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Capitolo 9 - Artemio De Santis

La magia è la scienza del futuro


Discendiamo da animali pelosi, abituati a digrignare i denti, lottare per il cibo. Ma questa è spiegazione, non una giustificazione. Abbiamo un cervello, una mente senziente, una volontà per domare l'istinto come si doma un puledro selvaggio. Allora la bestia diventa un mezzo di trasporto, da tenere a bada con un po' di fieno e una buona strigliata.
Eppure Artemio sentiva l'ansia corrergli lungo i nervi, arrampicarsi sulle spalle, infilarsi aguzza nelle mascelle e stringergli le gengive. Inspirò a fondo, rilassando i muscoli e chiudendo gli occhi. Sarebbe andato tutto bene, il piano era perfetto, non doveva farsi prendere dal panico.
Artemio odiava l'istinto, anzi, lo rifiutava e lo condannava, come se fosse il capro espiatorio di tutti i mali. Perché occuparsi del mondo reale quando abbiamo un mondo perfetto nella testa, un grande disegno di bellezza platonica, sogno e progetto di perfezione assoluta? Bisogna restare fedeli all'obiettivo ultimo, e non perdere tempo con la triste realtà quotidiana. Di solito Artemio citava la teoria dinamica dei gas, per farsi comprendere. Era uno scienziato, lui, stravagante come la maggior parte degli scienziati, perciò perfettamente normale, anzi: di una normalità esasperante. Il paragone coi gas risuonava all'incirca così:
- La teoria dinamica dei gas si basa su alcune ipotesi esemplificative: che le molecole gassose siano minuscole palline, che rimbalzano senza peso all'interno di una scatola chiusa; che gli urti contro le pareti siano elastici e che gli scontri tra molecole siano trascurabili. Poi si fanno due conti, nulla di difficile, e, meraviglia delle meraviglie, dopo qualche media si arriva alla legge dei gas perfetti! E' un miracolo della scienza, un elogio alla modellazione, uno spettacolo di simboli e logica!
- E allora?
- Come sarebbe e allora? Il modello si può applicare anche alla nostra società, siamo tutti individui distinti, ma ognuno di noi si comporta seguendo l'istinto animale. Perciò le leggi macroscopiche dell'umanità sono conseguenza statistica del comportamento del singolo. Ecco perché il mondo è dilaniato da guerre, corruzione e sfiducia!
- Cioè?
- Noi possiamo cambiare il mondo! Una molecola non può decidere come agire, ma noi sì! Possiamo porgere l'altra guancia, trattenere l'istinto e domare la natura matrigna. Possiamo realizzare l'utopia di una società perfetta, basterebbe che prendessimo atto delle nostre responsabilità, invece che guardarci attorno. Dobbiamo guardare dentro, smetterla di giustificarci dicendo tanto lo fanno tutti! Siamo molecole o caporali? Perdio, la natura ci ha messo due milioni di anni a forgiare l'uomo moderno, e noi ci comportiamo come sassolini nella tormenta, lamentandoci e sguazzando nei nostri escrementi putrefatti! Orsù, produciamo una nuova legge dei gas perfetti, una legge fatta a immagine e somiglianza di Dio. Oppure preferite vivere come molecole, sballottate qua e là dal caso?
Ma l'allegoria non funzionava, nessuno lo prendeva sul serio, pensavano sempre che lui parlasse in astratto, oppure che preferisse le molecole alle persone. Alla fine Artemio aveva rinunciato a condividere il suo idealismo, poteva cambiare il mondo anche da solo. L'idea di complottare assieme a gente come Oleron lo ripugnava, era gentaglia che aveva venduto l'anima al diavolo, quella, ma lui non aveva scelta. Era l'unico modo per realizzare l'utopia, per seminare armonia e perfezione sui cinque continenti. Trattenne una lacrima, e un pensiero, per i continenti scomparsi. Non era né il luogo né il momento per lasciarsi andare ai ricordi del passato, quindi addio Atlantide, addio Lemuria, e andiamo avanti con la recita.
Finalmente era arrivato il suo turno. Artemio finse di sbadigliare, per sciogliere i nervi tesi, sospirò rumorosamente e avanzò verso il cassiere. L'operazione era sempre la stessa, banca dopo banca, ma il numero della polizza e il nome sulla carta d'identità cambiavano ad ogni prelievo.
Con imbarazzo mal celato il cassiere ammonticchiò le banconote sul tavolo, mezzo miliardo tondo tondo fu trasferito in un batter d'occhio nella valigetta. Era naturale aver paura di girare con una cifra simile, ma secondo Artemio "naturale" era sinonimo di "sbagliato": i sentimenti erano una specie in via d'estinzione, nella sua anima. Sicuramente, tra una decina di banche, ci avrebbe fatto l'abitudine, all'ansia da palcoscenico. Toccava a lui dirigere l'ultimo atto della Grande Truffa, del resto era l'unico completamente incensurato e insospettabile.
Vantaggi della morte apparente.
Mentre usciva dalla banca sentì la paura scivolare sotto i tacchi degli stivaletti, al ritmo della sua camminata veloce e sicura. Dopo un centinaio di metri rallentò il passo, estrasse l'Allegato Nove dal taschino della giacca. Sul foglio c'erano gli indirizzi di almeno un centinaio di banche, per finirle entro sera Artemio doveva accelerare il ritmo. Si concentrò per estirpare ogni emozione e soffocare gli ultimi spasimi d'agitazione. In molti gli avevano detto che, di questo passo, avrebbe finito per perdere la sua umanità. Ma lui, sornione, rispondeva sempre:
- E qual è il problema?

