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La favola di Fedro

C'era una volta un mondo creato in sei giorni, in nome dell'Amore. Il suo Creatore, adorato dalle moltitudini come il Grande Spirito, padre onnipotente di ogni cosa, volle plasmare i figli prediletti a sua immagine e somiglianza. E' così fece.
Egli guardò tra gli animali fatti di carne ed ossa, succubi di istinti naturali, per questo né giusti né sbagliati, ma semplicemente spontanei. E tra questi scelse l'uomo, razza a lui simile in tutto, tranne nella Conoscenza. E di tale animale, preservandone le pulsioni bestiali dell'amore e dell'odio, fece il suo prescelto.
L'uomo, appena infuso del soffio divino, prese a camminare eretto, ammirare le stelle e sospirare rapito dagli innumerevoli tramonti. Come gli altri animali piangeva, cantava, soffriva e gioiva. Era capace di privarsi del cibo per donarlo ai propri figli, così come sacrificare sé stesso per difendere strenuamente la tana e la famiglia. Un amore sì puro e profondo, come Natura insegna, era bilanciato dalla capacità di errare senza malizia. Poteva tradire, ma solo perché spinto dal bisogno o dalla libidine. A volte uccideva, ma sempre e solamente perché schiavo dell'istinto di sopravvivenza. Altre volte s'infuriava, gridava e distruggeva le proprie creazioni, semplicemente perché animale e quindi incapace di prevedere le conseguenze delle sue azioni.
Poi, un giorno, un servitore dell'onnipotente si impietosì davanti all'ignoranza dell'uomo. Ne vide la grandezza e le potenzialità, meri riflessi indegni della Grandezza Divina.
Il servitore, il cui nome era Baal, si tormentò a lungo sul da farsi: il suo amore per Dio era talmente grande che avrebbe voluto vederlo riflesso limpidamente nell'uomo, e al tempo stesso amava l'uomo al punto tale da volerlo servire e riverire come un dio.
Così, credendo di fare cosa buona e giusta, Baal offrì all'uomo il frutto della Conoscenza, elevandolo al di sopra della condizione animale. Ma, pur agendo in buona fede e spinto solo dall'amore più puro e disinteressato, Baal commise un grave errore. Donando la capacità di discernere Bene e Male all'uomo, egli impiantò un dono troppo grande all'interno di una mente troppo limitata.
L'uomo ricevette riconoscente il dono, aprendo gli occhi per la prima volta sull'universo della Coscienza, scrutando entusiasta il paradiso dove albergava. Ma presto la sua mente non resse al peso della nuova consapevolezza. Gli istinti, che prima erano solo naturali, vennero catalogati tra i concetti di Bene e Male. L'amore, sino a quel giorno armoniosamente alternato tra felicità e malinconia, si tramutò da fiamma ad incendio privo di ogni controllo.
Il Creatore onnipotente, visto e compreso il pericolo della nuova situazione, allontanò da sé i figli dell'uomo e la stirpe di Baal, scacciandoli dal paradiso celeste. Ma i suoi occhi versavano lacrime copiose mentre ordinava una simile sentenza. Egli amava l'uomo più di sé stesso, ed ammirava la generosità incondizionata di Baal, suo primogenito. Ma fu proprio l'amore, talmente forte ed incondizionato, a motivare l'esilio dei suoi figli prediletti.
Un padre sa amare veramente solo se in grado di privarsi dell'amore, in nome di un amore più grande, a costo di essere incompreso nella sua severità. Questa infatti è la differenza tra bontà divina e bontà umana, essendo la seconda null'altro che egoismo utile al prossimo.
Passarono i secoli e i millenni. Il popolo dell'uomo proliferò sulla Terra, moltiplicandosi e dilagando come incenso colato sui continenti.
Lontano, oltre le viscere del cosmo più profondo, Baal e i suoi fratelli, pari a lui in grado, onorificenza e colpa, presero a vagare sperduti nella notte senza tempo.
Col passare dei secoli l'uomo dimenticò quel che era accaduto. Creò leggende, inventò religioni, costituì assemblee politiche e riempì libri interi di dotte filosofie. Ma ogni suo pensiero era sempre più lontano dalla verità, per quanto ne contenesse una parvenza.
