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Dolce far niente

A volte, specie nel caso degli animi sensibili, basta una caramella proibita a trasformare un bambino sereno in un goloso misantropo. Rosario lo aveva capito troppo tardi: il giorno che era evaso dal carcere.
"Già ... quanti anni spesi per uscire dal tunnel, quanti anni passati a scavare armato solo di un cucchiaio rubato alla mensa" - pensava Rosario guardando le nuvole giocare nel cielo. Le sue mani accarezzavano gli steli d'erba scaldati dal sole, il suo corpo, finalmente libero, godeva steso nel meleto. "Finalmente quel periodo appartiene al passato, recente, ma finalmente passato!".
Una nuvola rapida e scura, eppure eterea, iniziò tenebrosa a scivolare in primo piano, davanti al suo piccolo cielo privato. Questa presenza, quasi malvagia, rapì la mente di Rosario, evocando il ricordo della sofferenza che si era appena lasciato alle spalle.
Erano stati anni duri, quelli trascorsi nel carcere, tra privazioni e sacrifici. Ma erano stati anche anni di libertà interiore, di fuga da una carcerazione spirituale. Una prigionia le cui sbarre, ferocemente scolpite nella sua mente, gli avevano sempre impedito di essere sé stesso, di seguire il suo istinto, di arraffare quelle caramelle a lungo desiderate. Ed erano tante le caramelle di cui Rosario si era privato: la droga, le ragazze facili, il gioco, il potere, l'ozio e l'agiatezza.
Il motivo della sua privazione ormai non contava più, si era detto più volte. E' un motivo diverso per ciascuno di noi. C'è chi nasce povero, chi sfortunato, chi avrebbe modo di stare bene ma indugia con angoscia leopardiana. "E' davvero difficile, trovare il coraggio di essere felici" - pensava adesso Rosario - "Soprattutto quando dipende solo da noi".
Eppure, quei lunghi sette anni trascorsi tra lavori forzati, pranzi frugali, solitudine e sigarette, erano stati anni produttivi. Rosario aveva trovato la forza di lottare, di non darsi per vinto, di rimettersi in gioco. Soprattutto aveva raggiunto la consapevolezza che la sua condanna era solo lo scotto da pagare per le "caramelle" rubate.
Quindi, perché recriminare? Rosario era un'anima fortemente positiva, solare, sempre pronta a guardare il lato buono della vita. Il carcere era stato solo una conseguenza, un effetto non calcolato: non era Il Risultato. Lui preferiva concentrarsi su quello che aveva raggiunto, senza crucciarsi del prezzo da pagare: finalmente si era accettato.
Questa consapevolezza interiore, questa pace, valeva bene una condanna di vent'anni. A nulla sarebbe valso vivere senza conoscere sé stesso, spendendo una vita intera tra casa, famiglia e lavoro. Durante quei sette anni di carcere Rosario aveva capito quanto erano importanti le caramelle che la vita gli aveva proibito. Se non avesse iniziato a concedersi ai propri vizi sarebbe rimasto un eterno represso. Probabilmente, a 50 anni, sarebbe finito dentro ugualmente. Ma in modo peggiore. Forse, dopo aver cresciuto tre figli, avrebbe imbracciato una lupara e sterminato la propria famiglia in preda ad una crisi di nervi. Quindi meglio così. Meglio essere finiti in carcere con accuse come rapina a mano armata, associazione a delinquere, spaccio, ricettazione e tentato omicidio. Tutte accuse basate sulla sua potenziale pericolosità, non su un danno esplicitamente diretto ad altre persone: tutto sommato, lui non aveva mai fatto male a nessuno. L'unico episodio violento della sua vita era stata una zuffa con suo fratello, quando aveva solo 6 anni. Rosario era un ribelle, un anticonformista, forse un disadattato. Ma era una persona buona, incapace di odiare e fare del male.



La nube scura raggiunse il centro del cielo, quasi fosse un demone deciso a materializzarsi, rammentando a Rosario l'unico vero momento amaro del carcere: l'ora d'aria.