Era l'ora dei vampiri, e quella era la casa di un vampiro.
Da ragazzina Claudia aveva fatto un sogno strano: era in gita con la classe, alle scuole medie, attraversavano un campo di granoturco al crepuscolo. D'un tratto qualcuno aveva gridato, indicando col dito verso il cielo. In alto, stagliato su un oceano striato di violetto, volava un pipistrello dalla forma bizzarra. Difficile dire perché fosse bizzarro, i sogni sono sempre così, l'inspiegabile trova ragion d'essere, ogni regola della mente umana viene violata, tranne una: la capacità di trovare comunque una giustificazione. Nel sogno, Claudia s'accorgeva di un paio di gambe, lunghe e sottili, che uscivano dal corpo del pipistrello, seguite da un paio di stivali neri, sullo sfondo vinaccia. Quello era diventato per lei il colore dei vampiri, il cuore stinto del crepuscolo, a metà tra l'indaco e il preludio della notte. Una sfumatura indefinibile di oscurità dipinta di blu, senza luce e senza tenebra: l'ora dei vampiri.
Claudia deglutì. Aveva venti uomini armati dietro di lei, una squadra di cecchini sul tetto, dall'altra parte della strada, e un plotone di pronto intervento ben nascosto. Nessun vampiro in vista. Eppure aveva paura, ed era facile capire perché. L'abitazione di Artemio De Santis, immersa nella periferia torinese, sembrava un cimitero in miniatura, un monumento alla tristezza, un'accozzaglia di stili, tra cui gotico e barocco, che si erano trovati d'accordo solamente sul colore dei mattoni, grigio fumo di carbone londinese. Quella della famiglia Addams, a confronto, sembrava una casetta di marzapane.
Andrea aveva detto di aspettare, l'InterNom sarebbe arrivata tra una ventina di minuti. Loro avrebbero scandagliato l'intero edificio e catalogato ogni forma di vita, senza nemmeno avvicinarsi. Ancora venti minuti e Claudia avrebbe saputo quante persone erano rintanate là dentro, di che sesso erano, se erano armate e quando si erano lavate i denti l'ultima volta. Ma venti minuti erano un'eternità, per una donna single di trentasei anni, torturata di recente, con un distintivo di quarta taglia appuntato sul petto e una pistola nella mano destra.
- Entriamo. Avanti coi fumogeni, dietro gli artificieri.
I poliziotti scattarono verso la cancellata di bronzo, facendo ondeggiare i fucili tra le braccia. Dal tetto le squadre d'assalto gettarono i candelotti fumogeni nei camini. Se era una trappola, stile Paolo Levis, stavolta non sarebbe scappato nessuno. Claudia aveva piazzato guardie dappertutto, persino nelle fognature: chiunque ci fosse là dentro, doveva restarci.
Le cariche sulle finestre esplosero, l'una dietro l'altra, tra nuvole di fumo e cristalli di vetro, attirando gli sguardi incuriositi dei passanti. Per ultima saltò in aria la porta d'ingresso, mentre la prima squadra scavalcava la cancellata e atterrava in massa nel giardino. Contemporaneamente, gli artificieri correvano attorno ai muri esterni, ficcando il naso in ogni pertugio, ogni angolo sospetto, ogni tubatura visibile e invisibile. Dopo pochi secondi una voce vibrò nell'auricolare.
- Il piano terra è deserto, ispettore.
- Controllate il resto, in gruppi di quattro.
Claudia guardò l'orologio e tirò un sospiro di sollievo. L'InterNom sarebbe arrivata tra un quarto d'ora, e la situazione era già sotto controllo.
- Ispettore! Ne abbiamo preso uno!
- E' De Santis? Corrisponde?
L'auricolare ammutolì un istante, poi, trapelando delusione, la voce rispose.
- Negativo. Ha i capelli lunghi, come De Santis, ma non è lui. E' privo di sensi, ma respira. Lo portiamo fuori. Adesso.
Dalla porta dell'edificio uscivano spirali di fumo, che salivano strusciandosi contro le pareti, come amanti lascivi incipriati di carbone. Claudia si fermò ad un paio di metri dall'uscio, scrutando il rettangolo nero d'ingresso, che vomitava spuma bianca e leggera. Stava ponderando di indossare anche lei la maschera antigas, che teneva appesa alla cintura, quando i poliziotti uscirono trascinando un corpo inerte. Claudia lo riconobbe immediatamente: pantaloni di lino beige, maglietta verde con le frange, un paio di collane vistose, i capelli raccolte a mo' di guerriero apache. Un'altra volta il caro vecchio Zagreus, all'anagrafe Giuliano Franzon. Sempre con le mani nel sacco, sempre nel posto sbagliato e, tanto per cambiare, privo di sensi.

