Scienza Arcana

Aprile 2012

La scienza ha preso il posto della religione
Tutti l'adorano e nessuno la conosce

Morfeo prega

Riassunto delle puntate precedenti: la realtà socialmente accettata è una convenzione, la verità scientifica un modello. L'unica verità assoluta è la percezione del fenomeno dell'esistenza.
Se questa vi pare una posizione nichilista, state dicendo che il bicchiere è mezzo vuoto. Dall'alto del mio colle, dove l'occhio abbraccia le terre del sogno e della fantasia, il bicchiere è sempre tutto pieno: una metà è piena d'acqua, l'altra metà è piena d'aria.
Da questo punto di vista, accettare il bicchiere pieno di nichilismo significa che ogni realtà esiste virtualmente, all'interno della Matrioska delle Realtà. Elfi, fate e folletti esistono come i soldi, gli elettroni e la proprietà privata: sono tutti prodotti della mente umana.
Quel che conta è come si esiste, come possiamo interagire con ciò che percepiamo esternamente a noi. Quante ore siamo disposti a lavorare in nome del denaro? Quanto ci aiuta credere in Dio? E nelle fate?

Ognuno di noi sceglie gli oggetti mentali a cui dare valore, li ingloba nella vita, ci investe tempo ed energia fino a non metterli più in discussione. Anche la mente ha il suo istinto di conservazione, ecco perché ci costruiamo una realtà assoluta personale. Un bel assoluto fatto su misura, dove i valori sono oggettivi, ovvi, quasi reali. Una realtà fatta della stessa materia dei sogni, un'illusione che può essere smascherata solamente risvegliandosi.
Nell'epoca in cui la scienza ha preso il posto della religione, e viene temuta come la magia, un modo di svegliare le persone è quello di demolire la fede nella scienza, per sostituirla con un approccio pratico. E' così che funziona la pillola rossa: dobbiamo essere cinici per perdere la fede nella scienza, ed iniziare ad usare la scienza. La fenomenologia suggerisce modelli scientifici dove spazio, tempo e materia sono soggettivi, ovvero dipendono dall'osservatore. In soldoni: la nostra realtà ce la costruiamo noi. La scienza considera razionali fatti che, all'interno della Matrice, sono spacciati per irrazionali. Non dico di crederci in senso assoluto, ma diventare almeno possibilisti: smettere di pensare "con metà stipendio non arriverei a fine mese" e iniziare a chiedersi "cosa voglio veramente dalla vita?".
Ecco perché vi racconterò come persi la fede nella scienza, all'età di venticinque anni, quando il Destino mi strappò dalla Matrice.

Una volta credevo che la scienza indagasse la Realtà Assoluta. Volevo capire il mondo, e nel farlo m'ero illuso che fotoni, elettroni e compagnia bella fossero concreti, oggettivi. Credevo che lo fosse persino la Meccanica Quantistica, con il suo magnifico elogio all'indeterminatezza. Avevo scelto la fisica per questo, spinto dal gene della Grande Ribellione. Mi ero riconosciuto nell'idea che il mondo possa cessare di esistere, se nessuno lo osserva. Certo, sapevo che era "solo" una teoria, che un giorno sarebbe stata superata, o corretta, ma pensavo che fosse comunque reale, che descrivesse - almeno in parte - la Realtà Assoluta.
Ricordo bene il momento in cui lo specchio s'infranse, la realtà vacillò attorno a me ed iniziai a precipitare nella tana del bianconiglio. Accadde nella primavera del 1995, pochi mesi dopo la battaglia con Granpasso.