Rosario aveva impiegato anni per organizzare i lavori di scavo. Con un cucchiaio e tanta costanza, quattro ore per notte, era avanzato lentamente nel tunnel, spinto dalla voglia di vivere e dal desiderio di libertà. Ma dopo un po' aveva fatto due conti e si era reso conto che quattro ore non bastavano. Con quel ritmo sarebbe uscito in 15 anni ... tanto valeva scontare tutta la pena e non rischiare.
Per questo motivo, quando il direttore del carcere comunicò che l'ora d'aria era stata prolungata su indicazione del governo, Rosario seppe subito cosa fare. Con le nuove leggi ai detenuti spettavano adesso ben tre ore d'aria al giorno, il che significava la possibilità di scavare per quasi il doppio del tempo. Così, notte dopo notte, e ora d'aria dopo ora d'aria, Rosario riuscì ad organizzarsi con tenacia e determinazione, imponendosi di scavare quasi sette ore al giorno.
"Strana coincidenza" - pensò Rosario tentando di esorcizzare la nube che si faceva più minacciosa - "sette ore al giorno per sette anni di prigionia". Sì, perché grazie alla propria costanza era riuscito a finire il tunnel in soli sette anni. La costanza di scavare tutti i giorni, rinunciando ai momenti di socializzazione, isolandosi da coloro che erano stati a loro volta emarginati. Ma Rosario non poteva spiegare, non poteva parlare, doveva allontanarsi dagli altri senza dare troppi chiarimenti. In carcere aveva stretto amicizie forti. Compagni di cella, compagni di partite a scacchi, compagni di cicca. Eppure, a tutti loro, aveva dovuto dire "no". Paradossalmente, quegli anni trascorsi in carcere sarebbero potuti essere gli anni migliori della sua vita, se non fosse stato per l'ora d'aria. Rosario rimpiangeva le passeggiate sotto il sole, le partite a calcetto, i momenti di ozio. Piccole cose apparentemente sacrificabili, invece così importanti e vere. Rosario aveva pianto dentro, in silenzio, ogni volta che aveva detto "non posso". Quasi ogni giorno, durante quelle tre ore d'aria, ci sarebbe stato un buon motivo per non scavare. Ogni giorno, nella sua mente, echeggiava la tentazione del presente: "Effettivamente oggi potrei rinunciare a scavare. Oggi proprio non ne ho voglia. Anzi, ho voglia di restare qui con i miei amici: del resto, per una volta posso anche concedermelo".
Ma dall'altra parte subito rispondeva la sua coscienza: "No, è facendo così che resterai per sempre in questo carcere. Oggi è per gli amici, domani sarà per la pennichella, un'altra volta sarà per prendere il sole: devi rinunciare a queste cose oggi, se vuoi goderne un giorno da uomo libero".
Ovviamente Rosario aveva sempre scelto di scavare. Sapeva di decidere giorno dopo giorno la sua vita, lavorando per la libertà, anche quando sembrava prigioniero del suo dovere. Pochi lo avevano capito, rare erano le amicizie che aveva mantenuto in quei sette anni. La maggioranza dei suoi "colleghi" lo aveva classificato come introverso, solitario, incapace di stringere legami. Ma finalmente tutto questo apparteneva al passato.


La nube nera iniziò a sfumare nel vento, accompagnata dal frusciare delle fronde. Rosario era rimasto steso sull'erba per ore, quel primo giorno di libertà totale, ai margini del meleto.
"Adesso inizia il vero viaggio" - pensò alzandosi in piedi - "vediamo un po' di capire dove sono finito, e da che parte è l'uscita del meleto".
Vagò per quasi un'ora prima di arrivare alla prima recinzione. Una rete alta 3 metri con tanto di filo spinato e cartello "zona militare". Rosario restò interdetto qualche istante. La notte prima, quando era evaso, era saltato sul primo camion che passava davanti al carcere, senza curarsi troppo della destinazione. Solo adesso capiva che il camion lo aveva scaricato in un meleto confinante con una base militare.
"Ci vuole ottimismo"- si disse Rosario - "un quadrato ha 4 lati, uscirò da un'altra parte".