Un uomo come Zagreus non si faceva impressionare dalle minacce. Si era svegliato nel cellulare emanando serenità, come se quella fosse la sua camera da letto e i poliziotti tanti bei soldatini con cui giocare. Spinta dalla premura, Claudia aveva incaricato un paio di agenti dalle mani robuste di scompigliare i connotati di Zagreus, ma lo sciamano preferiva farlo, il sacco, piuttosto che svuotarlo. Poi era bastata la domanda di un agente trafelato.
- Tra cinque minuti l'InterNom sarà qui, ispettore: che facciamo?
A quel punto Zagreus aveva mollato un urlo disperato e iniziato a parlare a tutta velocità, talmente veloce che Claudia aveva dovuto chiedergli di ricominciare da capo. Il terrore suscitato dalla parola InterNom brillava negli occhi grigi dello sciamano. Claudia non capiva perché Zagreus avesse tanta paura, ma un'idea se l'era fatta. Se l'InterNom non lo avrebbe bruciato sul rogo, era semplicemente perché avevano sistemi più dolorosi ed efficaci, per ucciderlo.
Adesso Zagreus parlava veloce, guardandosi attorno impaurito, raccontando tutto quel che era successo dopo la sua evasione.
- Sono rimasto nascosto nel casolare, per tutto il tempo, come previsto.
- Quale casolare?
Giuliano la guardò scocciato, disturbato dalla domanda inutile.
- Quello a Piove di Sacco, lo stesso dove si è nascosto Paolo dopo la vostra irruzione.
Zagreus si fermò un istante, lo sguardo vibrante di lucidità.
- Ispettore?
- Sì?
- Non abbiamo molto tempo, ho scoperto cos'hanno in mente e voglio collaborare, perciò la prego, non mi interrompa. Quando loro arriveranno sarà troppo tardi, per me e per voi.
Claudia poteva sentire lo sguardo pesante dei suoi uomini, fisso su di lei, ma lo ignorò, facendo segno a Zagreus di proseguire.
- Ho impiegato giorni a capire cosa bolliva in pentola. Una frase di Paolo qui, un'altra lì, ma alla fine ho fatto due più due. E' spaventoso, terribile, quando l'ho capito sono fuggito e ho cercato di fermarli. Ancora adesso non riesco a crederci...
Zagreus si coprì gli occhi con le mani.
- Li hanno uccisi tutti, per intascare le assicurazioni sulla vita! Ottantaquattro persone in due anni, clienti della Taunus Bank, quella del tizio che ha tentato il suicidio. Li hanno ammazzati mascherando gli omicidi come incidenti automobilistici, oppure come disgrazie tra le mura domestiche. Invece era Paolo, a sabotare e distruggere.
Claudia non aveva capito, o forse non riusciva a crederci neppure lei.
- Avete ucciso ottantaquattro persone?
Giuliano si strofinò il volto coi pugni chiusi, lasciando strisce di grumi rossi lungo le gote gonfiate dai cazzotti. Sembrava una statua Incas che piangeva sangue.
- Hanno ucciso. Io non sono uno di loro, ispettore, si può fidare di me. Io lavoro per pulire il mio karma, reincarnazione dopo reincarnazione, e difendere il pianeta dai soprusi della tecnologia. Sono un guerriero di Gaia, un eremita del progresso, un paladino della Natura. Se avessi saputo prima ciò che avevano in mente, se avessi immaginato...
A Claudia faceva pena, quello spacciatore da quattro soldi. Contrabbandiere fallito, disadatto cronico, stregone senza potere. Andrea aveva ragione, quelli come Zagreus ingannavano se stessi, s'illudevano di combattere in prima linea mentre fuggivano dalla realtà. Forse mentiva anche adesso, dopotutto era anche lui una marionetta. Ma una vocina interiore le diceva di ascoltarlo. Mancavano solamente un paio di minuti, e l'InterNom era famosa per essere dannatamente puntuale.
- Potrei crederti, Franzon, ma c'è una cosa che non capisco: perché l'hanno fatto?
- Per i soldi! Mezzo miliardo per ciascuna assicurazione sulla vita, vincolati per tre anni presso la Taunus Bank. E' una banale operazione, ispettore, basta moltiplicare per ottantaquattro, faccia i suoi conti. Vengono fuori quaranta miliardi circa, depositati presso la banca virtuale, accessibili solo via Internet. Almeno così pensavo.
- E invece?
- Quando ho scoperto la verità mi sono precipitato qui, a casa di Artemio. Lo conoscevo perché all'inizio gli portavo i profitti della ganja, prima di passarli a Paolo. Poi, negli ultimi anni, mi hanno incaricato di consegnare ad Artemio alcune carte, tra un viaggio e l'altro - Zagreus si schiarì la voce, apparentemente imbarazzato dalla parola "viaggio" - una volta Artemio ha aperto una delle buste davanti a me: era piena zeppa di certificati della Taunus Bank. C'erano anche alcuni documenti falsi, tutti senza fototessera. All'epoca non potevo capire, ma quando ho letto sul giornale che il direttore della banca ha tentato il suicidio, allora ho messo assieme i pezzi.
Anche Claudia iniziava a raccapezzarsi.
- Mi stai dicendo che hanno venduto assicurazioni sulla vita per uccidere i loro stessi clienti? E che adesso vogliono chiudere baracca e burattini, per fuggire col malloppo?
- Non vogliono, ispettore, lo stanno già facendo. Artemio ha iniziato ieri mattina, con le banche torinesi. Oggi dovrebbe essere a Roma, domani a Napoli.
All'improvviso Claudia ricordò un documento che aveva intravisto nel faldone di Salvadori, poco prima dell'Allegato Sette. Il titolo era: "Norme da applicarsi nell'eventualità di assenza prolungata dei dirigenti della Taunus Bank". Era chiaro che la procedura si era attivata: Oleron era in fin di vita, nella sala rianimazione dell'InterNom, a Trieste. Salvadori ammuffiva in un carcere a Firenze. I bastardi avevano davvero previsto tutto, anche che lei avrebbe perso le staffe e li avrebbe messi al fresco, uno per uno. Il meccanismo si era mosso da solo, appena Oleron e Salvadori erano stati arrestati. La Taunus Bank, collegata al circuito bancario internazionale, aveva sbloccato i quaranta miliardi per renderli disponibili ai parenti delle vittime. Ma gli ottantaquattro beneficiari avevano tutti la stessa faccia, stampata sulla carta d'identità: quella di Artemio De Santis. I soldi sarebbero spariti nel nulla, prelevati da un portaborse fantasma col certificato di morte in tasca. Tutto aveva senso, adesso, anche le divagazioni assurde di Oleron.
La Grande Truffa è un complotto mortale, la triste mietitrice ci segue passo dopo passo...
Ecco il motivo di quel logo, la E stampata sopra una ruota d'argento, su campo nero, che Claudia aveva letto come E-Banking, senza capirne il vero significato: E-Taunus Bank, banca della dolce morte, eutanasia degli innocenti.
- Sono arrivati, ispettore, e vogliono il prigioniero.
Claudia si rivolse all'agente che aveva aperto il portellone.
- Ditegli di aspettare, lo sto già interrogando io.
Zagreus s'irrigidì come un condannato a morte, poi si inginocchiò davanti a Claudia, con le mani giunte e la paura negli occhi.
- E' tutta la verità, ispettore, mi creda. Dovete fermare Artemio, subito, vi prego!
Prima che lei potesse rispondere, il portello si aprì di nuovo, ma stavolta sulla soglia c'era un uomo in giacca e cravatta, con l'auricolare ficcato nell'orecchio e uno strano telecomando in mano, puntato su di lei. Claudia capì immediatamente che non c'era alcun televisore alle sue spalle, anzi: era lei il programma che stava per essere cambiato.
Avvenne esattamente a quel modo.