L'idea che la Conoscenza era la causa della propria condanna venne accantonata sempre più.
La mente aveva permesso invenzioni come il fuoco, la ruota, la stampa e il carbone. Forte di questi risultati l'uomo osò spingersi oltre, elevandosi presuntuosamente su tutte le altre forme di vita, diffondendosi come un cancro sull'intero pianeta. Alberi e fiumi cedettero al suo passaggio, gli animali del bosco divennero protagonisti di orribili superstizioni, mentre la stirpe di Baal venne considerata null'altro che un'orda di demoni malvagi.
Ma non vi è azione senza reazione, e il potere dell'uomo implicava nuove responsabilità.
Uno dei servitori di Baal, di nome Relith, ingelosito dalla situazione umana e inferocito per la ingratitudine mostrata, decise di vendicarsi. A tal scopo attraversò l'abisso giungendo fino ad un sovrano ambizioso e privo di scrupoli, facile preda delle tentazioni oscure del demone. Relith si prodigò per anni, sussurrando parole di corruzione alle orecchie del sovrano.
Quest'uomo, dannato sin dalla nascita, accettò senza opporre resistenza i consigli demoniaci, apprendendo le Arti Oscure per ottenere il potere sui popoli. In pochi anni divenne un tiranno sanguinario, prese il controllo del proprio esercito e dichiarò guerra al resto del mondo.
I combattimenti che seguirono imbrattarono l'effige della razza umana come mai era accaduto fino a quel momento: bambini innocenti vennero arsi tra le fiamme, le spose furono separate crudelmente dai mariti, interi popoli senza colpa si trovarono a patire la fame racchiusi in campi circondati dal filo spinato.
Alla vista di un simile orrore Baal trasalì. Era sua la colpa, dopotutto.
Nessun animale era in grado di uccidere un proprio simile, e neppure di organizzare campi di prigionia più crudeli ed ingiusti dell'inferno stesso. Prima ancora che Dio ritenesse di dover intervenire, Baal convocò il traditore Relith e lo fece incatenare eternamente tra le fiamme dell'abisso, dove giace tutt'ora.
Ma ormai la guerra imperversava su tutto il pianeta. Allora Baal chiamò a raccolta i suoi fedeli servitori, scegliendo solo coloro che non erano schiavi del tormento, e disse:
- Miei angeli caduti, dannati assieme a me in eterno per la nostra presunzione, vittime del supplizio infernale come dell'amaro rimorso, nostra è la colpa di questo scempio. Noi abbiamo donato all'uomo la capacità di intendere, dimenticando che si trattava pur sempre di un comune animale, limitato nelle azioni dalla propria carne e governato dal proprio sangue.
- Insegnando loro a discernere Bene o Male abbiamo ottenuto l'effetto opposto. Invece di donargli la comprensione dei propri istinti lo abbiamo allontanato dalla voce del cuore. Perso nei meandri del ragionamento, vittima dei rigidi schemi di Bene e Male, l'uomo è diventato incapace di ascoltare le pulsioni divine che ispirano ogni essere vivente. Egli crede che un'idea, se gli appare nobile, possa giustificare qualsiasi azione. Così è diventato più pericoloso del leone, più feroce del lupo e più temibile del peggiore degli olocausti. Guardate quale orrore il traditore Relith, da solo, ha indotto sulla Terra, e sorreggetemi nella mia disperazione.
Con queste parole Baal fece ondeggiare la mano destra, come ad aprire un sipario calato sui battenti dell'inferno. E subito tutti videro le atrocità che imperversano sul pianeta, guardarono sconvolti le esplosioni di violenza, respirando i miasmi dell'odio e dell'intolleranza.
- Vedete? - continuò Baal versando lacrime di sangue - Di questo noi siamo i solo responsabili, e quindi a noi tocca rimediare.
Subito dopo egli richiuse il portale luminescente attraverso cui era apparsa la visione, impietosito dalla sofferenza che aveva mostrato a tutti i suoi pari. Quindi gli angeli caduti si riunirono in consiglio e deliberarono un'azione immediata.
