Vittime d'illusioni

Maggio 2014

Se non hai quello che vuoi,
è perché non sai quello che vuoi

Titolo

Non scrivo per chi si alza la mattina col sorriso stampato sul volto, prende la valigetta, bacia la moglie e salta sul tram col cagnolino che saluta festoso, ruzzolando nel giardino. Di solito, sullo sfondo, s'intravede la sagoma d'un candido mulino. Praticamente bianco.
A me interessano gli insoddisfatti. Quando siamo infelici probabilmente non conosciamo noi stessi. Forse viviamo ai limiti della Matrice , senza capire se lo facciamo per scelta o costrizione. Forse sgobbiamo per entrare ancor di più nel Sistema, ma non vogliamo ammetterlo. Oppure vorremmo trovare il coraggio di mollare tutto e partire con gli zingari, ma restiamo attaccati alle nostre scuse.
- Io ho un problema oggettivo, Morfeo: il mutuo da pagare!
- Magari potessi! Ma come faccio poi a mantenere la famiglia?
- Anch'io vorrei rinunciare al cellulare, alla macchina, alla lavatrice. Ma queste cose mi servono per lavorare... se andassi al lavoro in bici arriverei sudaticcio...

Mi spiace che qualcuno vi abbia puntato una pistola alle tempie e obbligato a comprare casa. Mi dolgo anche per chi si è sposato in extremis dopo la fuitina. E mi struggo dal dolore per quei disgraziati che hanno dovuto comprare l'automobile perché bocciati all'esame di ciclismo. Siamo tutti vittime innocenti del sistema. Nessuno sceglie di aprire un mutuo in banca, acquistare un televisore da tre cubiti o riprodursi. Sono cose che succedono, punto e basta. Obblighi morali. Leggi divine. Prescrizioni cosmiche.

Conoscete davvero voi stessi? I motivi delle vostre scelte? Forse dovreste rivalutare la pillola rossa, per quanto scomoda. La conoscenza del sé aiuta a capire chi siamo, dove andiamo e cosa vogliamo. Chi vive nell'ignoranza, invece, tende a lamentarsi spesso. Lo dicono persino in una famosa pellicola, quella ispirata alle mie avventure. Ad un certo punto l'agente Smith spiega che le macchine sperimentarono una Matrice di pura perfezione e bellezza, dove tutti erano perennemente felici, ma non funzionò: le persone morivano a migliaia. Ne dedussero che alla razza umana piaceva soffrire, lamentarsi. Preferiamo avere una scusa per essere infelici, piuttosto che vivere col terrore di perdere la felicità.

Nella Matrice stiamo bene perché possiamo lamentarci in coro. Possiamo lagnarci delle otto ore al giorno, invece che ammettere d'aver scelto di lavorare per stare nel branco. Come quelli che si sciroppano il festival di Sanremo e poi lo commentano, disgustati, il giorno dopo. Se gli chiedi spiegazione ti rispondono: "Cosa dovevo guardare, un film già visto?", che è un po' come dire: "Sì, è vero, mi sono fatto internare ad Auschwitz volontario: cosa dovevo fare, andare a Buchenwald?"

Il vittimismo è una delle forze principali che ci legano alla Matrice. Se non siete contenti di lavorare tutto il giorno, tornare a casa sfatti e crollare sul divano, forse state facendo le vittime. Ve lo dice uno che la sa lunga, in materia di vittimismo. L'ho preso dal lato materno: mio nonna faceva la vittima, mia mamma faceva la vittima, e io non posso esimermi.

Spiaggia con ombrelloni

Il primo tipo di vittimismo, il più diffuso, è il vittimismo ipocrita. Trattasi di atteggiamento da lagna d'osteria, lamento da bar o sfogo della pausa caffè. Lo slogan più famoso è "Vorrei mollare tutto e aprire un baretto sulla spiaggia". Altri sintomi ricorrenti sono la convinzione d'essere costretti a pagare il mutuo, o la certezza di non poter vivere con metà stipendio. Innanzitutto non si capisce perché sia così difficile mollare tutto e aprire 'sto fottuto baretto sulla spiaggia. Se vi piace fatelo e basta, invece di cincischiare! Se hai i soldi per andare in vacanza, ce li hai anche per emigrare.