Nel sogno tutto era diverso. Era diversa la sua vita, il suo lavoro, persino lei era un'altra. Claudia era davanti all'altare nuziale, vestita di bianco, accanto ad uno sconosciuto senza volto. Dietro di lei si alternavano, a turno, i singhiozzi di sua madre e i sospiri di sua sorella. Strani, i sogni. Tra la braccia di Morfeo tutto è armonia, i ricordi si adattano alle esigenze, la memoria si modella sul presente, illudendoti e confortandoti. Nel delirio del dormiveglia il matrimonio sembrava un ricordo vero, ma l'ispettore Claudia Meleri, della sezione narcotici di Como, non si era mai sposata. Non ancora, almeno.
La realtà riprese forma davanti ai suoi occhi, tratteggiata dai raggi di luce che indugiavano attraverso le persiane socchiuse, nella sua camera da letto. La sua camera? Come diavolo ci era finita, là dentro? Un attimo prima era lì, accanto a Franzon, poi era apparso l'uomo col telecomando, scolpito nella classica divisa InterNom, e basta, fine delle trasmissioni.
Sul comodino, il quadrante della sveglia indicava le nove di mattina del ventitré giugno. Claudia aveva dormito per una dozzina di ore di fila. Rabbrividì all'idea che l'InterNom disponesse di tecnologie così efficaci. L'avevano addormentata, assieme agli altri poliziotti, usando qualche arma chimica segreta; poi si erano ripresi Franzon con calma, dignità e classe. Infine, per farsi perdonare, l'avevano spedita a casa sua, nel suo lettuccio. Una gentilezza eccessiva e decisamente sospetta.
Appena scese del letto, Claudia s'accorse di indossare il suo pigiama preferito, abbottonato come piaceva a lei, un bottone sì e uno no. Era la firma scucita del potere tecnocratico, difeso da un esercito di semidèi in giacca e cravatta, ma Claudia non si fece impressionare. L'InterNom era un colosso invincibile e onnipotente, che conosceva le abitudini di ogni mortale, registrava ogni conversazione, controllava ogni angolo di strada. Ma non potevano leggerle la mente.
Stavolta avrebbe agito da sola, senza dir nulla a nessuno, soprattutto ad Andrea. La talpa migliore è quella che non sa di esserlo.

