Malattia

Agosto 2009


Se il racconto della mia malattia vi farà piangere, il messaggio è arrivato. Se proverete pietà o compassione, il messaggio è arrivato. Se invece non crederete alle mie parole, o ne riderete, allora la nostra avventura finisce qui. Ho un buco nel cervello. Non parlo di un buco fisico, materiale, ma di una vacuità mentale. Mi mancano i valori sociali, gli ho smarriti nell'infanzia, demoliti durante l'adolescenza e perduti del tutto con l'arrivo delle prime calvizie. Di solito avviene il contrario, crescendo si mette giudizio.
"Quando sarai grande saprai perché" - cantava Bennato.
Beh, io invece sono peggiorato col tempo.

A scuola mi vergognavo di prendere bei voti, li tenevo nascosti. Avevo quasi la media dell'otto ma i miei genitori lo venivano a sapere dai professori, non da me. Solamente una volta, tornai a casa tutto eccitato, guardai mia madre negli occhi e dissi entusiasta.
- Ho preso quattro in elettronica.
L'invidia dei compagni di classe, poi, era il danno oltre la beffa. Perché mai avrei dovuto provare soddisfazione per qualcosa che ottenevo senza fatica?
Dopo l'università mi turbava la domanda - In cosa sei laureato? Mi arrampicavo sugli specchi per non rispondere. Odiavo le frasi fatte di ammirazione, come - Fisica? Ma che testa hai? - alla quale avrei sempre voluto rispondere - Bacata, come ogni scienziato.

Inziate a capire qual è il problema? No? Lasciamo la scuola e parliamo di denaro.
Nel 2003 mi offrirono un posto fisso come dirigente, nove milioni al mese. Quattromila euro non sono bruscolini. Ci pensai tre mesi, aumentarono la posta: villetta arredata in affitto convenzionato a due chilometri dall'azienda. Io rimandai ancora, loro toccarono il fondo. Il titolare mi prese sottobraccio, mi portò in un angolo, sfoderò un sorriso accattivante e la butto lì:
- Mia figlia maggiore ha detto che le piaci.
Io avrei voluto chiedere anche diciasette cammelli, per fortuna la ragazza non era il mio tipo e rifiutare divenne molto più semplice.

Nel 2005 comprai la mia prima macchina nuova. Fu un parto doloroso, avevo già adocchiato un bell'usato, tenuto bene ma non troppo, era perfetto. All'ultimo momento compresi che a mio padre restava poco da vivere, lui credeva nella bontà della Matrice, prendendo un auto nuova lo avrei reso felice. Me lo chiese esplecitamente.
- Non comprerai un'altra macchina usata, VERO?
Non scelsi né il modello, né la marca, né il colore. Uscii di casa a piedi, tra la nebbia e il nevischio, camminai fino al concessionario più vicino. Mi fecero sfogliare opuscoli patinati e depliant colorati, mi offrirono pure un caffè, che rifiutai. Poi scelsi a caso, per fare prima. In un attimo di lucidità siglai una crocetta sull'accessorio noto ai più come "climatizzatore". Non sopporto l'aria condizionata, non uso nemmeno il ventilatore, ma giustamente pensai - Prima o poi dovrò vendere questo groviglio di acciaio e plastica, quindi deve esserci almeno un gadget matriciale, sennò non me lo compra nessuno. Adesso accendo il climatizzatore cinque minuti al mese, come da manuale, per mantenerlo in forma. Ho l'impressione di aver comprato un tamagotchi su quattro ruote, non un autovettura.

Nel 2006 la banca trasformò il mio normalissimo conto corrente normale nel "plus", che io chiamo amichevolemente "pus", perché dentro c'è un po' di tutto, compresa la carta di credito. .
- Non mi serve.
- Ma è inclusa nelle spese fisse, se non la ritira la paga lo stesso.
- Va bene, la pago, ma posso evitare di ritirarla?
- Beh... sì... ma perché?
- Mi ingombra.

Forse il problema è la mia intollerenza all'imposizione dei valori, non mi piace quando dicono "è oggettivamente meglio". Come può essere oggettivo se a me non piace? Come conciliare il fatto che la mia percezione delle qualità, chiaramente soggettiva, è in contrasto con quella della società, oggettiva per definizione? Una tale dissonanza rende forse meno soggettivo il mio mondo? Cosa bisogna fare per avere il diritto ad avere dei valori soggettivi, morire sulla croce?
A guardare la storia sembrerebbe di sì.

Ritirai la carta di credito due anni più tardi, per sottoscrivere un'assicurazione RC a chilometri che esigeva questo pezzetto di plastica venerato dalle masse. La mostrai all'impiegata di nascosto, cercando di non farmi notare. Adesso la tengo in un cofanetto, non l'ho più usata.