Gli uomini nemici del sovrano malvagio non erano meritevoli di vittoria, in quanto tutti comunque mossi dall'ambizione del potere. Ma dopo un lungo dibattito si decise ugualmente di intervenire e porre fine alla guerra. Baal stesso osservò che tutti loro erano già eternamente dannati per un errore compiuto in buona fede, ed era meglio continuare a peccare spinti dall'amore verso l'uomo, piuttosto che cadere nell'ignavia o nell'accidia.
Così l'esercito di cherubini attraversò nuovamente l'abisso, seguendo le impronte lasciate dal traditore Relith, e giunse sul campo di battaglia. Nel giro di pochi mesi essi mutarono il corso della storia, annichilendo le forze del malvagio dittatore e ponendo fine alla guerra.
Le violenze ingiustificate terminarono, i prigionieri vennero liberati dai campi di sterminio e l'uomo conobbe un breve momento di tregua, solidarietà ed amore.
Eppure Baal non riuscì a concedersi pace. Il dubbio continuava a rodere la sua anima dannata. Era sicuro di avere agito nel modo giusto, ma al tempo stesso si chiedeva se il suo compito fosse davvero finito. Come poteva tornare a non curarsi dell'uomo, dopo tutto il male che aveva provocato? Cosa sarebbe accaduto se un emule di Relith fosse sfuggito anch'egli dall'Abisso, per corrompere un altro despota?
I demoni corrotti erano una minoranza, ma pericolosissimi proprio poiché votati unicamente al male. Baal, in quanto principe degli inferi, era responsabile anche delle azioni dei sottoposti che avessero tradito il disegno divino. Quindi spettava a lui impedire che orrori simili tornassero a devastare il mondo degli umani, e decise di agire in prima persona.
Lasciò la reggenza dell'inferno al secondo in capo e tornò sulla Terra. Per meglio valutare e comprendere le conseguenze delle sue scelte, Baal si incarnò nel corpo di un giudice di nome Fedro, incaricato dei processi sui crimini della guerra.
All'inizio l'esperienza fu traumatica e meravigliosa al tempo stesso. Possedere un corpo materiale, provare l'ebbrezza del vento sulla pelle, la morbidezza della carne, il sapore del cibo. Ogni esperienza era una nuova scoperta per Baal, e man mano che prendeva dimestichezza col corpo di Fedro iniziò a comprendere sempre più la natura umana.
Recandosi al lavoro la mattina, appena entrava nell'aula del tribunale, Fedro-Baal poteva leggere ogni pensiero e sentire le vibrazioni più intime e profonde delle persone attorno a lui. Percepiva chiaramente le pulsioni di vero amore che la dattilografa provava verso di lui, così come sapeva per certo che sua moglie lo tradiva con un amico di famiglia.
Illuminato dalle nuove percezioni, Fedro appariva diverso a tutti.
Nessuno poteva sospettare che al suo interno albergasse lo spirito eterno di Baal, che sembrava trapelare come miele da un'arnia stracolma. E le api ronzavano gioiose attorno a lui, scorgendo una luce che non potevano comprendere: il fosco ed appannato chiarore di quello che una volta era il primo degli angeli, il serafino prediletto di Dio.
In principio Baal si smarrì completamente in questa epifania di emozioni. Per prima cosa purificò i suoi ricordi, scacciando le vergognose motivazioni che avevano spinto Fedro a sposarsi solo per interesse, allo scopo di garantirsi una rapida carriera da avvocato. Quindi iniziò a concentrarsi sulla purezza dell'amore che sgorgava abbondante dal cuore della dattilografa.
Ad ogni udienza, mentre passavano davanti ai suoi occhi i criminali più corrotti, Fedro si lasciava naufragare nella radiosa luminescenza di questo amore.
Lei era una giovane donna di colore, mentre Fedro era un giudice affermato erede di una ricca famiglia borghese. Ma l'acutezza dell'angelo caduto non lasciava dubbio alcuno: le anime di Fedro e della ragazza si erano già incontrate decine e decine di volte, si erano sempre riconosciute ed amate, irraggiando centinaia di persone con la loro felicità.