Teoria della misura

All'epoca ero uno studente modello, i docenti avevano imparato a conoscermi. Facevo capolino spesso nei loro uffici, per sottoporre dubbi e domande sui libri di testo. La maggior parte delle errata-corrige che accompagnavano le dispense universitarie, in quel periodo, erano farina del mio sacco. Facevo le pulci ad ogni brano, formula o dimostrazione. Incrociavo le fonti, controllavo i risultati, segnalavo i passaggi critici.
- La prossima è a pagina 78, professore: collasso della funzione d'onda, proposizione P2.
- Vediamo.
- Dunque... per una misura ideale di prima specie, se otteniamo il risultato a autostato dell'osservabile A, abbiamo che la funzione d'onda subito dopo la misura sarà la proiezione di ψ(x) sul proiettore Qa... ovvero la funzione d'onda ψ(x) collassa in modo da assicurare il medesimo risultato, in caso di un'eventuale altra misura immediatamente successiva.
- Esatto.
- Ecco... se ho ben capito, è qui che scaturisce l'impossibilità di definire lo stato della particella prima della misura... cioè... è in virtù della proposizione P2 che si dice... esemplificando ovviamente... che una particella non ha posizione prima di essere misurata.
- Sì. Ma qual è la domanda?
- Perché non supporre invece che la particella sia collassata prima della misura? Matematicamente tornerebbe tutto lo stesso, no? Si potrebbe assumere come ipotesi di lavoro che la particella collassi prima in un modo, poi un altro, istante dopo istante... così, quando noi la misuriamo, non facciamo altro che rilevare la forma dell'ultimo collasso. Anche così non potremmo sapere prima della misura dove si trova la particella, poiché non sappiamo in quale stato collassato si trovava prima d'essere osservata, quindi... a cosa serve questa ipotesi?
- Quale ipotesi?
- Il fatto di assumere che la particella non abbia posizione prima della misura. Io non capisco, non mi sembra un'ipotesi necessaria...
- Difatti non è necessaria. E' solo un'ipotesi di lavoro.
- Come?
- A che serve discutere lo stato della particella prima della misura, se esso è incognito? E' più semplice assumere che la particella non si trovi in alcun autostato definito, e che sia la misura a determinare la forma d'onda. Infatti non è necessaria alcuna interazione con la materia: la forma d'onda può cambiare anche se non troviamo la particella. Si ricordi cosa succede se compiamo una misura senza trovare la particella: la funzione d'onda cambia per allinearsi al risultato della misura, senza che nessuno abbia interagito con la particella. Quindi è più semplice supporre che prima della misura la particella non sia in alcun stato definito... mi sono spiegato?
- E' solo un'ipotesi? Il collasso della funziona d'onda sarebbe... un'ipotesi?
- Certo, cosa credeva? Quale esperimento potrebbe mai confermarlo?
(rumore di vetri in frantumi, Morfeo cade nel vuoto)

Fu quello l'attimo. Aetius il Giovane, Granpasso, Molly, le cacce all'elfo, i giochi di ruolo e l'appartamento in via Grotto dell'Ero erano solo avvisaglie, prerequisiti, le avanguardia del crollo. La Matrice si infranse in quel preciso momento, nell'ufficio di un docente di fisica, in un tiepido pomeriggio di primavera. Non rammento il giorno, ma ricordo bene la sensazione.
Il terreno mi mancò sotto i piedi e iniziai a ruzzolare verso il Paese delle Meraviglie. O dolce frinbosco erboso di terra fragrante, lumiodoroso aroma di pipa selvatica, squillante sfarfallio di lame affilate e tè fumante nella gola. Addio mondo crudele, buongiorno follia.

Bisogno di sicurezza

E' naturale aver bisogno di credere in qualcosa di assoluto, come la realtà. Nessuno vi dice di dubitare di tutto, ma almeno di non rompere le palle. Non parliamo di filosofia, ma della benzina che rifornisce la Matrice. La mente umana è programmata per rendere reale ciò che vede e pensa, allo scopo di tutelare la nostra sanità mentale. Diventa invece un male se cerchiamo di affermare idee assolute, barricandoci dietro un'idea, un principio o un diritto. E' sacrosanto difenderci, è giusto combattere, ma non dobbiamo mai pretendere di avere ragione assoluta. Purtroppo ne abbiamo bisogno, siamo edificati sul bisogno di sicurezza.

Come dicevamo sin dall'inizio, le fondamenta della Matrice sono costruite sull'impasto di certezza e paura

Le fondamenta della Matrice

Se ci crediamo, è vero.
Abbiamo bisogno di certezze, e quindi di credere.
La paura alimenta il disprezzo per chi non ha bisogno di certezze.