Per sua sfortuna, il meleto era posizionato ai piedi di una collina, una vecchia cava. Due lati del meleto erano chiusi da una parete di roccia, l'ultimo lato era sigillato da un muro guarnito con cocci di vetro variopinto. Rosario era intrappolato nel meleto.
"Sono appena evaso da un carcere" - ricordò sereno - "uscire da questo meleto è una bazzecola, basta organizzarsi un po'".
Compresa la nuova situazione, Rosario pensò bene di agire con calma: sarebbe stato da idioti fare un errore adesso, non aveva fretta, poteva permettersi di uscire anche tra qualche giorno. In questo modo le acque si sarebbero calmate. Aveva stimato di essersi allontanato di soli 50 km dal carcere, questo poteva essere un buon posto dove fermarsi un po'. Girovagando nel meleto trovò un capanno disabitato, affianco ad una fontanella, per cui aveva da bere, mangiare e dormire. Era estate e non doveva preoccuparsi del tempo. "Nei prossimi giorni preparerò la fuga" - pensò prima di addormentarsi nel capanno.

Qualche settimana più tardi Rosario era ancora nel meleto. Si era procurato un cambio d'abiti e aveva sistemato il capanno. Qualche discreta esplorazione gli aveva permesso di capire meglio la situazione: il meleto, il più vasto che avesse mai visto, era gestito da una cooperativa. I lavoratori si avvicinavano al capanno dove era alloggiato Rosario solo in occasione del raccolto, quindi avrebbe potuto restare lì per mesi senza essere notato.
L'unico problema era la scala. Ne serviva una per scavalcare il muro, che rappresentava la via d'uscita più sicura. Aveva deciso di attendere la prima notte di luna nuova per avventurarsi nella parte abitata del meleto, sperando di trovare una scala o almeno un po' di corda. Nell'attesa si dilettava concedendosi grandi scorpacciate di mele, arrampicato ogni giorno su un albero diverso. Fu così che conobbe Valentina.
Lei era salita sull'albero prima di lui. Rosario se ne accorse solo quando notò il tallone di lei, mentre si aggrappava al ramo. Fu un incontro magico, fatto di breve imbarazzo, riconoscimento di pelle, intesa e magia. Valentina spiegò di essere la figlia del proprietario precedente, il quale aveva venduto il meleto alla cooperativa quando lei era ancora bambina. Il personale della cooperativa si era abituato alle visite di Valentina, tutti sapevano che veniva lì per stare da sola, per cercare la pace fondendosi con la Natura nei luoghi magici della sua fanciullezza.
Tra i due nacque subito un'intesa: appena tre giorni dopo Rosario trovò il coraggio di confidarle di essere un evaso, parlandole della scala che stava cercando e del suo passato. Lei lo comprese, lo accettò per quello che era e se ne invaghì. I due iniziarono a vedersi più frequentemente. Valentina era spesso ospite nel suo capanno, che Rosario aveva iniziato ad abbellire e rendere più vivibile. Lentamente, giorno dopo giorno, Rosario si innamorò della fanciulla. All'inizio i ricordi del carcere e la voglia di lasciare il meleto lo trattennero dal perdersi in Valentina, ma la ragazza emanava una luce talmente vivida che era impossibile non amarla.
Con lei imparò a concedersi delle lunghe pennichelle sotto il sole, a giocare con le foglie degli alberi, a restare ore ed ore a mollo nella tinozza del suo capanno. Insieme si divertivano a costruire candele, nutrire scoiattoli e far l'amore tra gli alberi di mele. Giorno dopo giorno, l'urgenza di trovare una scala venne meno, amore e felicità trovarono spazio nell'anima di Rosario, abbandonata alla gioia in quel piccolo eden.


Passarono i mesi, la coppia viveva felice nel capanno, ignara del mondo esterno e dei suoi comandamenti.
"Tra poco sarà periodo di raccolto" - sospirò Valentina prima di mordere un frutto - "forse non potremo vederci in quei giorni ... qui sarà pieno di persone impegnate a raccogliere mele". Un fulmine dal cielo. Rosario si era dimenticato quanto precario fosse il loro amore. Lui era pur sempre un evaso, la cui presenza in quel capanno non era giustificata.