Eppure, in quella vita, un'assurda fedeltà verso i principi del matrimonio aveva impedito al giudice Fedro di chiedere il divorzio. E una ancora più assurda cultura impregnata di discriminazioni razziali lo avevano reso incapace di comprendere la purezza di quell'amore.
Allora Baal capì quando era irreparabile il danno che lui stesso aveva provocato.
Senza il frutto della Conoscenza, privato di questi odiosi schemi mentali, Fedro avrebbe riconosciuto dal primo istante la propria anima gemella. Avrebbe rovinato sé stesso e la sua reputazione, mettendo in gioco il lavoro e la carriera. Ma avrebbe trovato l'amore vero, quell'amore che Baal sapeva essere conseguenza della scintilla divina originaria.
Senza il concetto di peccato, lontano dai principi ideologici che incatenavano il cuore, l'uomo avrebbe potuto godere della vita più di ogni altro animale, senza dover sopportare il fardello della consapevolezza di cui Dio si era generosamente fatto unico portatore.
Come poteva rimediare?
A che pro' salvare la vita di Fedro, liberandolo dal giogo di un matrimonio senza amore, quando altri milioni di esseri umani erano condannati a sofferenze ben peggiori? E chi era lui per continuare ad imporsi sulla volontà di Dio? Distruggendo una famiglia in nome di un bene più grande, non si rendeva forse simile all'uomo che mente a sé stesso per giustificare il proprio egoismo? Del resto, qualsiasi creatura malvagia si convince di agire per una giusta causa.
Baal era un angelo caduto, ma era stato forgiato per sacrificarsi in nome dell'umanità, senza pensare a sé stesso né alla propria gratificazione. Improvvisamente si rese conto che la condizione umana, da quando si era incarnato nel corpo di Fedro, aveva ottenebrato la sua capacità di giudizio. Lui, come tutti gli angeli, era in grado di ascoltare il cuore, la voce divina che nasce dal profondo dell'anima, nonostante l'onta della dannazione e della colpa.
A questo pensiero Baal tornò in sé. Si trovava in aula, la difesa stava elencando i nomi dei prossimi carnefici da giudicare. Quanti ne aveva incarcerati, fino a quel momento?
Almeno un centinaio. Ma gli aveva giudicati bene, a fondo, sviscerando ogni più nascosta motivazione dei loro peccati? Aveva dato fondo a tutta la sua capacità di leggere l'anima umana, in modo da castigare i colpevoli e salvare gli innocenti?
La risposta era "si". Per un angelo il pensiero non è un processo lineare, la distrazione e il naufragare nell'amore non lo avevano distolto dal suo lavoro di giudice.
Ma quel giorno, mentre si poneva quelle domande, percepì qualcosa di diverso dal solito.
Baal sapeva ascoltare, riconoscere i messaggi divini che salgono dal profondo, e comprese immediatamente che la prossima udienza sarebbe stata diversa. Nel futuro, dinanzi a lui, scorse ombre scure addensarsi sul proprio destino. Conscio di questa intuizione portò tutta la sua attenzione su quanto stava avvenendo in aula.
L'udienza in corso riguardava due criminali di guerra: un ufficiale di nome Ludwigh e il suo medico da campo, di nome Cornelius.
Da quel che l'accusa stava dicendo, Ludwigh era a capo del plotone di esecuzione che aveva giustiziato circa duemila donne innocenti. Cornelius invece era colpevole di avere torturato centinaia di prigionieri in fin di vita, con la scusa di medicare le loro ferite.
Fedro guardò meglio la scena che si svolgeva davanti a lui.
Ludwigh indossava un completo elegante dai colori pastello, tenue come il verde pallido dell'erba all'aurora. Confessò la propria colpa piangendo a dirotto, come un bambino a cui erano stati strappati i giocattoli. Spiegò che lui riceveva gli ordini dal generale del campo, e che più di una volta aveva chiesto ragguagli su quelle esecuzioni. Il generale, sorridente, gli aveva sempre spiegato che si trattava di una farsa. Le donne erano tutte aspiranti attrici, e le esecuzioni nulla più di una messa in scena. Il generale gli aveva assicurato che dovevano girare un documentario sulle atrocità commesse dal nemico, per organizzare una giusta propaganda contro la disinformazione imperante, e portare luce e verità in tutto il mondo.
