Conosci te stesso

Maggio 2013

Il primo passo verso la sincerità
consiste nell'ammettere d'essere bugiardi

Morfeo con chitarra

Son passati quattro anni dal mio rientro nella Matrice. Nel 2009, tra treni, papaveri e zingari mi ritrovai a fare il pendolare, dodici ore al giorno. All'epoca fu il dolore per la morte del padre a spingermi verso la Matrice, come se ciò potesse riportarlo in vita, o renderlo orgoglioso di me. Adesso, dopo quattro anni, ci riprovo. Ogni mattina gli stessi papaveri, le stesse rotaie. Ma stavolta lo faccio per i vivi, la mia nuova famiglia, e non per i morti.
O almeno così me la racconto.

Vorrei parlare del mio anno vissuto fuori dagli schemi, con uno stipendio di 600 € al mese, cifra pari pari all'affitto mensile. Come ho fatto? Semplice: invece di spendere in vacanze, vestiti, smartphone e aperitivi ho impiegato i risparmi per arginare le spese scoperte. Ecco perché si deve uscire dalla Matrice per eludere (in parte) il Sistema. Fuori dalla Matrice non esistono abiti nuovi, cene in pizzeria, gadget tecnologici. Persino il kebab è un pasto di lusso. Esiste solo il tempo libero, forse anche troppo. Oltre lo specchio troviamo il tempo di guardarci dentro, scendere in profondità, tanto che poi diventa difficile tornare in superficie. Trovare le parole. Per parlare della vita fuori dalla Matrice dobbiamo fare il punto della situazione, rispolverare le pietre d'angolo. Il racconto del mio viaggio è una torre che accarezza le nuvole, ma le fondamenta affondano nel lessico, nella terminologia e nell'ermeneutica.

Nelle puntate precedenti abbiamo discusso varie definizioni di realtà. Abbiamo parlato delle realtà convenzionali, quali arte, moda, sport, politica e scienza. Già, perché anche la scienza, per quanto funzionale, è solo un modello operativo: funziona da dio ma non può dimostrare se stessa, più o meno come l'onnipotente. Con la differenza che la scienza offre qualche risultato un po' più pratico della religione, per cui, sinceramente, la preferisco ai dogmi clericali.
Abbiamo anche accennato all'impossibilità di definire una Realtà Assoluta. Al suo posto abbiamo parlato della Realtà Esterna, l'uovo di colombo che aggira il problema: la Realtà Esterna è il mondo percepito, forse illusorio, forse onirico, ma comunque riconoscibile dal manifestarsi delle sorprese, belle e brutte che siano.
Infine siamo arrivati al nocciolo della questione: da un punto di vista pratico la realtà sembra coincidere con gli schemi statici, idea suggerita dalla metafisica di Pirsig. E quali schemi statici ci interessano maggiormente? A mio parere si tratta degli schemi sociali, quelli che descrivono mode, consuetudini e tradizioni. In sintesi: gli schemi sociali (la Realtà) coincidono coi valori della maggioranza (la Matrice).

Perché chiamare Matrice i valori maggioritari, quando potevamo semplicemente parlare di schemi? Dopotutto è normale parlare di "vivere fuori dagli schemi", "uscire dagli schemi" o "andare contro corrente". Da questo punto di vista il concetto di Matrice è inutile, perché significa esattamente la stessa cosa: "uscire dalla Matrice" vuol dire "uscire dagli schemi". Ho scoperto l'acqua calda? Reinventato la ruota? Può darsi, ma io sto attribuendo alla parola "schemi sociali" un nuovo significato: io sostengo che essi rappresentano la realtà.

