che le intuizioni arrivano a quel modo: cerchi qualcosa che non sai, entri in stallo meditativo, la mente si svuota e si perde nel marasma di informazioni. Quando lo smarrimento è totale, quando non ricordi più qual era il problema, né perché andava risolto, ecco che allora s'accende una lampadina virtuale nella testa.
Accadde anche stavolta. La lampadina era quella sul soffitto, la cui luce si rifletteva sulle microscopiche incisioni dei compact disk. Un riflesso rossastro baluginò sui dischi dei To be Continued, attirando l'attenzione di Claudia. Ne prese uno a caso e lesse i titoli: nulla di interessante.
Raccolse il secondo e sbirciò la copertina: un coccodrillo incappucciato da frate, che reggeva nella mano destra una sfera di cristallo. Dalla sinistra usciva una ragnatela di fulmini. Dietro al mostro, ben allineati in righe ordinate, stava una confraternita di alligatori, tutti con l'abito monacale. Il disegno era piuttosto rozzo e inquietante.
Poi le cadde l'occhio sulla lista delle canzoni: From hell with love, The new wave of music, Iron home-made, Crazy under the night, Allegato Cinque.
Si guardò intorno smarrita, temendo quasi di trovarsi dentro una candid camera.
Il primo impulso fu quello di svegliare Cerulli e sventolargli sotto il naso il CD che lui aveva comperato, ma che evidentemente non aveva neanche degnato di un'occhiata. Agente Speciale? Tenente dei Cavalieri di Malta? Andrea Andrea, hai perso mille punti, l'indizio era lì, sotto il nostro naso. Perciò adesso dormi e lasciami lavorare da sola. Ti sta bene.
Claudia corse verso gli scatoloni delle apparecchiature elettroniche, gettando tutto all'aria. Sul divano finirono mirini di puntamento, radiomicrofoni piccoli come una pulce d'acqua, videoregistratori, telecamere e teleobiettivi. Alla fine il tesoro le comparve tra le mani: un lettore CD nuovo di zecca.
Trenta secondi dopo l'Allegato Cinque stava suonando dalle casse stereo. Punk ritmato veloce a basso volume, per non svegliare il fessacchiotto che dormiva nella stanza accanto.

Non coprire le tue orecchie,
non gettare le manette,
quando il fuoco dell'oblio,
tocca il cielo vengo anch'io.
Bolle il sangue dentro il corpo,
se hai capito di aver torto,
nel spiare gli innocenti,
coi tuoi mezzi producenti.
Lascia stare il distintivo,
molla tutto e resta vivo,
annusa l'aria della stanza,
capirai che é una vacanza!

Hai trovato le istruzioni, proprio quelle che cercavi,
ora puoi gettar nel cesso, telecamera e pistola,
fatti un giro va' che è meglio, tanto dentro nello schermo,
ci stai tu e quell'idiota, come attori di uno show!

Guarda meglio nel palazzo,
gli occhi dolci del pupazzo,
che ti osservano da ore,
è un infame traditore.
Sei spiata dietro il vetro,
te l'ho messo nel di dietro ,
tu che spari quei verdetti,
contro i soliti sospetti.
Leva subito le tende,
guarda in alto chi contende,
come un'aquila reale,
la tua vista marginale!

Sei fottuta già lo sai, marionetta sopra il palco,
ti muoviamo con i fili, siete tutti burattini,
sei spiata l'hai capito, dal principio della storia,
abbiamo vinto senza gloria, t'han fregato la memoria!


Panico. Terrore cieco in tutte le ossa. Un olocausto nucleare l'avrebbe spaventata meno. Claudia era rimasta davanti allo stereo paralizzata, l'indice ancora vicino al tasto play, il cervello in pappa che macinava istruzioni, abbagli, distorsioni e inganni elevati all'ennesima potenza. L'idea di svegliare Cerulli restava lontana mille miglia, oltre le Americhe di Colombo, dietro la Luna di Armstrong, più in alto del trono dell'Onnipotente e più in basso dell'ultimo girone dell'Inferno.
Quella canzone parlava di loro, merda! Merda e poi merda! Lo ripeté ancora una decina di volta, battendo i pugni contro il tavolo, alla cieca, picchiando fantasmi immaginari che fuggivano da ogni parte. Doveva riascoltarla immediatamente, ad alto volume, tirare giù il testo e farla analizzare. Non c'era tempo per la scientifica, l'allarme generale o la cavalleria. L'istinto le diceva che doveva capire subito di cosa si parlava, le parole si riferivano al presente, quel dannato presente della stanza affollata di telecamere. Come se non bastasse, c'era un altro problema: se l'allegato uno era per Zagreus, il due per Levis, e quello era il quinto, dov'erano finiti il terzo e il quarto? Era come se una nebbia lattiginosa si fosse invischiata tra i suoi pensieri, stroncando ogni ragionamento e intuizione. Oppure stava semplicemente dando i numeri, per una volta tanto in senso letterale.
Forse era il caso di svegliare Andrea.