Cos'è l'intelligenza? E' la capacità di apprendimento? Oppure è l'abilità di intelligere, sbirciare tra le righe, andare oltre le apparenze? Niente di tutto ciò. L'intelligenza non è trovare risposte agli indovinelli, né risolvere enigmi, né studiare la teoria della relatività tra un cruciverba e l'altro, facendo il cubo di Rubik con l'altra mano. L'intelligenza è un dono divino che si può riassumere in poche parole: è la capacità di non rompere i coglioni.
Da questo punto di vista Artemio era un mostro d'intelligenza. Aveva altri mille difetti, ma almeno era affidabile, tollerante e non dava mai fastidio. Purtroppo tanta pazienza, per la dura legge del contrappasso, lo portava spesso a frequentare degli idioti patentati. Artemio non conosceva nessuno che amasse i ragionamenti intelligenti, così si era rassegnato. Si era arreso alla stupidità. Ma ci stava bene, tra gli stupidi. Artemio apprezza la simpatia del netturbino, la risata del postino, trovava belli persino gli ultras del suo quartiere, che erano dei coglioni violenti e frustrati, però facevano una pizza da favola. Insomma, tutti avevano delle qualità, e Artemio era un maestro nello scovarle. Frequentava chiunque, a piccole dosi, analfabeti, cerebrolesi e avvocati. In ognuno trovava una luce particolare, un'impronta divina. Perché c'è sempre un motivo se sei venuto al mondo, Dio non gioca a dadi, e se proprio deve farlo, usa quelli truccati.
L'unico problema era che gli altri stupidi, quelli che a volte trascurava, si lamentavano e chiedevano: "perché frequenti quel deficiente?". Ma erano stupidi, poverini, non potevano capire. Allora Artemio capiva al posto loro e portava pazienza. Una pazienza enorme, oceanica, ma non per questo senza fondo. Tutto giunge a saturazione, prima o poi. Artemio era sovente disperato, tendenzialmente suicida e leggermente nevrotico. Troppo intelligente per togliersi la vita, non aveva ancora capito se questo era un vantaggio o no. Un altro problema era che lui capiva tutto al volo, anche quando era meglio non capire. Si rovinava le sorprese, intuiva il finale dei film, rideva a metà barzelletta. La vita era una noia mortale, la politica un giocattolo per bambini viziati, la filosofia un'alternativa alla Settimana Enigmistica. Ai suoi occhi, le discussioni e i diverbi sembravano acrobati impacciati, sillabe spaurite volteggianti sulle impalcature perigliose del linguaggio.
Perciò, Artemio aveva già capito che oggi sarebbe finito in carcere.
Primo: era chiaro come il sole che Paolo non li aveva visti. Il furgone era circondato da una ventina di poliziotti, in borghese, ben mascherati e travestiti. Accattoni, passanti, perdigiorno, venditori ambulanti, turisti.
Secondo: qualcuno lo stava pedinando da almeno dieci minuti. Artemio se n'era accorto subito, ma aveva fatto affidamento su Paolo, perché toccava a lui risolvere il problema. Artemio seguiva rigorosamente la procedura, le faccende "manuali" erano competenza di Paolo, così aveva deciso Oleron, e Artemio obbediva. Ma dopo anni di noia e monotonia, finalmente anche Artemio aveva commesso un piccolo errore. Un errore di valutazione, per la precisione: Paolo si era addormentato al volante del furgone.
Terzo: una poliziotta, travestita da maestrina dell'asilo, lo stava intercettando nel mezzo del piazzale. Artemio intuì subito che era un ufficiale, almeno ispettore. Si capiva dalla grandezza degli occhi, i capelli raccolti, le prime righe bianche sulla criniera lucente. Per qualche oscura ragione, lui ne conosceva addirittura il nome: ispettore Claudia Meleri.
Artemio sistemò la cravatta, armò il sorriso di rappresentanza, controllò l'elastico che legava i capelli. Era nato elegante, lui, non poteva rinunciare al panciotto grigio, abbottonato sul petto, né alla giacca intonata con le ghette, soprattutto se rischiava di finire in prigione. Valutò comunque le vie di fuga: su per i Quartieri Spagnoli, con mezzo miliardo in tasca, era una bella scommessa, ma lui era pronto a rischiare. Come non detto, quel marocchino che vendeva borsette era uno sbirro, truccato anche male, che soffriva per il parrucchino troppo stretto. A destra c'era il viale, ma anche quello era sotto controllo. Davanti, il furgone di Paolo, attorniato da uno squadrone di finti passanti, che non passavano mai. Alle sue spalle, echeggiava l'ansimare rauco dei segugi che lo avevano pedinato finora.
Perché Oleron si era fidato di un imbecille come Paolo? Sicuramente un ottimo guerriero, faceva paura anche quando dormiva, ma dovevi guardarlo, prima. Almeno un pochino. Un'occhiata per urlare, due occhiate per fuggire, tre occhiate e ti facevi prendere dal panico. Invece nessuno lo aveva visto, tranne Artemio, che pregava sottovoce.
- Mi vedi, Paolo? Lo vedi che mi hanno circondato? Fa' qualcosa, coglione, svegliati, esci dal torpore del sonno diurno, apri gli occhi alla realtà, collegati al mondo del lavoro.
- Il signor De Santis? Polizia. Appoggi la borsa, e tenga le mani bene in vista.
Nella prossima vita Artemio voleva rinascere stupido. Così le avrebbe rotte lui, le palle, agli altri. Avrebbe criticato ogni decisione e rovinato la vita alle persone intelligenti. Purtroppo, ?sto giro, gli era andata male, gli toccava tenere le redini in mano e pagarne le conseguenze.
- Certamente, ispettore. Non oppongo resistenza.
Lo arrestarono sotto il sole invadente di Napoli, senza badare alla sagoma addormentata di Paolo Levis, sonnecchiante e parcheggiato in doppia fila.
Beati gli stupidi, perché non sanno di esserlo.