Invece no, la vittima preferisce lagnarsi. Cerca la tua approvazione appoggiandoti il muso sulla coscia, come un cucciolo affamato di comprensione. Oddio, c'è chi si lamenta giustamente, perché ha subito qualche torto bello e buono, ma quella è la categoria cosmica, di cui parleremo dopo. Il vittimista ipocrita è responsabile d'ogni singola pieguzza del suo destino. Ha scelto di mettere su famiglia, ha scelto di aprire un mutuo in banca, ha scelto di non emigrare. Per coerenza ha scelto di lamentarsi e fare la vittima, perché fa simpatia. Se dici d'alzarti volentieri il lunedì mattina fai la figura del crumiro. Meglio lamentarsi come fan tutti, fa un po' alternativo e molto umano. Ci adeguiamo alla massa per sentirci speciali.

Mettiamo che avete sete. Avete sete e volete bere un po' d'acqua. Per soddisfare il vostro desiderio dovete allungare la mano e prendere il bicchiere. Il vittimista ipocrita inveirebbe dicendo che è uno schifo, mi tocca sempre allungare la mano, un obbligo dietro l'altro, ma che vita di merda, sempre doveri e mai piaceri. Egli mette l'accento sul "devo prendere il bicchiere" invece che sul "voglio un po' d'acqua". Vi sembra assurdo? Tanto assurdo? Pensateci bene, perché è esattamente quello che fate quando vi lamentate del mutuo da pagare.

Il vittimismo cosmico è tutta un'altra storia. L'ho vissuto in prima persona e ci ricado pure spesso. Il lamento del vittimista cosmico è costellato di ingiustizie sociali, povertà ereditaria e infanzie dolorose. Storie sempre troppo lunghe o noiose, che richiedono un certo sadomasochismo per essere condivise. Qualcuno ha detto sadomasochismo? Eccomi! Pronto!

Da piccolo mi chiedevo se eravamo ricchi, poveri o benestanti. Non era facile capirlo. Ad esempio, quando i miei fratelli iniziarono a prendere brutti voti a scuola, mio padre promise strepitosi incentivi per motivarli nello studio: motociclette, automobili, corsi di inglese e d'informatica. Roba da ricchi, insomma. Per fortuna furono bocciati entrambi, così il nostro patrimonio virtuale non venne intaccato. Capii che essere ricchi era una questione d'educazione. Per educarmi come si deve, a me che ero sempre promosso a pieni voti, mio padre non propose mai alcun premio. Ammetto che lì per lì mi parve un'ingiustizia, ma sbagliavo. Era una lezione di vita. La prima di tante.

Morfeo 1° classificato

Lo compresi durante il servizio militare. Arriva primo del corso, mi dissero, e potrai scegliere la destinazione. Passai tutte le sere a studiare in caserma, mentre i compagni di corso giocavano a biliardo. Dopo mesi di sacrificio riuscii a classificarmi al primo posto. Sicuro d'essere accontentato, feci richiesta d'assegnamento all'aeroporto di Ciampino. Invece venni mandato a Milano, in piazza Novelli. A quel punto sorse in me il leggerissimo dubbio che la meritocrazia non funzionasse, che ci fossero dei raccomandati, ma mio padre mi riportò sulla retta via. Ora sei a Milano, disse, e sei iscritto all'università serale. Dovrai dare degli esami, ti serviranno dei permessi. Tu cerca di impegnarti sul lavoro, fatti apprezzare dal Maggiore, e vedrai che ti daranno tutti i permessi che ti servono. Così mi buttai nel lavoro a pesce, dando il meglio di me stesso. Tre mesi dopo ero da solo in ufficio. Lavoravo così bene che i miei colleghi potevano restare in pausa caffè tutto il giorno, tanto c'è il Tenente Morfeo che tira avanti la baracca. Così, al posto dei permessi, vinsi una bella precettazione durante il weekend.

Ecco come ragiona il vittimista cosmico. Non è una storia fatta di scelte, ma di ingiustizie percepite. Oddio, sempre di scelte si tratta, ma sbagliate. Il vittimista cosmico si lascia guidare da nobili illusioni, quali meritocrazia, giustizia e onestà. E ogni volta si ritrova una oggetto estraneo tra le chiappe. Ma lui continua a crederci e sperare, imperterrito.