Nel frattempo Tristano aveva raccolto le registrazioni e cancellato le impronte. La poliziotta c'era arrivata subito, si era visto dall'espressione del volto: mascella spalancata e occhi impallati. Tristano aveva iniziato a sbaraccare mentre la prima strofa dell'Allegato Cinque risuonava nelle orecchie al silicio degli orsetti portalampada.
Nel marasma trafelato della fuga scoprì di invidiare Elias. Tristano era un edonista, impiegava ore ad uscire di casa, ogni piccola distrazione era una tentazione, un rituale da officiare. Ci voleva l'esperienza di un vero casinista per raccogliere tutto in un paio di minuti.
Il casinista per eccellenza era Elias, il maestro dell'improvvisazione e del problem-solving.
Tristano sapeva uscire in fretta solo quando si trattava di sesso. Entrava, usciva, andava avanti e indietro per ore, indeciso sul da farsi. Perché prendere una decisione è davvero difficile, in certi momenti. Al contrario Elias era d'una praticità spaventosa, nonostante le apparenze, anzi: era proprio la sua vita caotica a renderlo particolarmente ordinato. Legge del contrappasso. Quindi Elias era una vittima del caos, ma anche un'artista della velocità.
Era il momento buono per applicare quanto imparato dal maestro. Tristano levò le tende il più lentamente possibile, fedele al motto di Elias "affrettati con calma".
Priorità uno: avvolgere i nastri, spegnere le telecamere, ruotare i telescopi verso l'alto e mettere il caffè sul fuoco.
Priorità due: raccogliere gli effetti personali, sistemare zaini e valigie in fila sopra il divano, estrarre le videocassette, scrivere le date delle ultime registrazioni e togliere le birre dal frigo.
Ultimi ritocchi: spegnere la moca, infilarsi le scarpe, versare il caffè e mettersi lo smalto.
Uscita di scena: zaino in spalla, valigia a tracolla, tazzina fumante in mano e dito sul pulsante dell'ascensore, per soffiare sul caffè e sulle unghie al tempo stesso.
Tristano aveva un unico valore che veniva prima della devozione per la lussuria: la consapevolezza. Conoscersi, accettarsi, comprendere i propri limiti e non vergognarsene. E lui si conosceva davvero bene, sapeva che dopo un'esperienza stressante aveva bisogno di scaricare i nervi. Per quello erano necessari sia lo smalto che il caffè.
Il primo per dare un tocco di ambiguità al suo fascino da "bello e dannato".
Il secondo per ballare tutta la notte.

Luci trasversali scolpiscono i profili degli sconosciuti, lontani, talmente estranei da divenire fratelli, sorelle e amanti. L'aria si fa mamma, eternamente pregna di nicotina e vapori d'alcol, disegnando amore sulle labbra e tra le ombre. Gli occhi parlano di sesso, dolcezza e solitudine. I meccanismi si inceppano, le insicurezze rotolano sulla pista, si lasciano calpestare, esorcizzare, violentare e palpeggiare dal primo che passa. I sorrisi esplodono nel buio.
La discoteca.
Tristano conosceva solamente un modo per parlare con Dio: danzare. Se Elias era pazzo, perché sovente parlava da solo, allora Tristano era fortunato, perché Dio lo ascoltava e rispondeva pure. A volte gli mandava una biondina in minigonna, altre volte un D.J. gentile, altre ancora un maghrebino col quale improvvisare nuovi passi.
Perché la danza non è la soddisfazione verticale di un desiderio orizzontale, ma è molto, molto di più. E' amore universale, complicità col prossimo, fratellanza mimica dell'anima.
Gesù Cristo avrebbe ballato salendo verso il Calvario, se avesse potuto, almeno così credeva Tristano. Dio quanto amava muoversi a tempo con un africano, sorridersi nello sguardo e inchinarsi riconoscenti l'un l'altro. Oppure entrare nel cuore di una donna senza nemmeno vederla, cavalcare la sintonia dei movimenti avvolto dal buio di velluto, dal manto notturno della vita, tra l'incognita e il mistero. Finché un amico ti ferma e ti dice - "Ma ti sei accorto? Tu e lei ballate esattamente allo stesso modo, senza nemmeno guardarvi".
Quando danzi esiste un unico tempo indicativo: il presente.
Piroetta, salto e slancio di mani verso il cielo. Dio sono qui, parlami, prendimi, stravolgimi, osannami. Ecco, io ti rendo grazie per avermi dato le gambe, i muscoli, il sangue e le orecchie. Per la musica che palpita, il ritmo che vibra, il suono che scalda. Altro che chiese, incenso e particole surgelate. Vi darò amore, soltanto amore, nient'altro che amore.
La scopata occasionale? Un incidente di percorso, un attimo di debolezza, un momento di infedeltà verso l'unica vera consorte, la danza mistica. L'oblio dei sensi, il nirvana dei muscoli, la terapia delle articolazioni e l'eutanasia del fegato. Tappa al bancone bar, un gin-tonic grazie, come sei carina stasera, scusa scappo la pista mi chiama.
Un salto a sinistra, sposta il piede, mani sui fianchi e ginocchia in avanti. Spinta pelvica, anarchia senza regole, senza contare i passi, senza guardare il partner.
C'è solo Lui, lassù, a guardarmi, ed io ballo da solo. Non abbiatevene a male, non è colpa vostra, è una questione di fede: sto ballando con Dio.