Appena le manette si chiusero sui polsi di Artemio, una sinfonia cristallina riempì il cielo, come se Dio in persona si fosse affacciato di sotto, scampanellando per attirare l'attenzione. Claudia guardò verso l'alto, come tutti, e dopo mezzo secondo di confusione eccoli là. Giacca nera, camicia bianca, cravatta nera. Apparsi nel centro della piazza. Due agenti di mezz'età, pezzi grossi dell'InterNom, come quello che l'aveva addormentata a Torino, davanti a Zagreus. Uno di loro prese subito l'iniziativa, parlando con un accento straniero.
- Lo prendiamo noi, ispettore, se non le spiace.
A Claudia caddero le braccia, o meglio, le cadde un braccio solo, quello che teneva De Santis per la spalla. L'altro rimase al suo posto, paralizzato e aggrappato alla borsa appena confiscata. Mille pensieri le attraversarono la mente, scalciando come una mandria di gnu in ritardo, ansiosi di arrivare da qualche parte, da qualsiasi parte. Ma nessuno aveva capito dove andava la migrazione, in quel momento, e così calpestavano, rabbiosi, l'immagine onirica di Andrea, mandala immaginario tracciato nel deserto dei suoi neuroni smarriti. Aveva mentito ancora, lo stronzo, quando le aveva parlato della tecnologia in mano all'InterNom. Andrea era uno schiavo del sistema, condannato a vivere nell'ombra, con la menzogna cucita sulla lingua, la faccia di bronzo e la coda di paglia. Una brutta bestia, insomma.
I due agenti InterNom si erano appena teletrasportati. Claudia non se l'era sognato, l'aveva visto coi suoi occhi. Alla faccia della tecnologia futurista.
- Le spiace? - ripeté l'agente, con una sfumatura di risentimento nella voce.
- Potrei vedere un documento? - rispose lei - non posso mica consegnarvelo così, senza nemmeno un mandato, un'autorizzazione scritta...
Un ghigno arrogante apparve sul volto dell'uomo. Emanava sicurezza, anzi, trasudava sicurezza, come una divinità scesa in terra per risolvere una scaramuccia tra formiche, che si stupiva nello scoprire che gli insetti sapevano anche parlare. Claudia poteva sentirne l'odore, un lezzo di una neutralità spaventosa. Non sembrava carne quella lì, ma plastica rosa e gialla cucita sul vuoto dell'essenza. I due agenti InterNom erano un foro nel tessuto della realtà, lei poteva vederli chiaramente, ma sapeva anche che, in qualche modo, loro non erano lì.
- Troverà gli incartamenti del caso sulla sua scrivania. Arrivederci, ispettore.
- Un attimo, non...
Bisogna rammendarli subito, i buchi, altrimenti succede come coi calzini. Ti capitano tra le mani nel momento peggiore, quando sei di corsa e li indossi frettolosamente. Allora il buco si apre e il calzino è da buttare. Con la stessa rabbia e velocità, i due agenti scomparvero nel nulla, come miraggi nell'aria tremolante, portandosi via De Santis ancora ammanettato.

Stessa strada, stessa piazza. Mezz'ora più tardi.

- Chi?
- Il tenente Cerulli. E' qui fuori, ispettore.
Claudia appoggiò la borsa sul ripiano, spazientita. Era stata una brutta giornata, anzi, una brutta settimana, anzi, le due settimane peggiori della sua carriera. Aveva tante di quelle ferie arretrate da far impallidire un calendario. Ci mancava solo lo stronzo in persona, adesso. Uscì dal cellulare e se lo trovò davanti, bello e impacciato come un manichino, senza nemmeno una goccia di sudore sulla fronte, immobile, sotto il sole abbagliante del primo pomeriggio. Claudia avrebbe voluto picchiarlo subito, davanti a tutti, ma c'erano troppi poliziotti nei paraggi, e almeno il doppio di occhi che la guardavano. Si trattenne.
- Ti sei teletrasportato anche tu?
- Cosa?
- Avete appena preso De Santis. E non mi dire che non lo sai.
- Beh, sì, ma... accipicchia, non pensavo che...
- Ah, non pensavi? Non pensavi cosa?
Andrea valutò audience, soppesò share e agognò privacy. Attorno a loro c'era una cinquantina di poliziotti, almeno cento orecchie tese, metà facce stralunate e stormi di domande, che ronzavano come moscerini ubriachi nella canicola. Lui l'avrebbe uccisa subito, davanti a tutti, ma questo era un pensiero cattivo. Si trattenne.
- Entriamo nel furgone - disse Andrea - ti spiegherò tutto.