La mia è una malattia grave, ne convengo. Non sono Asterix, che prende la pozione magica per lanciare in alto i legionari, piuttosto assomiglio ad Obelix, caduto nel pentolone dell'immunità al benessere quand'era piccolo. Le persone sane, che appartengono alla Matrice, guardano con orgoglio la macchina uscire dall'autolavaggio. Io mi vanto di non averla mai lavata in quindici anni. Fino a qualche mese fa andavo in giro col mio fedele walkman a cassette, poi ho capito che a Milano mi avrebbero preso e rinchiuso nel museo della Scienza e della Tecnica, così mi sono fatto prestare un lettore mp3, per camuffarmi da persona normale. Dovevo fregarmene, essere me stesso? Balle. Quando ti serve uno stipendio essere me stesso è altamente controproducente.
Sono fuori dalla Matrice, letteralmente fuori. Non sono uscito dal sistema per merito mio, perché immune alle lusinghe del denaro o della carriera, sono semplicemente malato. Girare per strada con un mangiacassette d'altri tempi mi fa sentire speciale. Girare con un i-pod ultima generazione mi fa sentire uno sfigato qualunque. Se fosse possibile registrare le emozioni, tradurle in pensieri coscienti, la mia perversa gratificazione suonerebbe all'incirca così.
- Forse chi usa un i-pod avrà comprato tutti i modelli intermedi, compreso il compact disk portatile. Forse ha buttato via le cassette e comprato i CD, poi ha buttato via i CD e scaricato gli mp3. Ha speso tempo e denaro per sostituire oggetti funzionanti con altri oggetti funzionanti, solo perché lo fanno tutti. Gli sarà costato almeno un centinaio di ore lavoro: due settimane di vita.

Fuori dalla Matrice esiste la macchina del tempo, basata sull'inversione della formula "il tempo è denaro". Nella matrice le persone convertono il tempo in denaro, fuori dalla Matrice noi trasformiamo il denaro in tempo libero. Ecco cosa significa essere fuori dalla Matrice: lei non mi appartiene, io non le appartengo. Entrare e uscire è un altro discorso, quello lo fanno tutti, non c'entra con l'appartenenza. Io entro ed esco dalla Matrice ogni giorno, da quarant'anni, come tutti gli esseri umani.
E' colpa dell'illusione Ermeneutica se spesso vengo frainteso, quando parlo della Matrice.

La Matrice è la ragnatela intessuta sui valori sociali del benessere moderno, è lo stampo usato per costruire il sistema, oliare la macchina e far girare l'ingranaggio. Il sistema è un meccanismo sociale, la Matrice è la benzina che lo fa funzionare. Essa viene prima di ogni legge, lavoro o moneta, non ha bisogno del denaro per esistere. Se vi piace indossare abiti nuovi, acquistare una casa di proprietà o cambiare macchina siete fortunati, vibrate in sintonia con la Matrice e avete un motivo per lavorare. Io invece, per fortuna o putroppo, non le appartengo.

Parlo di una malattia, non di una virtù. Una malattia che colpisce chi sceglie liberamente di fare il barbone o di lasciare Assisi per l'Eremo delle Carceri.
- San Francesco non era malato.
Chiedetelo a Pietro Bernardone. Quando un padre denuncia il figlio, nella speranza di farlo guarire, c'è la sacrosanta, chiara, netta percezione di una malattia. I sintomi si manifestano nel soggetto, ma tutta la pena, la sofferenza e il dolore ricadono su familiari, amici, parenti. La malattia affligge chi ama l'infettato, chi gli sta vicino, come la maggior parte degli handicap fisici e mentali.
Io mi vanto di spendere meno di dieci euro all'anno per vestirmi, gli amici si vergognano. Pubblico su internet le foto dei mobili in cartone, i parenti si preoccupano. Indosso con entusiasmo pantaloni logori al lume di candela, le ragazze scappano. E' pericoloso affezionarsi a qualcuno fuori dalla Matrice. Lo sa bene mia moglie, che a Natale mi ha regalato un cellulare nuovo. Sono passati sei mesi e il cellulare è ancora lì, chiuso nella confezione originale. Non sono un mostro, ho scartato il regalo, ringraziato, l'ho baciata. Ma finché quello vecchio funziona, perché cambiarlo?
Feticismo? Non credo, mi libero di tutto ciò che non uso, ho regalato persino i cimegli della mia infanzia per fare spazio. Braccino corto? Pago volentieri l'affitto e le bollette, perché alla fine non mi resta niente in mano, a parte la ricevuta. Potrei spendere l'intero stipendio nei centri termali, ma faccio fatica ad acquistare un paio di calzini, troppo materiali.