La realtà coincide con ciò che reputiamo importante

Griglia di ambienti sociali

Non siete d'accordo? Non è un grosso ostacolo, perché tutte le altre definizioni di realtà sono parimenti discutibili. Qualunque realtà di cui possiamo parlare, compresa la Matrice, è una realtà virtuale, perché non può dimostrare di esistere in senso assoluto. Ogni realtà concettualizzata, per definizione, esiste solo nella mente degli uomini. Ancora una volta arriviamo alla solita conclusione: la Matrice è il software installato sulla società umana (l'hardware). Software che diventa concreto grazie alle convinzioni-convenzioni assolutiste di chi crede che il mondo percepito sia l'unica realtà possibile.
- Ma la realtà oggettiva, Morfeo? Perché non ci parli di ciò che è oggettivo?
Ho appositamente evitato l'argomento. La gente non riesce nemmeno a mettersi d'accordo sul significato di "oggettivo". C'è chi intende oggettivo come sinonimo di assoluto, chi lo considera sinonimo di condiviso. Chi ritiene superflua la questione e chi impazzisce ponendosi la domanda. Del resto ogni discussione è una discussione sulla realtà.

Se fosse possibile accordarsi su una definizione condivisa di cosa sia oggettivo, dal mondo sparirebbero le incomprensioni, i litigi, le paure, le guerre e forse persino le malattie. A quanto pare invece non esistono definizioni oggettive della realtà oggettiva.
La fregatura è che non c'è niente da fare. Chi mastica un po' di filosofia, oppure è uscito almeno una volta dalla Matrice, sa di cosa sto parlando. Ma io vorrei raggiungere gli altri, quelli che credono ciecamente alle illusioni dei loro occhi. E' una missione impossibile, ma proprio per questo va tentata, iniziando dall'ostacolo principale: il meccanismo dell'autoinganno.

Ci raccontiamo tutti delle balle. Ogni giorno diciamo di sapere chi siamo, cosa vogliamo, perché lo facciamo e perché la pensiamo a quel modo. Siamo mentitori sinceri, perché crediamo in ciò che diciamo. Forse non si dovrebbe nemmeno parlare di bugie, né di ipocrisia, ma di semplice mancanza di consapevolezza. Io preferisco essere severo: quando non racconti la verità stai mentendo, punto e basta. Sarai anche in buona fede, ma sempre di menzogna si tratta. Altrimenti è troppo facile: molti nazisti erano convinti di salvare il mondo, mentre infornavano ebrei.

La non consapevolezza può essere un'attenuante, ma non deve diventare una scusa. Purtroppo le persone maggiormente ipocrite (con se stesse) sono quelle più certe della loro sincerità. Il Manuale di Uscita dalla Matrice recita:

Teorema dell'autoinganno ricorsivo

Se ti ritieni consapevole, se credi di conoscere i motivi delle tue scelte, allora ti stai ingannando al punto da creare l'illusione della consapevolezza del sé.

Al contrario le persone che hanno fatto del lavoro interiore, iniziando a togliere gli scheletri dall'armadio, sono consapevoli della propria ipocrisia. Sembra un paradosso, ma come suggerisce D. Hofstadter, i paradossi sono indicatori di consapevolezza. Succede anche in politica: tanto più sei democratico e progressivo, tanto più finirai con l'osteggiare il tuo stesso partito. E' una questione di Qualità Dinamica: per migliorare il mondo devi andare controcorrente, e pagarne il prezzo. Il viaggio verso la conoscenza del sé comincia con gli schiaffi, non coi sorrisi.

Inizierò dando l'esempio. A vent'anni ero convinto d'essere onesto e sincero: dicevo tutto ciò che mi passava per la testa. Poi compresi che quello che mi passava per la testa era una montagna di cacca. Fino a venticinque anni odiavo le discoteche e criticavo la vita mondana. Avevo intrapreso una crociata contro l'estetica, la superficialità, le relazioni infedeli e tutto ciò che era vagamente peccaminoso. Pensavo che le cosiddette "avventure da discoteca" fossero una leggenda metropolitana. Nel mio mondo soggettivo era impossibile che due sconosciuti finissero a letto assieme, succedeva solo nei film. Perciò criticavo qualunque tipo di vita lasciva, libertina o immorale. Come dice Nietsche: "Nessuno mente tanto quanto l'indignato".
A venticinque anni fui costretto ad aprire gli occhi: la mia fidanzata mi tradì la notte di Capodanno, mentre io pontificavo sul nostro rapporto di fiducia tra le pareti del Tempio. Era il nostro primo Capodanno separato, ciascuno per conto suo. Ricordo che gli altri si fermarono presso una cabina telefonica per salutare il partner, poco prima di mezzanotte. Io preferii astenermi da tale barbarica usanza, spiegando che "Un rapporto di fiducia non abbisogna di simili mezzucci". Poche ore dopo il dio cervo venne di persona ad incoronarmi con un bel cesto di lumache.
Tutto ciò fu un bene, il primo passo verso la consapevolezza.
La prima pillola rossa.