Avevano già bocciato l'idea di uscire dal cancello mano nella mano, come una qualsiasi coppia che si era appartata tra gli alberi. Il direttore della cooperativa era un uomo sospettoso e paranoico, il quale più di una volta aveva perquisito la borsa di Valentina, sospettando che venisse lì per rubare della frutta. Per quanto fosse assurdo, l'unica via di uscita restava la scala.
Valentina stava ancora masticando la mela. Rosario la guardò triste dicendo - "La scala, devo trovare una scala. Stasera è luna nuova, andrò a cercarla".
"Questa notte?" - sussurrò la ragazza - "Perché non domani? Mancano ancora mesi al raccolto".
"Se rimando anche questo mese, andrà a finire che non lo farò mai. Ricordi com'è andata l'ultima volta?".
"Beh, sei rimasto tre giorni nascosto nel capanno. Non corri alcun rischio. Adesso io e te siamo qui, sotto le stelle, e questa notte io non devo rientrare".
Rosario la prese tra la braccia, la strinse tanto forte da avvolgerla quasi completamente, poi mormorò - "Io ti amo, lo sai. E' per questo che stanotte dobbiamo salutarci prima. Andrò a cercare quella scala, la troverò e domani sarò un uomo libero".
Lei abbassò gli occhi un instante, poi sospirò rassegnata - "No, tu stai scappando. Questa notte o domani farebbe lo stesso. Tu hai paura di perdere la tua libertà con me: hai paura di fonderti, vuoi poter gestire da solo la tua vita".
Parole pesanti, piombo fuso colato sul cuore. Perché forse erano vere. L'anima di Rosario si accasciò silente, colpita, meditabonda. Forse Valentina aveva ragione. Forse, quei sette anni in carcere erano stati solo uno scambio.
Le caramelle che aveva pagato con il carcere erano le caramelle dell'avventura: donne, droghe, discoteche e potere. Purtroppo, durante gli anni dell'evasione si era privato di altre caramelle: il sole, l'ozio, il riposo, il cibo, il voler bene a sé stesso. Si trovava punto a capo.
Adesso che aveva l'amore, eccolo lì a sbraitare per la necessità di passeggiare da solo nella notte. Respirare l'odore intenso delle cortecce, accarezzare la flagranza degli steli umidi, impallidire emozionati sotto le stelle. L'eccitazione di scassinare un lucchetto, strisciare sotto una recinzione o quant'altro necessario per prendere la scala. Da solo. Doveva essere sincero: non era ancora pronto. La scala era solo un pretesto. La verità era una sola. Rosario smaniava dalla voglia di volersi finalmente bene, di curare sé stesso. In carcere non aveva avuto tempo per gli altri, come avrebbe potuto trovarlo per sé?
Piccole cose, come un bagno caldo o perdersi in una collezione di figurine. Piccoli piaceri che, da adulto come da bambino, non aveva potuto permettersi. Andare nel bosco da solo, raccogliere bacche e more, per tornare a piene mani dalle persone amate. "Ama il prossimo tuo come te stesso" - aveva detto Gesù Cristo, intendendo forse "non di più, non di meno".
Rosario invece non si era mai amato. Adesso aveva capito: il suo errore non era nel dare "poco" agli altri, bensì nel dare "ancora meno" a sé stesso. Doveva invertire questa situazione: doveva volersi più bene, stare bene, in modo da potersi finalmente dare agli altri. Come uscire da questa trappola? La scala era davvero il modo per risolvere il problema? Poteva forse concedersi di vivere nel meleto, senza aspettative, senza certezze, dedicandosi all'amore di Valentina?
La domanda tese la sua sanità mentale. La risposta la strappò in mille pezzi.

Un cielo blu elettrico illuminava la campagna. Non un filo di nube, non un alone, nemmeno l'ombra di una foschia immaginaria. Rosario sorseggiava il caffè in veranda, abbandonato su una sdraio bicolore. Era la vigilia di Ognissanti, ma per Rosario era l'anniversario della sua nuova casa. Era passato un anno da quando aveva lasciato il meleto.