Le attrici erano state istruite per fingere di morire urlando, implorando pietà, pronte a forare i numerosi sacchetti di sangue nascosti sotto i vestiti. Le telecamere, per le riprese del documentario, erano opportunamente nascoste per garantire il massimo realismo. E le cartucce, nei fucili dei soldati, erano ovviamente caricate a salve.
Fedro avrebbe voluto ridere, alzarsi indignato e puntare il dito della giustizia sull'assassino, ma quel che vide nell'anima dell'ufficiale lo lasciò senza parole. L'uomo aveva detto la verità.
In quel momento la difesa stava mostrando i documenti, tutti firmati dal generale, che avevano indotto Ludwigh a credere in quella storia assurda. Ma Fedro non aveva alcun bisogno di consultare le carte, né di prove: poteva leggere direttamente nell'anima dell'ufficiale e vedere che era sincero.
Ludwigh si era chiesto centinaia di volte se smettere, se disertare, se andare a verificare con mano i cadaveri lasciati nella polvere ad ogni esecuzione. Ma non se l'era mai sentita.
Per Fedro fu un colpo terribile. Un'altra volta comprese la gravità della situazione.
L'uomo, animale impaurito caricato del peso della consapevolezza. Una bestia spaventata a morte dalla propria coscienza, al punto da fuggire mugolando in qualsiasi pertugio gli venga offerto. L'importante era avere una scusa, poter dire a sé stesso di averci provato, di aver lottato per un mondo migliore, e disperarsi per non esserci riusciti: errare è umano.
Fedro non era d'accordo: a suo parere errare era animale, non umano.
L'uomo ha il dono della consapevolezza, ha assaggiato il frutto della Conoscenza, e lo usa senza alcun timore quando si tratta di accrescere potere e dominio, senza correre il rischio di sbagliare. Ma quando fa comodo, quando gli scheletri fuggiti dall'armadio infestano l'aria che respira, allora l'uomo si ricorda di essere anche un animale. E chiede perdono per il latte versato. Per la luce dimenticata accesa. Per duemila donne fucilate.
Con la stessa aria innocente. Una menzogna eternamente urlata a sé stesso.
Nel frattempo la difesa aveva finito di esporre la propria interpretazione dei fatti. Ludwigh venne portato via, ancora in lacrime, sotto gli sguardi impietositi dei giurati.
Poi venne il turno di Cornelius, il medico da campo.
Qui nessuno aveva dubbi: l'accusa documentò senza ritegno le foto delle vittime amputate, sempre senza anestesia. La difesa provò a costruire un fragile castello di carte, ma l'apparizione del medico bastò a convincere la giuria. Sporco, vestito di nero, capelli rasati e cicatrici sulla mani. Sembrava l'incarnazione stessa del Demonio.
Allora Fedro ricevette il colpo di grazia.
Scrutò nell'anima di Cornelius e vide un povero pervertito. Un uomo che era stato violentato dal padre, abbandonato dalla madre, tradito dalla moglie e umiliato dai figli.
Un uomo a cui era rimasto un unico piacere nella vita: il sadismo.
Fedro poteva vedere ogni cosa, passato e futuro, senza limiti. E sbirciando nell'anima straziata di Cornelius vide le centinaia di amputazioni compiute col piacere perverso dell'atto, con la goduria affilata del bisturi che tagliava le carni.
Ma vide dell'altro: tutte le vittime, mutilate di una mano, un orecchio o un piede, venivano poi trasferite ad un altro campo, dove erano giudicate inabili ai lavori forzati e incarcerate in attesa di una nuova destinazione. Così, tra un trasferimento e l'altro, erano sopravissute tutte.
Cornelius le aveva torturate, è vero, senza anestesia. Ma dopo, da bravo pervertito, le aveva medicate con attenzione per evitare il rischio di infezioni. E gli aveva salvato la vita.