Copertina di un disco

Pochi mesi più tardi tentammo una riconciliazione da buoni ex. Tutti allegramente in discoteca con gli amici, per la fine stagione del Vinile di Rosà. Io ormai mi consideravo un Destato: avevo capito come girava il mondo, stavo muovendo nuovi primi timidi passi, in questo caso danzerecci. Anch'io volevo rimorchiare, avere avventure occasionali, ballare sotto le luci cromate volteggiando nella linfa musicale. Stavo già pensando d'essere un dio quando mi voltai verso il bancone del bar: uno sconosciuto le si avvicino, le prese la testa e la baciò così, a bruciapelo. Per fortuna la coltellata fu talmente robusta da tenermi in piedi, impalato sull'asta della picca sanguinante. Rimasi lì a guardarli uscire assieme, mano nella mano. Tornando a casa, tutti assieme allegramente, iniziai a pormi strane domande. Dov'erano stati quelle due ore? Perché erano rimasti nel parcheggio? Non sarà mica vero che due sconosciuti in discoteca...
Seconda pillola rossa.

Il Risveglio non è un'epifania che cambia la vita. Il Risveglio deve avvenire ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Destarsi non è un evento significativo, ma un modus viventi. Per questo dormiamo, sogniamo e ci svegliamo ogni mattina. Il sonno ci rammenta che il Risveglio è una pratica quotidiana. Ogni giorno dobbiamo chiederci quali sono le bugie che ci stiamo raccontando, togliere uno scheletro dall'armadio, fare spazio alla consapevolezza. Non riusciremo mai ad essere completamente onesti con noi stessi, perché la Verità è un traguardo irraggiungibile.
E' questa la pillola rossa, l'amaro calice che fa guardare oltre lo specchio, con occhi disillusi e crudelmente cinici. Ecco perché molti preferiscono la pillola blu: è più facile vivere nell'illusione che il mondo sia colorato, la realtà concreta, i pensieri sinceri.

Budda

E' umano credere in modo assoluto nella realtà. Ogni giorno sperimentiamo ciò che gli esperti chiamano conflitto socio-cognitivo, un parolone che serve ad identificare gli scontri tra il nostro paradigma e i diversi punti di vista, modi di pensare, opinioni. Grazie alla definizione di Realtà Esterna non serve sapere se le altre persone esistono davvero o sono proiezioni della mente: in ogni caso le vediamo, percepiamo, amiamo e odiamo. Condividiamo esperienze e sorprese, delusioni e illusioni, sogni e fantasie. C'è qualcosa di magico negli elementi stabili della realtà. Mi alzo la mattina e ritrovo il mondo più o meno come l'avevo lasciato la sera prima, forse un po' spettinato, ma è sempre lui. E' normale che molte persone finiscano col rendere oggettiva tale esperienza, costruendosi l'illusione di una realtà assoluta. C'è chi lo fa per scelta, tramite un atto di fede, aderendo ad un pensiero scientifico, umanista, filosofico, psicologico o religioso. C'è chi lo fa senza accorgersene, irrigidendo i propri modelli operativi, ricalcando da sempre gli stessi collegamenti sinaptici, fino a convincersi che il mondo attorno a lui (la sua concettualizzazione del mondo) sia una certezza assoluta.