Ecco il punto: non mi piace essere posseduto dagli oggetti.

A tal proposito il Professore di Oxford diceva:
- Possiedi un oggetto solo quando sei capace di liberartene.
Sono molto grato al Professore. Per venticinque anni sono sempre stato in crisi, il giorno del mio compleanno. Se rifiutavo i regali facevo del male agli altri, se li aprivo non riuscivo a fingere, mi leggevano negli occhi il disagio e se ne facevano una colpa. Era uno strazio per tutti. Con il compleanno hobbit ho risolto ogni cosa, sono io a fare un regalo a tutti. Non costa nulla, perché nella migliore tradizione hobbit i regali devono essere qualcosa che vi appartiene, meglio se da molto tempo. E' il festeggiato che celebra la vita e rende grazie, donando qualcosa di suo a chi lo ama. E' come spargere se stessi in giro per il mondo, dislocarsi nello spazio e nel tempo. Perché non serve possedere un oggetto per assaporarlo. Un bel tramonto ci riempie di gioia anche se la cuva dell'orizzonte non ci appartiene, il sorriso di un bimbo fa ridere l'anima anche se non è nostro figlio. Una collezione di figurine rievoca ricordi d'infanzia, anche quando la ritrovi a casa dell'amico a cui l'hai regalata. Anzi, la godi di più.
Mi è successo davvero. Avevo questo mazzo di carte, una collezione di figurine dei cartoni animati. Prima lo riesumavo ogni tanto, quando mi capitava di aprire il baule dei ricordi, il solaio dell'anima. Una lacrimuccia, un sorriso, via di nuovo nella scatola. Me la sarei giocata così tutta la vita, senza mai sapere quale sarebbe stata l'ultima volta. Invece, regalandola, l'ho dimenticata, nessun dolore, nessun rimpianto. Anni dopo mi sono ritrovato ospite di vecchi amici, sono entrato nella camera degli ospiti e... voilà! La collezione di figurine è tornata violentemente alla realtà, incorniciata sul muro. Fu la volta che me la godetti di più.

Non possiamo incorniciare tutto ciò che possediamo, non basterebbero le pareti di una città. La maggior parte dei nostri averi è condannata a prendere la muffa in cantina o la polvere in soffitta. I libri dovrebbero crepare tra le fiamme, trasformarsi in barchette di carta o viaggiare da una biblioteca all'altra, invece troppo spesso muiono di vecchiaia su una mensola.

Ecco, mi sono perso di nuovo. A furia di saltare dalla metrò al treno, seguendo voci metalliche e orologi lampeggianti, senza mollare carta e penna, è inevitabile perdersi. La mente corre avanti, per anticipare il corpo, ed io stavo già pontificando la dottrina del non possesso. E' la mia malattia che cerca complicità, vuole diffondersi e contagiare, per sentirsi meno sola, quasi "normale". Perché ciò che è condiviso assume valore, ciò che assume valore trova consenso, ciò che ha consenso appartiene alla Matrice.
Ogni morbo tenta di guarire se stesso contagiando il mondo intero.
Ma io sono Morfeo, signore dei sogni, so riconoscere un sogno senza speranza, un'illusione della mente che inganna se stessa. Sveglia, Morfeo, apri gli occhi! Orsù, destati!
Abbandono il mio regno, entro nella Matrice, sono tra voi, determinato a guarire. Voglio assaggiare questa ragnatela intessuta di valori un'altra volta, sentire se fa davvero schifo come ricordo. Piace a tutti, deve piacere anche a me. Sei miliardi di mosche non possono sbagliarsi.
Serve un atto concreto, qualcosa che si possa toccare con mano, per dimostrare la volontà di guarigione. Ho trovato. Stasera, nella mezz'ora di libertà dopo la bimba e prima del sogno, prenderò il cellulare, quello ricevuto a Natale, e lo metterò in carica. Domani mattina, in treno, leggerò il manuale di istruzioni. Ci voglio provare, davvero. Devo ripetere il mantra "nuovo è bello, nuovo è figo, nuovo è meglio". Mi sento già ridicolo ma lo faccio, giuro. Voglio guarire per rispetto verso che mi vuole bene.
No! Sveglia, resta sveglio! Stavi già farneticando...

C'è solo un problema. Fuori dalla Matrice si sta davvero bene. Benissimo. Ve lo racconterò, ne vale la pena. Putroppo non è facile condividere la libertà, per questo scegliamo di vivere in branco: per non restare soli.

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