Cerchiamo tutti un centro di gravità permanente, dove porre la pietra d'angolo. Lavoriamo per pagare il mutuo, per certificare una realtà convenzionale, un pezzo di carta. Ci illudiamo che i mattoni ci appartengano, che il nostro cognome sia inciso da qualche parte, negli orbitali atomici dell'argilla. E' così che una realtà convenzionale diventa assoluta. Sembra una banalità, ma la Matrice esiste in virtù del bisogno di sicurezza. La gente è "sicura" che spazio, tempo, materia, energia e denaro siano oggettivi, ed è per colpa di questa "sicurezza" che usi, costumi e consuetudini della Matrice assumono valenza oggettiva.
Sto smontando la realtà per indebolire la forza della Matrice; non voglio un mondo senza certezze. Sono d'accordo con Wittgenstein, quando diceva "chi volesse dubitare di tutto, non arriverebbe neanche a dubitare. Lo stesso giuoco del dubitare presuppone già la certezza". Io vi offro una grande certezza. La certezza che il mondo è soggettivo, che la Matrice è una convenzione e che la realtà conosciuta esiste solo nella vostra mente. E' una certezza immensa, incommensurabile, che nemmeno la scienza può offrirvi. Perché la scienza, purtroppo, non è una scienza esatta.

Meccanica Quantistica

Dunque, nel 1995 compresi con quale eleganza la fisica tirava in ballo la non oggettività del mondo. Aveva ragione il mio professore: siccome non possiamo verificare che la materia esista in uno stato definito (posizione e/o velocità) prima di una misura, non serve a nulla fare ipotesi sul mondo prima che esso venga osservato. Notate la finezza: non diciamo "certamente non esiste" o "certamente non è definita", bensì "non ha senso parlarne". Morale della storia: la Meccanica Quantistica implica che la realtà sia soggettiva non perché dimostra che le cose vanno così, ma perché non possiamo dire nulla a riguardo.
In altre parole: la scienza suggerisce che non esistono certezze perché la non ha senso investigare la certezza, ovvero la certezza è un'invenzione squisitamente umana. Mettendo tutto assieme si avrebbe che la Matrice si basa sul bisogno di certezze, che però non esistono. Esistono invece il bisogno di certezza e la paura, due emozioni che ci spingono a fondere, o confondere, denaro e ricchezza, realtà e Matrice, sogno e morte. Per andare oltre lo specchio, per uscire dalla Matrice, occorre imbrigliare queste emozioni, domare la bestia e guardarla in faccia. Si tratta di conoscere noi stessi, capire perché abbiamo desideri, sogni e bisogni.

Nel mio caso, il bisogno di dare valenza oggettiva alla Meccanica Quantistica nasceva da un'esigenza psicologica. Lei, la teoria, non aveva alcun bisogno di essere né logica né oggettiva, ma solo di funzionare. Il bello della Meccanica Quantistica è che non si può capire, va applicata così com'è, senza chiedersi se Dio gioca a dadi, o se i dadi sono truccati. Il modello fornisce previsioni verificabili in laboratorio, quindi la teoria è valida (non vera). La Meccanica Quantistica non rispetta la logica aristotelica, va al di là della nostra comprensione, ci appare contraddittoria eppure funziona, perché azzecca le previsioni degli esperimenti. La Meccanica Quantistica è un'opera d'arte perché va a braccetto con la fenomenologia del infinitamente piccolo, senza alcun rispetto della razionalità umana. Alla faccia del principio antropico.

Figura di diffrazione

Per capirlo basta considerare l'esperimento di Young. Consideriamo alcuni elettroni sparati verso una parete dove sono praticati due fori. Se chiudiamo i fori gli elettroni non raggiungono il rivelatore, quindi è sensato ipotizzare che essi non possano attraversare la parete. Quando apriamo entrambi i fori si ottiene una bella figura di diffrazione, tracciata dal nostro rivelatore, e il modo migliore di spiegare il risultato è assumere che la seguente domanda sia priva di senso


(I) Attraverso quale foro della parete passa un elettrone che giunge al rivelatore?