Morfeo pilota d'aliante

A sedici anni, durante il corso di volo a vela, scovai le prove di una raccomandazione e segnalai la cosa ai compagni. Quella notte dovetti cagare dalla finestra del terzo piano, vittima di un simpatico cocktail a base di Guttalax e d'una segregazione forzata in camera. Defecare col deretano all'aria mentre ti tengono per le braccia non è bello, eppure non mi servì da lezione. E' vero, da quel giorno smisi di denunciare pubblicamente le ingiustizie, ma non avevo capito dove stava il problema: la fiducia assoluta nella meritocrazia.

All'università mio padre ci passava cinquecento euro ad ogni esame. La legge era uguale per tutti. Io facevo Fisica e potevo dare al massimo quattro esamini l'anno, robette tipo Relatività o Meccanica Quantistica. Mia sorella invece era iscritta all'ISEF e sosteneva esami d'una complessità inaudita ogni mese. Così la paghetta si traduceva in cinquecento euro al mese per lei, duecento per me. Per tirare a campare trovai un lavoretto part-time, innescando involontariamente un cortocircuito che mi spinse fuori dalla Matrice: più lavoravo meno studiavo, meno studiavo meno davo esami, meno esami davo più si riduceva il contributo paterno. Alla fine della fiera dalla famiglia mi venivano sì e no cinquanta euro al mese. Quale mirabile lezione di vita! Imparai a fare il barbone, divertirmi senza spendere un soldo e rubare per mangiare. Furono gli anni migliori della mia esistenza, ma non per mio padre, che si infuriò quando smisi di sciare e andare in vacanza. Fossi stato un bravo figliolo avrei dato via il culo per pagarmi la settimana bianca e accontentare i miei vecchi. Avrei potuto mentire, raccontare che me la spassavo alla Canarie, far mandare una cartolina dagli amici o falsificare qualche foto. Invece ho preferito preservare la mia integrità anale e morale. Sono un dannato egoista, lo ammetto. Più dannato che egoista, direi.

Per fortuna intervenne lo Stato italiano, controllando la mia dichiarazione dei redditi. Secondo il saggio Stato non era possibile campare con trecento euro al mese, quindi ero un mantenuto e dovevo rientrare, almeno fiscalmente, nello stato di famiglia. Ciò mi impedì di avere un alloggio semi-gratuito all'ESU e l'accesso alla mensa in fascia economica, ma fu un bene: ero così miserabile che il sentirmi povero avrebbe sicuramente intaccato la mia autostima. Fui invece obbligato a ricevere lo status di studente benestante, al modico prezzo della rinuncia ai diritti delle fasce protette e tutti i sussidi. Il danno oltre la beffa.

Certo, mi sentivo un po' triste quando gli altri mangiavano in mensa e io pranzavo con una mozzarella sulla panchina del parco, ma anche quello mi tornò utile: quando iniziai a fare il barbone entrai nella categoria professionisti saltando la gavetta (più o meno letteralmente).

Inoltre, risultando fiscalmente parte della famiglia, ogni documento andava firmato dallo zio, quello che lavorava sulle petroliere e tornava a casa ogni sei mesi. Impiegai tre anni per dimostrare che ero davvero povero. Mi salvò un santo impiegato dell'amministrazione, che guardando le fototessere allegate alla pratica si accorse che i miei capelli erano cresciuti di trenta centimetri tra una foto e l'altra. Il sant'uomo mi disse di far firmare lo zio all'istante, sotto i suoi occhi. Io, da onesto idealista, non avevo nemmeno considerato una simile eresia. Grazie a quella firma falsa ricevetti l'agognato tesserino mensa e ripresi a mangiare due volte al giorno. Per fortuna sei mesi dopo mi laureai, altrimenti avrei rischiato di ingrassare.