Andrea parlò a vuoto per quaranta minuti. Raccontò che il teletrasporto era stato inventato negli anni ottanta, ma l'umanità non era ancora pronta per la scoperta. Era questo il ruolo dell'InterNom: indagare la realtà, catalogare le invenzioni, autorizzarne la divulgazione. Oppure censurare, nascondere e aspettare. La tecnologia andava distribuita col contagocce, un po' alla volta, per il bene di tutti.
Una bella favola, pensò Claudia. Andrea le aveva raccontato la verità altre due volte, era stanca di farsi prendere in giro. Anche adesso, mentre lo guardava incattivita, Andrea si fingeva distaccato, giocherellando con l'orologio che portava al polso
- Non mi fingo distaccato. Sono distaccato.
- Cosa hai detto?
- Ti stai chiedendo se ti ho letto nel pensiero. La risposta è sì.
- Ma è...
- No, invece è possibile, Claudia. Brava, hai indovinato. Il mio orologio è collegato al database di monitoraggio telepatico dell'InterNom. Sì, ho impostato il tuo nome e cognome, adesso ti posso leggere nella mente, parola per parola, direttamente sul display.
- ...
Andrea arrossì, tossì, rischiò il collasso. Farfugliò un paio di sillabe imbarazzate, agitò le mani, poi le ficcò gli occhi infuocati di rabbia a tre centimetri del naso.
- Adesso ci credo - commentò Claudia, soddisfatta. Si guardò attorno. Guardò in basso. Poi in alto - quindi ci ascoltano anche adesso.
Andrea rispose con voce turbata.
- Registrano tutto, ma non sempre vanno a controllare...
- Tutto tutto?
- Tutto tutto.
Claudia sospirò rassegnata. Se quella era la verità ultima, e se nessuno li stava spiando in quel momento, allora forse lui... Censurò il pensiero e cambiò argomento.
- Però, non mi hai ancora detto perché sei qui.
- Mi hanno incaricato di seguire Paolo Levis. Lo hanno avvistato stamattina, ai Campi Flegrei. Poi è scomparso nel nulla.
- Avete perso un indiziato? Voi? E la vostra tecnologia?
Andrea aggiustò il nodo della cravatta, imbarazzato. Aveva infranto qualche procedura, svelato delle informazioni riservate, ma restava un agente InterNom, gli dava fastidio che mettessero il dito nella piaga. Specialmente perché era ancora aperta.
- Levis sta usando un dispositivo di occultamento, qualcosa che non riusciamo a identificare. Una schermatura speciale, un filtro, un campo di forza...
- Uno scontro tra titani, vedo.
- Non scherzare, Claudia, è una questione seria. De Santis ha prelevato quaranta miliardi in tre giorni, nessuno sa dove siano finiti. Stiamo controllando ogni registrazione, interrogando le persone a cui si è avvicinato, ma è tutto inutile. Sono bravi, quelli della Grande Truffa, leggono le istruzioni stampate sugli allegati senza pensarle, le eseguono e basta. I soldi sono scomparsi nel nulla, senza lasciare nemmeno un'impronta psichica, un'emozione, una briciola di pensiero.
Andrea soffiò sui polpastrelli, spaventando le poche molecole d'ossigeno che resistevano stoiche, nell'aria immobile del furgone. Claudia invece guardava la borsa della spesa, quella che aveva sequestrato a De Santis.
- Ho capito!
- Cosa? - chiese Andrea.
- E' un'idea un po' pazza, ma dopo quello che mi hai detto... De Santis aveva fatto la spesa, prima di essere arrestato. Quella là.
Claudia indicò la borsa di plastica, sul ripiano del furgone. Andrea si alzò per guardarla meglio, torturandosi i baffi con dita nervose. Poi il suo sguardo si smarrì verso il soffitto, cercando ispirazione. Claudia ne approfittò per studiarlo: fronte alta, naso regolare, pelle liscia ben curata, occhi grigi brillanti, come quelli di De Santis. Il buono e il cattivo, il paladino e il criminale, due mostri d'intelligenza dallo sguardo di ghiaccio.
- Ho un'idea. - disse Andrea - Riusciresti a rimettere tutto nella borsa, esattamente com'era?
Sul ripiano c'erano delle fettine di carote, un mucchietto di pomodori tagliuzzati, un cetriolo violentato selvaggiamente e patate che supplicavano di essere fritte.
- Stai scherzando?
- Sono serissimo.
- Ho capito, allora facciamo così: io ti spiego la teoria e tu mi dai una mano. Ti va?
- D'accordo. Come si fa?
- Ecco, guarda me: si prende una fettina di pomodoro, poi se ne prende un'altra, grande circa uguale, si sputa in mezzo, così, e si fanno appiccicare. Pensi di farcela?
- Stai scherzando?
- Sono serissima.

