Sognatori

Gennaio 2010


Otto rintocchi battono l'ora, precisi ogni mattina.
A volte esco prima, a volte tardi, ma ogni volta, appena apro la macchina, il campanile inizia a suonare. E' quasi un anno che la cosa si ripete, con precisione chirurgica, maniacale. Prendo le chiavi dell'auto, le infilo nella toppa, le campane si svegliano. Stessa identica storia al ritorno. Parcheggio, scendo dall'auto, le campane mi salutano. Deve esserci un Quasimodo annoiato da qualche parte, con tanto di binocolo, che mi attende al varco. Otto rintocchi al mattino, otto rintocchi la sera. Ho pensato al complotto, allo scherzo, alla candid camera, persino agli extra-terrestri. Poi una luce dall'alto mi ha rapito dell'oblio della demenza, riportandomi qui, sulla terra, nella realtà comune. Mi sono guardato attorno e ho capito.
Sulle pendici del lago, sopra Lecco, è quasi montagna. Paesini piccoli, arroccati sui dirupi, nascosti tra i boschi. Tanti paesini. Ognuno con la sua chiesa, il suo campanile, il suo fuso orario.
Quando uno vive con la testa tra le nuvole, come me, non vede mai la soluzione più semplice, ma quella più suggestiva, intrigante. Non siamo noi a scegliere la magia, diceva qualcuno, è la magia a scegliere noi. Spesso è un problema, altre volte è un vantaggio. Per un sognatore è più facile uscire dalla Matrice, saltare i pasti, vivere senza fissa dimora. La vita è comunque un'avventura meravigliosa, anche quando stai traslocando sotto la pioggia, in bicicletta, e il bastone dello scopettone sbatte sulla fermata dall'autobus, disarcionandoti per mandarti a gambe all'aria in una pozzanghera. Un sognatore, in quel frangente, ride contro la pioggia, bestemmia le nuvole, ma intanto s'inventa protagonista d'un romanzo di scapigliatura moderna, del quale è scrittore, attore, lettore e critico magnanimo. Fantasia? No, pura realtà, trasloco incluso. Ne ho fatto persino uno in metropolitana, di traslochi, se è per questo.
L'unica fantasia sta nella interpretazione dei fatti, nel giudizio dato agli eventi.
Chi non è mai stato sull'isola che non c'è lo considera un trucco, un artificio, ma non sa cosa si perde. L'immaginazione è una panacea naturale, sana ogni malessere e accende sorrisi nelle tenebre. Chi la critica o condanna spesso ricorre ad un surrogato di massa: alcool, fumo, tivù, religione o droga. Come dire: se impazziamo tutti allo stesso modo, siamo normali.
I sognatori, invece, finiscono spesso sulla gogna, per invidia, paura o semplice incomprensione. Come dire: se non impazzisci con noi, sei contro di noi.
Poi esce un film come "La vita è bella" e all'improvviso tutti ti capiscono. E' quello che dicevo io, vedi? Con la fantasia i problemi diventano opportunità, le disgrazie avventure, le sofferenze emozioni. Hai ragione, ora comprendo. Davvero? Davvero. E cosa hai compreso, amico mio?
Ho capito che la povertà rende liberi, che la miseria è ricchezza, che siamo noi a stringere compulsivi le catene della prigionia; che per uscire dalla Matrice basta mollare la presa.
Davvero? Davvero. Bastano pochi giorni e l'incanto svanisce. I materialisti tornano materialisti, i sognatori emarginati, i pendolari ammucchiati sui treni affollati. Per fortuna il sognatore riesce sempre a divertirsi, non importa che la destinazione sia un campo di concentramento o la stazione di Sesto San Giovanni.