Insomma, posso concedere l'illusione che la realtà sia più o meno "oggettiva". Dopotutto la Matrice serve proprio a questo. Se decidiamo tutti assieme che "il denaro ha un valore oggettivo" allora le banconote non sono pezzi di carta, ma diventano merce di scambio. Diamo importanza ai valori condivisi (e condividiamo i nostri valori) per renderli reali, concreti. Da questo punto di vista la Matrice è "oggettiva" per definizione.
La questione è un'altra: se vogliamo uscire dalla Matrice dobbiamo ammettere che l'immagine che abbiamo di noi stessi è falsa. E' questo il vero obiettivo del nostro viaggio. Abbiamo cominciato smontando il concetto di realtà per scaldare i muscoli, preparare il terreno. Dopo aver compreso che ciò che vediamo, tocchiamo e sentiamo è un'illusione, o meglio una convenzione, possiamo compiere lo stesso lavoro su noi stessi. Dopo aver smontato l'oggetto dobbiamo smontare il soggetto, operazione che conduce al famoso paradosso buddista: chi deve smontare il soggetto, se il soggetto è un'illusione?

Ricordate le tre grandi illusioni?
La prima illusione è la fede nella Realtà. Bene, l'abbiamo smontata abbastanza, questa Realtà: la Realtà è un prodotto della nostra mente, più o meno come i sogni.
La seconda illusione è l'Ermeneutica. Io dico Matrice, voi capite Sistema. Uno può spiegarsi finché vuole, fare mille esempi, ma alla fine siamo tutti prigionieri nei nostri filtri cognitivi, pareti invisibili che delimitano la nostra realtà soggettiva.
La terza illusione è la Conoscenza del sé. E su questo ci cadiamo tutti, sempre e comunque.
Io ci casco malissimo.
Servono coraggio e precisione chirurgica per guardarsi dentro. E' una questione di fredda analisi dei dati, che uccide ogni poesia e distrugge l'autostima. Quando la pillola rossa arriva nello stomaco ti vedi dall'esterno, con occhi alieni. Il tuo corpo diventa vetro argentato, un fluido sfuggevole che scivola oltre lo specchio. Ecco perché abbiamo bisogno di rendere oggettive le nostre illusioni: è un meccanismo di difesa. Aderiamo ai valori del branco per sentirci al sicuro, per rafforzare la maschera pirandelliana che indossiamo ogni mattina.

Pagina del diario

Io sto ancora togliendo brandelli di maschera, incollati sul volto da troppi anni. Mi racconto balle da una vita. Per anni mi sono impegnato nell'elencare gli errori che mio padre ha oggettivamente fatto nel crescermi. Le difficoltà oggettive che ho avuto per tirare a campare, senza aiuti economici, quand'ero all'università. Tutto il male che le donne mi hanno oggettivamente fatto, dopo avermi amato. Le prove oggettive delle ingiustizie subite: diari, registrazioni, appunti e studi statistici. Avevo stilato un elenco dettagliato dei torti subiti da amici, familiari e parenti. Conteggiavo le ore passate al telefono, per dimostrare, sempre oggettivamente, che i miei fratelli usavano il telefono più spesso di me. I diari della mia giovinezza sono pagine piene zeppe di numeri: segnavo le ore trascorse con la morosa e quelle trascorse con gli amici, poi convertivo e normalizzavo i diversi fattori per dimostrare, oggettivamente, che non trascuravo gli amici quando avevo la ragazza. Una triste, squallida, verità di cui mi vergogno: ho trascorso metà del tempo raccogliendo prove oggettive delle mie disgrazie, e l'altra metà spiegando che non esiste una definizione condivisa di realtà oggettiva. Probabilmente lo sto facendo anche adesso, forse con un briciolo di consapevolezza in più.

Siamo fatti così, noi esseri umani. Combattiamo per convincere noi stessi. Lottiamo per affermare esattamente il contrario di ciò che siamo. Ci identifichiamo con la fotografia tratta dal negativo, dove ogni colore è l'esatto opposto di quello inciso sulla pellicola. Ma noi siamo il negativo, non la fotografia. Più ci scaldiamo, quando la conversazione ci interessa da vicino, più ci parliamo addosso. Mentiamo a noi stessi per sentirci migliori, per provare ad essere migliori. Viviamo sognando per non vedere la merda che abbiamo sotto il naso. La pillola rossa aiuta a guardare verso il basso, verso l'oceano di cacca che ci sommerge, solcato da mostri d'abissale ignoranza.
Ma ne vale davvero la pena?