Dopo quella notte di luna nuova lui e Valentina non si erano più visti. Lei lo aveva aiutato durante la ricerca della scala, indicandogli il capanno degli attrezzi vicino al fienile. Ma, giunti al capanno, avevano trovato un solido lucchetto che in nessun modo Rosario era riuscito ad aprire.
Si erano dovuti accontentare di due sedie ed una sdraio senza schienale, abbandonate dietro l'edificio. "In qualche modo faremo" - aveva bisbigliato Valentina con l'aria complice di chi sta svaligiando una banca.
Il giorno dopo, incastrando la sdraio sulle sedie e con un po' di equilibrismi precari, Rosario era riuscito a scavalcare il muro di cinta. Si era trovato finalmente libero, davvero libero, capace di vivere, amare, piangere. E aveva pianto a lungo, quando era venuto a sapere che Valentina era fidanzata con il direttore della cooperativa: i due avevano appena fissato la data delle nozze. Altro che perquisizione!
Rosario trascorse i sei mesi successivi disperandosi, vagando di città in città senza meta, cercando un motivo per vivere la libertà appena acquisita. Ma nulla. Alla fine, ridotto allo stremo, accettò un lavoro come apprendista presso un anziano falegname, il quale gli offrì anche vitto e alloggio. Lentamente, settimana dopo settimana, il lavoro riuscì a placare il dolore e Rosario iniziò ad integrarsi per la prima volta tra gli esseri umani.
"Ed ora eccoti qua, mia fedele compagna" - pensò Rosario regalando uno sguardo di gratitudine alla sdraio su cui era seduto - "Tu sei stata la mia scala verso la libertà, io ti ho riparata ed ora siamo qua, a prendere l'ultimo sole assieme".
Da qualche mese Rosario aveva davvero iniziato a vivere. Adesso poteva permettersi un appartamentino in affitto, appena fuori città. Il lavoro di falegname lo appassionava ogni giorno di più, andava quasi in estasi appena sfiorava con la mano la superficie legnosa. "Ma cosa non è?" - esclamava rivolto ai suoi colleghi, ricevendo in cambio solo sguardi torvi e perplessi. "Non sentite il piacere del tatto? Quant'è vero e solido il mondo che ci circonda? Quanti segnali ci invia? Il calore del legno, il tepore del sole, il fruscio degli alberi".
Queste sue uscite estemporanee finivano sempre con una risata generale, della quale Rosario non si curava. Non potevano capire, pensava tra sé e sé: lui era stato fortunato. La vita, in soli 32 anni, gli aveva insegnato tanto. Aveva imparato a concedersi al vizio, a pagare il prezzo delle sue azioni, a sacrificarsi privandosi di tutto. Come ultima lezione aveva appreso che l'amore ci insegna a vivere meglio, e viceversa.
Nessuno di noi decide quando nascere, tanto meno quando morire. Come in amore. Non sappiamo mai quando incontreremo l'anima gemella, né quanto potrà durare. Eppure godiamo della vita nonostante la certezza della nostra fine. E' lo stesso per la felicità. Non importa tra quanti giorni, ore o minuti un'emozione avrà termine: conta solo quando è presente, tra le nostra braccia, sulle nostre dita.
Per questo Rosario aveva perdonato Valentina. Lei non aveva trovato il coraggio di confessare che lui era un amante, una fiamma passeggera. Ma lei restava una splendida persona, alla quale Rosario augurava tanta felicità e un lungo matrimonio. Rosario aveva imparato ad amare senza possedere. Era libero.
Appoggiò la tazzina di caffè sul tavolo e tentò pigramente di alzarsi dalla sdraio bicolore. Poi cambiò idea - "E' una bella domenica, il sole scalda ancora: quasi quasi resto qui a sonnecchiare tutto il pomeriggio". Tornò a sdraiarsi compiaciuto di questa decisione: era finalmente libero di ascoltarsi, di gustarsi un'intera domenica lontano dal lavoro. Senza vizi da rincorrere, senza tunnel da scavare, senza scale da cercare.
Aveva assaggiato l'ultima caramella: il dolce far niente. Passare un'intera giornata senza concludere nulla di concreto: un'esperienza che non si era mai concesso.
Perché la vita aveva donato a Rosario l'insegnamento più importante: libertà significa sapersi ascoltare.