Da Morfeo e l'Aperonzolo - Primavera

Fa caldo. Davanti a Morfeo è seduta un signora sui quaranta coi capelli biondi mossi disordinatamente, forse dal treno, forse da un parrucchiere epilettico. La signora allunga una mano verso la borsetta, poggiata sul sedile accanto in virtù del Primo Principio del pendolare: occupa spazio fin che c'è, che poi non ci sarà.
D'un tratto i capelli della signora da mossi diventano tsunamici mentre lei, allarmata, ritira la mano di scatto, come se l'avesse punta qualcosa. Il qualcosa è un batuffolo di pelo striato di giallo e nero, parrebbe un fuco, ma noi lo chiameremo amichevolmente aperonzolo. L'insetto si affaccia dalla borsetta e se ne pente immediatamente dopo, si finge morto, ma è troppo tardi. La signora è in preda al panico. Soffocato, silenzioso, ma pur sempre panico. Con estrema calma, per non spaventare l'aperonzolo, Morfeo allunga un foglio di carta verso la borsetta.
Si tratta, per la cronaca, della pagina numero quindici del qui presente romanzo.
L'aperonzolo, tranquillizzato forse dalla grafia cuneiforme che tanto ricorda i graffiti prealvearici della sua infanzia, decide di fidarsi e sale a bordo del traghetto di carta improvvisato. La signora, apparentemente tutta calma e sorrisi, rende grazie e raggiunge rapidamente l'uscita, stabilendo il record mondiale di massima distanza percorsa con un unico passo. Sei metri, otto scalini, un portellone e una pensilina ferroviaria. Morfeo e l'aperonzolo si ritrovano quindi soli, al centro del corridoio, mentre il treno arranca sbuffa frena e infine approda sfinito in stazione.
- Mi guardate la borsa finché lo faccio scendere, per favore?
Nessuna risposta dagli altri viaggiatori, persi in chissà quali altre realtà concrete. Solamente un gruppetto di studenti, sguardi vitrei persi nel vuoto ma almeno nella giusta direzione, sembrano cogliere la richiesta di Morfeo. Sembrano. Il Signore dei Sogni taglia in due la folla di pendolari, poggia con amor cortese l'aperonzolo sul muretto esterno della stazione, gli rivolge volentieri un breve saluto affettuoso, gli presta meno volentieri un euro per il biglietto dell'autobus e poi risale baldanzoso in carrozza. Gli studenti lo osservano perplessi.
- Ma doveva scendere?
- Certo: non aveva il biglietto!
(nessuno ride)
- E allora perché ha lasciato qui la borsa?
Frinire di grilli immaginari nell'aria. Gli occhi degli studenti si fanno translucidi, a mo' di merluzzi imbalsamati dentro una pescheria ambulante ferroviaria. Morfeo guarda i pesci, i pesci guardano Morfeo, all'improvviso una tenaglia di ghiaccio gli stringe il cuore e lui comprende. Comprende che nessuno ha colto, comprende di essere perennemente sconnesso dalla realtà, comprende di aspettarsi troppo dal genere umano. Loro non hanno visto il fuco, non hanno visto la signora, forse non hanno nemmeno visto il treno che li sta portando a casa. Hanno solamente visto un pazzo scendere e risalire dal treno, con un foglio di carta in mano, abbandonando la propria borsa sul sedile e blaterando frasi senza senso.
I sognatori vivono felici, ma ridono da soli.

Da Morfeo e il Cinquantone - Estate

Il treno rallenta. Dopo un paio di fermate in piedi Morfeo scorge un posto in prima fila e alloggia il suo modesto deretano sulla poltroncina. Non si lamenta, per carità, meglio seduti che niente, però vorrebbe anche scrivere qualcosina, il Morfeo: vorrebbe portare avanti il suo libro.
Magicamente, proprio davanti a lui, una signora si alza all'ultimo istante. Rapido frullato shakerato di sguardi, nessuno in vista, lancio mirato della borsa sulla poltroncina appena liberata. La borsa atterra morbidamente sopra una banconota da cinquanta euro, che Morfeo lì per lì non vede. La nota un millisecondo dopo, ma ancora una volta è troppo tardi. La scimmia urlatrice si alza, Morfeo raccoglie il denaro piovuto dal cielo, la scimmia inizia ad ululare in cercopitechense, con cadenza troglodita e un lieve accento brianzolo.
- Ggguuuaaahhhmmmag! Garrragggarrr! Grisssisssignooorrr! Guaaaggghhh!
La scimmia, intuisce Morfeo, è in realtà un onesto signore, bravissima persona, probabilmente molto colto, intelligente e raffinato, purtroppo sofferente di disturbo vocale al quale sopperisce mugugnando a squarciagola in maniera piuttosto efficace. Morfeo non ha il tempo nemmeno di pensare a come avrebbe speso quei soldi. Forse li avrebbe restituiti, forse li avrebbe donati all'Accademia della Crusca, per espiare le colpe di scrittore illetterato, ma i decibel prodotti dalla scimmia urlatrice non lasciano tempo al dubbio. Morfeo corre dietro alla signora, affetta la calca sudaticcia, s'affaccia tra le porte del treno fermo in stazione e sventola la banconota davanti ad una ventina di nasi sconosciuti e perplessi, ma comunque riservati.
- Signora? Sono suoi questi?
La signora non capisce, vitrea lo sguardo, spinge sulle sinapsi col cervello in folle ma intanto allunga la mano, prende possesso della banconota frusciante. Alle spalle di Morfeo la scimmia urlatrice gesticola rinfrescando l'aria e frenando sul nascere qualsiasi commento.
- Ssssssiiiiuuu! Gnnnorrra! Sccciooolll !
Le porte si chiudono, la signora ripone la banconota nella borsetta, la borsetta sparisce all'orizzonte, il treno riparte. Morfeo dà una pacca sulle spalle all'onesta scimmia, si rammarica di non avere con sé nemmeno una banana e torna a sedersi per imbracciare carta e penna.
I sognatori sono poveri, ma nuotano nell'oro.