Tesi di laurea autoprodotta

Per integrare la borsa Erasmus dovetti vendere la macchina, che m'ero pagato di tasca mia. Prima di partire per Londra, non avendo un posto dove lasciare le mie cose, impacchettai tutto ciò che possedevo in una quarantina di scatoloni che sparpagliai tra amici e conoscenti. Impiegai nove anni a tornare in possesso dei miei libri. Al momento della tesi mi mandarono al CERN di Ginevra, ma non avevo i soldi per l'alloggio. Tanto te li rimborsano, dicevano. Sì, ma cosa me ne faccio del rimborso, se intanto non posso pagare? Andai a Ginevra coi soldi prestati da una ex, rischiando poi di dover saldare gli interessi in natura. Non per vantarmi, ma pago sempre i miei debiti.

La tesi di laurea fu un'altra odissea. Non avendo un computer usavo i terminali dell'università, aspettando pazientemente che gli altri studenti terminassero accurati esperimenti sulla finalità antropologiche delle chat. M'ero anche inventato una tipografia fai-da-te portatile: tenevo le immagini della tesi in una cartelletta, che incollavo e fotocopiavo ad ogni stampa. Per fortuna la commissione non si accorse né di quello, né che m'ero rilegato le pagine da solo, con la vinavil.

Nella Matrice trovi c'è sempre chi ti spiega come fare, ti dice capisco, ci sono passato anch'io. Poi viene fuori che ha una stanzetta a casa dei genitori, un posto in cantina o in garage. Ne ho conosciuti a bizzeffe che mi capivano. Intanto la mamma gli faceva il bucato e il papà gli pagava la vacanza in Brasile, dopo gli studi. Il mio regalo di laurea è stato un aperitivo al bar per una dozzina di persone, offerto da mio padre. Mi sono dovuto pagare la festa di laurea dando ripetizioni serali. Lo so, ci sono quelli che vanno all'estero con un programma alla pari, basta trovare i soldi per il viaggio, perché non lo fai anche tu, Morfeo? Io? Come facevo ad andare all'estero e nel frattempo pagare l'affitto di casa? Dove lasciavo le mie cose? Oddio, una volta l'ho fatto: ho venduto i mobili, disdetto l'affitto, buttato via i ricordi d'infanzia. Poi, al ritorno, ho sputato sangue. Non è simpatico tornare in Italia e scoprire che hai perso il diritto alla mutua, non hai un posto dove dormire e devi lavorare per ricomprarti tutto, iniziando dalla casetta degli attrezzi. E' facile fare i bohémien se i genitori ti curano l'italica residenza mentre vai in India. Io ero solo e mi arrangiavo come potevo. Potrei dire che mi sono fatto da solo, ma mi sono fatto così male che evito.

Come suggerisce l'Analisi Transizionale di E. Berne, lo stato emotivo che associamo al padre è legato all'archetipo della società; rappresenta la chiave per decifrare i conflitti con la Matrice. Ecco perché il vittimismo cosmico passa spesso per la figura paterna. Siccome il padre ci insegna la meritocrazia, noi ce l'aspettiamo dalla società. Adesso, che sono padre anch'io, ho capito che i genitori predicano la meritocrazia per avere un bimbo buono e ubbidiente, invece che un ribelle anarchico. Lo fai per il tuo quieto vivere. Però, al raggiungimento della maggiore età, si dovrebbe dire la verità ai figli. Mio padre ci provò, ma era troppo tardi. E' difficile, dopo vent'anni di fastose illusioni, demolire un monumento alla meritocrazia.

I primi dubbi sorsero quando Aetius il Giovane, che viveva di espedienti come me, mi confessò di non pagare l'affitto. Fu uno shock scoprire che casa sua era davvero sua. A lui devo il mio risveglio, la scoperta delle mie potenzialità. Eppure, dopo quella rivelazione, tra noi qualcosa si ruppe: come potevo accettare consigli sulla gestione di studio e lavoro, quando io pagavo l'affitto e lui no? Con Trinity fu addirittura peggio. Lei faceva la cameriera per pagarsi gli studi. Un giorno, per dimostrare il suo status di vittima, mi fece assistere alla discussione con la madre al telefono, in viva voce. Non si aspettava certo che le smontassero il teatrino così, su due piedi.
- Ma che vuoi, figlia mia, che ti mandiamo altre settecentomila lire al mese?
Lei diventò color prugna e tolse immediatamente l'audio, ma ormai il danno era fatto. Morfeo aveva imparato che tutti avevano una famiglia, tranne lui. Meglio tardi che mai.