Dire che la domanda non ha senso significa non esiste risposta: è inutile chiedersi se l'elettrone è passato attraverso un foro, entrambi i fori, attraverso il subspazio, per il mondo delle fate o sul carro di Helios. La domanda non ha senso, punto e basta. In altre parole la domanda (I) è equivalente alla (già vista)

(II) E' più forte un treno o è più freddo un gelato?

Alla materia, della nostra domanda, non gliene frega un accidente. Domande come la (I) e (II) esistono solo nella nostra testa. Un limite di noi esseri umani è credere che, se "esiste" una domanda (leggi: nella nostra testa), allora debba anche "esistere" una risposta (leggi: nella realtà esterna). E' normale pensarla così, ma è arrogante, nonché spesso sbagliato.
Il fatto che la Meccanica Quantistica sia illogica nella nostra testa, ma descrive correttamente la realtà esterna, mi aveva illuso che "l'incertezza fosse una verità assoluta". Avevo trovato la giustificazione "scientifica" della Grande Ribellione. Il ragionamento suonava così: se una teoria non poteva essere compresa dalla mente, ma descriveva bene la realtà osservabile, era lecito supporre che l'universo non fosse un prodotto della mente. In qualche modo, là fuori, doveva esserci "qualcosa", e questo "qualcosa" rispettava le regole della Meccanica Quantistica, regole che la mia mente non poteva capire. E se non le poteva capire, era difficile pensare che essa fosse l'artefice della realtà: veniva logico pensare che la stravaganza quantistica fosse, in qualche modo, "reale".
Ecco qual era il mio bisogno di sicurezza. Avevo bisogno di credere che l'incertezza del mondo fisico fosse una certezza. Lo scioglilingua è il risultato di anni di pulizia interiore, bocconi amari e scheletri tolti dall'armadio. Sembra paradossale, ma quando compresi che persino l'incertezza insita nella Meccanica Quantistica era una convenzione, mi crollò il terreno sotto i piedi. Scoprii un lato di me stesso che avevo seppellito in profondità. Dietro la natura Ribelle, che rifiutava qualsiasi certezza, e il gene Fuzzy, che credeva in ogni possibilità, mi ero costruito una fede assoluta, avevo edificato un tempio di certezze, il cui nome era un gigantesco ossimoro: la certezza assoluta nell'incertezza.

Confusi? E' normale, abbiamo messo parecchia carne sul fuoco, ma presto arriverà il momento di annaffiarla con un buon vino rosso e metterci a tavola. Faremo un gran fumo, che ci servirà a tirare fuori dal cilindro nuovi trucchi di magia. Prima di passare al prossimo capitolo, dove continueremo ad affondare la lama nel ventre della Matrice, è bene riassumere quello che abbiamo detto sulla scienza.

  • Non conosciamo la scienza. Dire "è scientificamente dimostrato" non è diverso da dire "è religiosamente dimostrato": in entrambi i casi decidiamo (a priori) di credere in un criterio di validazione della realtà, ma sempre di fede si tratta. La scienza è probabilmente il modo migliore d'indagare la verità, ma non è la verità.
  • Se proprio vogliamo credere alla scienza, allora documentiamoci. La scienza moderna suggerisce una realtà soggettiva, dove spazio, tempo e materia dipendono dell'osservatore. In altre parole la scienza smonta l'idea che esista una realtà assoluta, immutabile ed indipendente dall'osservatore.
  • Possiamo credere che le nostre certezze siano assolute, adorare le divinità che più ci piacciono e credere che i nostri valori siano oggettivi: l'importante è non pretendere che la realtà ne tenga conto. Perché non possiamo essere certi nemmeno dell'incertezza.

Oppure, nel linguaggio onirico che mi appartiene:

Se credi in Dio, e ciò ti rende felice, Dio è la tua Realtà.
Se credi nella Scienza, e ciò ti rende felice, la Scienza è la tua Realtà.
Se credi nella Matrice, e ciò ti rende felice, la Matrice è la tua Realtà.