Da Morfeo e l'ombrelladruncolo - Autunno

Fuori piove. Morfeo chiude gli occhi e riesuma i Pink Floyd, sfiorando appena un tastino del lettore mp3.
La musica è uno dei pochi motivi per odiare la morte. Al sognatore, nell'Ade, non mancheranno i cenoni di capodanno, i vini metanolitici, i seni siliconati e nemmeno le flautolenze amplessuali. Tutte cose che lui porta dentro, fate voi dove. Gli mancheranno invece le seghe mentali, le epifanie mistiche, la poesia futurista, le equazioni trascendi e i capolavori del rock.
Tutto è perfetto in quel mondo sinfonico fatto di chitarre agrodolci, bassi solisti, tastiere oniriche e batterie anarchiche. Ogni nota, suono, urletto o rumore è al suo posto. Il mondo, là fuori, non è altrettanto perfetto. Basta aprire gli occhi per trovarsi davanti il ghigno di un distinto signore, giacca e cravatta, per vedere le sue grasse dita bisunte tese verso l'ombrello altrui.
Colto in flagrante l'uomo ritira la mano, come punto da qualcosa (lo spirito dell'aperonzolo?).
- Guardi che è mio - precisa Morfeo.
- Ah ... sì ... beh, non si sa mai
(non si sa mai?)
I sognatori dormono, ma si svegliano al momento giusto.

Sogno: fenomeno legato al sonno e in particolare alla fase REM del sonno, caratterizzato dalla percezione di immagini e suoni apparentemente reali.
Apparentemente: a quel che sembra, a prima vista.
Sembrare: avere l'apparenza per lo più senza essere.

O Sogno! O misterioso Sogno. Tu sei e non sei. Appari senza essere, sembri reale, ma quando ci svegliamo vediamo l'inganno e ti bolliamo come falso. Se, ripeto SE, ci svegliamo. Altrimenti, finché dormiamo, o Sogno, tu sembri vero. Sembri, ma non sei. O amletico Sogno, tu hai tutta l'apparenza della realtà, sei da essa indistinguibile, ma sei virtuale e non reale.
Virtuale? Ho detto forse virtuale?
Ecco, stiamo ancora parlando di realtà. Che palle, potreste pensare, era partito così bene con l'idea della Matrice; poi una deviazione, un incidente, qualcosa l'ha fatto deragliare. Dalla sociologia alla filosofia, dalla padella alla brace. Può darsi, ma è nelle braci che si deve cercare la forza per uscire dalla Matrice. Dante è partito dall'Inferno, per arrivare in Paradiso. Se fosse facile entrare o uscire dalla Matrice, se esistesse davvero la Pillola Rossa, non starei qui a sporcami le dita d'inchiostro. Piuttosto avrei aperto una farmacia virtuale nel cyber spazio o una drogheria illegale nell'East End londinese. Allora entrereste nel mio negozio, solleticando il campanellino appeso all'uscio, e mi trovereste dietro il bancone, avvolto nel mio trench di pelle nera, pelata luccicante d'olio, orecchino d'argento sfavillante, occhi bianchi senza pupille.
- Buongiorno. Che realtà posso servirle?
- Nessuna realtà, grazie. Voglio solo scappare.
- Scappare, certo, ma da cosa? Dal sistema? Dalla Matrice? Dalla società?
- Non so, non saprei ... che differenza fa?
- Tantissima differenza. Pillola verde per lasciare il sistema, pillola rossa per uscire dalla Matrice, pillola nera per fuggire dalla società. Tutto l'arcobaleno per non tornare più.
- Lei cosa mi consiglia?
- Se non hai quello che vuoi, è perché non sai quello che vuoi.
- Come?
- Pillola blu. Le consiglio una bella, sana, zuccherata, dolcissima pillola blu.

Purtroppo non funziona così. Dobbiamo tuffarci nelle braci, ardere nel dubbio, saltare come intarantolati sui tizzoni ardenti e guardare verso l'alto, attraverso la cappa del camino e la tana del bianconiglio. Non vedete nulla? Forse siete troppo attaccati a questa realtà, troppo sicuri di esistere, di possedere, di avere un valore oggettivo. Servono sogni per volare fuori dalla Matrice, e meno sono reali, meglio è.
Altrimenti non potrebbero diventarlo.

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