Fedro era perplesso: guardando l'anima del medico ne vide tutta la malvagità, la cattiveria, la crudeltà e la sete di vendetta. Era un uomo che si era guardato dentro, aveva riconosciuto il proprio male, ed aveva deciso di non mentire a sé stesso. Aveva capito di essere malvagio solo perché aveva sofferto, ma questo non era bastato a redimerlo. Era dannato.
In quel momento Cornelius ottenne il permesso di parlare. Si rivolse verso la giuria, voltando le spalle agli avvocati, e parlò con voce lenta ma decisa.
- Volevo dire due parole. Io ho sbagliato, lo so, e per questo andrò all'inferno. Ho fatto quel che ho fatto esclusivamente per piacere personale, non voglio alcun merito per aver salvato delle persone, elemento al quale voi non avete creduto comunque.
Dalla giuria si levò uno sghignazzare sommesso, indirizzato all'avvocato della difesa, il quale aveva disperatamente tentato di portare l'attenzione sul fatto che le vittime erano sopravissute.
- Quel che ha importanza - continuò Cornelius - è che io credo di avere agito nel modo migliore.
- Cosa dovevo fare, ipnotizzarmi nelle menzogne come gli altri? Non fa per me. Come ogni ribelle, io preferisco apparire in tutta la fallacità del mio essere, piuttosto che ingannare me e gli altri, mostrando una facciata di bronzo tirata a lucido. La mia coscienza urla grida tormentate, il senso di colpa mi affligge, l'unico sollievo è il disprezzo altrui. Il vostro odio m'illude di poter espiare i peccati, di aver iniziato a pagarne lo scotto. Non potrei mai sopportare il fardello di lodi e lusinghe che non sento di meritare. Sarebbe come gettare benzina sul fuoco.
Cornelius lanciò uno sguardo d'esaltazione disperata al pubblico, respirando a fondo - Io credo questa sia la via per conoscere sé stesso, e forse, in un futuro prossimo, migliorarsi davvero. Migliorarsi dentro, non fuori.
- Obiezione, vostro onore - le parole echeggiarono nell'aria, senza risposta.
- Ho detto obiezione, vostro onore - ripeté l'avvocato dell'accusa, rivolto verso Fedro.
Ma Fedro non stava più ascoltando. Esterrefatto, gli occhi nel vuoto, la sua mente si era persa nel futuro. Non voleva crederci, ma la giuria avrebbe dichiarato innocente Ludwigh e colpevole Cornelius. Questo era il futuro posto innanzi a loro, se lui non interveniva.
Sotto lo sguardo stupefatto dei presenti Fedro si alzò, facendo scendere un manto di silenzio gelido nell'aula. Si rivolse a Cornelius, indicando il libro sul banchetto del testimone.
- Lei ha giurato sulla Sacra Bibbia, vero signor Cornelius?
- Beh, sì ... dubita forse di quel sto dicendo?
- No, ma la invito a prendere in mano il testo su cui ha giurato, e di aprirlo al versetto 8095.
Nella sorpresa generale Cornelius sollevò il libro, mostrando a tutti una copia del Faust di Goethe. Dopo qualche attimo di stupore iniziò a sfogliare rapido le pagine, senza che nessuno osasse parlare. Poi iniziò a leggere ad alta voce:

Sono voci umane queste, che ode il mio orecchio?
Come subito mi irrito!
Creature tese a eguagliarsi agli dèi, ma
sempre dannate a essere se stesse...

Col libro ancora aperto, Cornelius lanciò un'occhiata di imbarazzo verso il giudice.
La giuria stava mormorando, il brusio discreto delle loro voci contaminò in pochi istanti la curiosità del pubblico. In un attimo la sala era diventata una bolgia infernale.
Fedro decise che lo poteva diventare ancora di più.
Mentre gli avvocati urlavano, le guardie sulla porta trattenevano il pubblico, Baal lasciò cadere il corpo inerte del giudice sul terreno e si mostrò nella sua titanica orrenda bellezza.