Potrei andare avanti per ore, ma credo abbiate capite l'antifona. Il mio è il resoconto d'una chiara sintomatologia da pillola blu. Anch'io mi calavo nel ruolo della vittima, lacrimando inchiostro tra le pagine di un diario. C'è qualcosa di magico nel raccontare il dolore ad un sordo pezzo di carta. Dal vittimismo romanzato nasce la forza degli schiavi, la voglia di cantare e ballare tra un colpo di frusta e l'altro. Ecco la soluzione! Il Blues! La banda! Ho visto la luce!
(lui ha visto la luce!)

Morfeo nei panni di Jake Blues

Quanto tutto andava male vestivo i panni di Jake Blues e andavo in giro a dar spettacolo. E' facile ridere dietro una maschera, perché è la maschera ad essere felice, non tu. Tanto più sei infelice, tanto più la maschera si diverte. Sei il protagonista che raccoglie le energie per il lieto fine. Senza le botte prese nel primo tempo non ci sarebbe la rivalsa nel secondo. E' il trucco della nostra nazionale di calcio: ci serve un scandalo, per vincere i mondiali.

La filosofia Blues funzionò anche nel 2000, quando mi trovai senza casa, soldi, lavoro, mezzi di trasporto, fidanzata e salute. In quella situazione di sfiga totale trovai la forza per tornare alla Matrice. Tre mesi dopo avevo uno stipendio di tre milioni, bilocale in affitto, macchina fiammante e morosa gothic-dark. Non bella ma sexy. In quel periodo caddi, per la prima volta, nell'altra trappola: quella del vittimista ipocrita. Dal lunedì al venerdì in ufficio, il sabato e domenica a zonzo con la ragazza, e il mio tempo libero? Dove sono i miei spazi?

Il vittimismo ci interessa da almeno da due punti di vista. Il primo riguarda coloro che fanno la vittima per stare nel branco, per vivere alla moda lavandosene le mani, come se non fosse una loro scelta. Da questo punto di vista il vittimismo è una delle forze fondanti della Matrice.
L'altro aspetto è molto più importante, perché tira in ballo la consapevolezza. Prendiamo il vittimista ipocrita. Se egli diventasse consapevole d'essere artefice del proprio destino, d'aver scelto di pagare il mutuo e metter su famiglia, il suo lamento sarebbe uno sfogo, una commedia all'italiana, una farsa che fa bene alla salute. Ricordate il trucco della pillola rossa? L'affrontare la verità con l'umorismo tra i denti? I vittimisti ipocriti dovrebbero recitare il ruolo della vittima per scherzo, indossando la maschera del giullare e tenendo bene a mente la verità: la vita è una loro scelta. Ma che scelta del menga! E giù risate!

E il vittimista cosmico? Di cosa dovrebbe essere consapevole, chi non ha avuto scelte? Cosa c'entra la consapevolezza quando si parla di orfani e schiavi? La risposta probabilmente non vi piacerà, così come non è piaciuta a me. Il fatto è che ogni delusione è figlia di un'illusione. Nel mio caso qualcuno (mio padre) mi aveva inculcato in testa, a buon fine, un sacco di balle su meritocrazia, onestà e giustizia. Posso perdonare il bambino che crede nella giustizia, che fa il bravo per entrare nella lista di Babbo Natale, ma non giustifico l'adulto che continua a vivere nell'illusione fanciullesca della meritocrazia. Gli esperti la chiamano Just World Fallacy. E' stato stimato che quasi metà della popolazione mondiale vive nell'illusione che esista una sorta di giustizia divina, una forza che premia i bravi e punisce gli altri. C'è persino chi crede che poveri, disgraziati e criminali si siano meritati quella vita, siano stati cattivi ed ora la stiano pagando. Ma a chi? E cosa?
Mi spiace, ma da irriducibile detrattore della realtà non posso sostenere l'illusione della meritocrazia. Nuoce alla salute. Se penso alle ingiustizie subite, alle difficoltà economiche, alle ore (dodici) che il sistema mi ruba ogni giorno, senza lasciarmi nemmeno i soldi per andare in vacanza, mi viene da piangere. A volte sembra che tutti siano più fortunati di me, abbiano genitori amorevoli che fanno i nonni o ti regalano un weekend a Londra, una volta l'anno. Eppure ho studiato più della media, lavorato più della media e mi sacrifico più della media. Allora perché vengo punito, invece che premiato? Perché tanta ingiustizia?