Come un fulmine improvviso, squarciando l'aria polverosa dell'aula del tribunale, il silenzio più assoluto conquistò ogni anfratto rimasto. Dentro e fuori dalle persone presenti.
I cuori smisero di battere, gli orologi si arrestarono, il sole fermò il suo corso.
L'unico rumore, crepitio gracchiante di fiamme fredde, veniva dalle vampate che avvolgevano il corpo di Baal, primo angelo caduto, unico e vero malfattore dell'umanità.
Erto sulla scrivania del giudice, col fuoco che già avvampava sotto i suoi piedi mordendo ferocemente il legno secolare, il demone agitava il martello dorato nell'aria.
- Tu - urlò la voce possente del dio - patirai le pene dell'inferno per non avere avuto il coraggio della tua colpa. Solo così capirai qual'è il peso della verità.
In un angolo il corpo paralizzato di Ludwigh si infiammò istantaneamente, come trafitto dal dito gigantesco di Baal. Il terreno sotto l'ufficiale si aprì fragorosamente, facendolo precipitare nel baratro senza fondo.
- Voi - disse Baal voltandosi verso la giuria - brucerete in eterno affianco a colui che stavate per proclamare innocente. Solo così imparerete a riconoscere la verità.
Appena il demone indicò nella loro direzione, una voragine gigantesca comparve dove si trovavano i giurati, inghiottendoli in una nuvola di fuliggine.
-E tu, invece - tuonò Baal guardando verso Cornelius - Tu sei libero di vivere il tuo inferno qui, ora, sulla terra. Va e continua a tormentarti, ma non peccare oltre.
Con queste parole le manette ai polsi del medico divennero incandescenti, accecando gli occhi dei presenti, fondendosi al suolo mentre l'uomo si contorceva dal dolore, con i polsi avvolti dalle fiamme.
Tutti gli altri erano paralizzati, trattenuti dal potere illimitato del demone. L'unico in grado di muoversi era Cornelius, inginocchiato sul pavimento mentre si leccava i polsi doloranti ed ustionati. Fece per alzarsi, ma improvvisamente il suo corpo venne colpito da un fascio di luce azzurra e si bloccò.
- Resta dove sei - tuonò una voce profonda più dell'oceano, avvolta da squilli di trombe auriche, proveniente dall'alto.
Tremante come un fuscello nella tormenta, Baal guardò verso il cielo. Una lacrima di gioia zampillò istantanea dai sui occhi infuocati, evaporando un attimo dopo. Per un breve istante, un brevissimo istante, Baal provò la felicità dell'orfano che ritrova i genitori perduti.
E non aveva importanza se erano tornati per punirlo.
- E tu, primo tra i creati e primo dei caduti - echeggiò la voce - torna nell'abisso per alimentare il fuoco eterno di cui sei custode. Perché solo così imparerai a rispettare la verità.
La luce che aveva paralizzato il corpo di Cornelius si mosse rapida, aprendosi a ventaglio mentre rischiarava l'aula del tribunale, avvolgendo il corpo di Baal ed estinguendone le fiamme.
Poi, con la stessa potenza con cui il sole si abbatte fulmineo sul terreno all'alba, schiacciandolo in un solo istante, il dito di Dio rigettò il Demone nell'abisso, per sempre. Si dice che Baal sia ancora laggiù, incatenato affianco a Relith, colpevole del peggiore dei mali: la presunzione di giudicare tra il bene e il male, aspirando alla capacità di emettere verdetti oggettivi che è propria solo dell'Onnipotente.
Subito dopo, sempre sotto gli occhi sconvolti degli umani presenti, il fascio azzurro si chiuse dolcemente, avvolgendo il corpo di soffice ebano della dattilografa, per trarlo verso l'alto in un gesto di misericordia totale. Un fiore reciso prima che venisse sporcato dal fango.
Poi tornò il buio, e dopo un attimo, il frastuono delle grida terrorizzate.
Mentre le guardie cercavano di riportare l'ordine e placare il panico generale, due di loro si gettarono su Cornelius, prima ancora che facesse in tempo a fuggire dall'aula, e lo riportarono verso la cella.