Morfeo con spada e scudo

Ecco, lo vedete, ragionare così fa male.
Io combatto il vittimismo dicendomi che il mondo non è giusto. E' colpa mia se ho voluto credere a tutte quelle balle sulla meritocrazia, quindi è colpa mia se ora mi viene da piangere. Così facendo recupero la forza dello schiavo in catene, la Filosofia Blues. Ti svegli la mattina con la congiuntive cronica, l'orecchio destro tappato da due anni, salti la colazione per combattere la gastrite e vai al lavoro zoppicando, con un menisco fratturato e un paio di ernie alla ginocchia. Ingoi mentine di continuo per lenire la farangite e larangite croniche, retaggi d'infanzia. Dopopranzo ti sale l'emicrania cervicale, compagna fedele da vent'anni. La sera hai giusto il tempo di lavarti, prima di andare a dormire, per alzarti all'alba l'indomani. Ma invece di piangere ti senti un eroe. Sei un alpino di ritorno dalla Russia, William Wallace che fomenta la rivoluzione scozzese, Guy Fawkes che spinge il carretto con le polveri, Cavallo Pazzo che spacca il cranio dei visi pallidi, Edmon Dantès che fugge dal carcere. Non parli più di ingiustizie, ma conti le cicatrici sulla pelle. Non ti illudi di avere una fetta di torta perché hai raccolto più cotone degli altri, né d'essere libero un giorno. Quando rinunci alla speranza rinunci anche alla disperazione, diventi il protagonista del film, senti l'energia della riscossa percuotere le vene e scuotere i nervi.
Non ha importanza quanto abbiamo subito, quanto ci hanno frustrato, o quante ore ci rubano ogni giorno. Non contano i meriti, né le colpe, né lo status sociale. Siamo dei sopravvissuti, quindi siamo vivi. Possiamo ancora cambiare le cose, abbiamo preso un sacco di legnate nel primo tempo, ma ora c'è la ripresa. I grandi personaggi sono emersi dalle ceneri, rimettendosi in discussione a cinquant'anni, o anche dopo. Non è mai troppo tardi. Non dico di illudersi di vincere, ma almeno di percepire la forza del mutamento insita in tutto ciò che è vivo. Vivere significa opporsi alle regole, sfidare le leggi di natura. I nostri antenati primordiali si sono abituati al veleno-ossigeno, gli alberi crescono opponendosi alla forza di gravità, i butti infestanti bucano l'asfalto delle città. Dobbiamo strisciare, come la gramigna, e conquistare il nostro centimetro di libertà, giorno dopo giorno.

Vi sentite una vittima? Sorridete, ammettete di esservi dati la zappa sul piedi e sdrammatizzate. Resterete comunque delle vittime, ma almeno non sarete più ipocriti.

La meritocrazia non esiste? Tanto meglio, una legge in meno da sfidare, un motivo in meno per piangersi addosso. Smettete di aspettarvi la ricompensa e imbracciate una chitarra, scatenatevi sulle vibrazioni blues del vostro dolore, nutritevi della sua energia.

Se proprio non potete fare a meno del lieto fine, eccovi serviti.
Le favole non dovrebbero indorare la realtà, bensì motivarci a costruire un mondo migliore. Forse meritocrazia, giustizia e onestà sono dei miraggi, così come fino a poco tempo fa lo erano anche l'abolizione della schiavitù e il diritto al voto. Pensate a quante utopie sono divenute realtà, negli ultimi secoli, grazie al sacrificio dei nostri predecessori. Impariamo da loro: anziché aspettarci un premio per il nostro impegno, sotterriamolo e annaffiamolo con amore, affinché possa rinascere nel futuro. Dobbiamo coltivare sogni per produrre realtà, piuttosto che aspettarci la ricompensa per aver creduto ai sogni.
Non si dovrebbe barcollare verso i miraggi ma dipingerli su tela, per lasciarli ai posteri.