Dopo dieci minuti la borsa era circa come nuova. Puzzava un po', considerata l'afa e l'aria viziata del cellulare, ma era il meglio che potevano fare. Andrea si chinò sulle verdure, sfiorandole con i baffi, mormorò qualche sillaba sottovoce. Un paio di parole sufficienti a sovvertire l'ordine apparente della realtà. Al posto delle verdure tritate e maltrattate apparvero, nell'ordine: un panno di feltro grigio, una valigetta e una marea di banconote. Parecchi milioni di lire, almeno un centinaio, forse più. Un alchimista medievale avrebbe esultato davanti al miracolo della trasmutazione. Andrea, invece, iniziò un pacato monologo.
- Lo supponevo. Ci avevo già pensato quando ispezionavo il casolare di Antonioni, sui Colli Albani. Secondo il rapporto era stato tolto qualcosa dai muri esterni dell'edificio. Una specie di carta da parati. Quindi qualcuno è tornato sul luogo del crimine, dopo la tua fuga, per riprendersi il meccanismo di schermatura.
- Ma allora voi... - balbettò Claudia.
- Sì, Claudia, ti abbiamo cercata. Abbiamo setacciato l'intero pianeta, ma tu eri scomparsa nel nulla, eri fuori dai nostri sensori, invisibile ai satelliti. Noi possiamo trovare chiunque, quando vogliamo. Ci basta l'impronta mentale di una persona per localizzarla geograficamente. Ma tu non esistevi più, capisci? Chi ti ha rapita ha trovato il modo di eludere i nostri sistemi di ricerca, usando una specie di mantello dell'invisibilità. De Santis lo ha usato per far sparire i soldi, anzi: per camuffarli da borsa della spesa.
Andrea staccò il panno grigio che avvolgeva la valigetta.
- Deve essere questo. Un tessuto capace di variare il segnale della materia, alterare le vibrazioni dello spettro visibile, come tutti gli altri parametri sensibili.
- Quindi, i pomodori, le patate... erano finti?
La voce di Andrea si fece più delicata.
- Finti? No, per carità, erano un'illusione, se vuoi, ma un'illusione vera, fatta di colori, sapori e odori. L'emulazione perfetta di ogni percezione, indistinguibile dalla realtà, e quindi, in ultima analisi, completamente vera.
- Però erano finti, giusto? - Claudia voleva una risposta semplice: sì o no. Perché gli uomini non ne erano capaci?
- Ma no, Claudia. Quei pomodori erano reali quanto le banconote, vedi? Le posso toccare. Le posso annusare. Fanno rumore. Esattamente come la borsa della spesa. Non c'è alcuna differenza, credimi. Potevi persino mangiarla, quella verdura.
- Calma. Mi dici no, che non sono finti, però io vedo dei soldi, qui sul tavolo. Tagliati a fettine, è vero, però sono soldi belli e buoni, e non dirmi che non lo sono, altrimenti io...
- Tu?
- Io impazzisco, Andrea. Ti prego, dammi una risposta.
Ne sapeva poco lui, sulle donne, ma una cosa l'aveva capita. Quando lei ti guarda smarrita, con le istruzioni della lavastoviglie in mano, o lanciando il cric sull'asfalto, implorando il tuo aiuto, vuole tutto tranne quello. Non serve risolvere il guasto o cambiare la ruota, c'è qualcosa di molto più urgente da fare. Devi prenderla fra le braccia, stringerla forte e sussurrarle "è tutto a posto, ti voglio bene, ci penso io". Poi lascia pure bruciare la lavastoviglie o marcire la macchina sulla strada, il guasto non importa, è lo spaventapasseri della logica, lo spauracchio a cui ricorre la psicologia femminile quand'è indecisa tra le parole "amami adesso" e "fai l'uomo".
Andrea chiuse la porta del cellulare e scelse la seconda. Che poi era anche la prima.

Stringimi contro la parete bollente e sudata. Spingimi e baciami, avvolgimi col tuo respiro. E per una volta, te lo chiedo in ginocchio, impreca. Urla gioia e bestemmia felicità. Fremi come fremo io, tra le tue braccia, mentre le dita cercano la cerniera, la biancheria spigolosa, il membro eretto. Basta rincorrere fantasmi. Io i fuorilegge, tu gli stregoni. Siamo genitori orfani della vita, sempre impegnati a salvare il mondo perché non sappiamo amare. Amiamoci adesso, invece, strusciando sul pavimento, con le mani che s'intrufolano ovunque, esose. Esosissime. E labbra carnose che bevono pelle. Questo dobbiamo fare, non preoccuparci degli agnelli pasquali, dei delfini, delle balene. Fare all'amore, darsi, donarsi e rinnovarsi. Invece lecchiamo il culo in ufficio e sgridiamo il figlio che piange. Ci sono cose migliori, da leccare. E da succhiare. Non posso cambiare il mondo, ma salverò te. Ti porterò via dall'InterNom, laverò il tuo cuore col mio, sfregandoli l'un l'altro, come noi due adesso, nudi, contro la parete. Ansimanti, sempre più abbracciati. Ormai l'uno dentro l'altro, tu dentro di me, finalmente animale, finalmente uomo. Dimentichiamo la politica. Fanculo gli spacciatori. Si fottano i limiti di velocità, scordiamoci le pagelle, gli scatti di livello. Che facciano tutto quello che vogliono, là fuori. Io, Claudia Meleri, rinnego ogni dovere, pensiero e giuramento. Compreso il presente.
Amiamoci e basta, perché questo è l'unico modo per salvare il mondo. Il resto è follia.

Mezz'ora dopo Claudia e Andrea uscirono dal furgone. Mentre si dirigeva impettita verso i poliziotti, come una regina che passava in rassegna le truppe, Claudia era a disagio. Persino mentre facevano all'amore, lei si era chiesta quante volte le aveva spiato i pensieri, lo stronzo. Un amorevole stronzo. Claudia era perennemente indecisa tra prenderlo a schiaffi e mangiarlo di baci. Era come se ci fosse una traccia musicale, un programma automatico, un filo rosso che l'attirava verso di lui. Dissonante, ma intenso e inesorabile.
- E' arrivato questo, ispettore. E' per lei.
Claudia guardò l'agente sudaticcio, emerso dalla mandria di poliziotti, che le porgeva una busta sigillata. La prese e l'aprì. Era un telegramma urgente da parte del comandante della Polizia di Como. Sicuramente rogne.

Attenzione Ispettore Meleri
Argomento est referto medico ispettore Meleri.

1. Considerate torture subite durante prigionia Antonioni, et ammontare ferie arretrate, ordinasi immediato godimento ferie da parte ispettore suddetto, con decorrenza domani 24 giugno.
2. Ordinasi rientro et rapporto presso Questura di Como, in data odierna.

- Merda!
- Claudia!
Lei masticò le bestemmie tra i denti e le ingoiò in silenzio. Non si poteva nemmeno sfogare, con un puritano farcito di formalità come Andrea. I superiori le toglievano l'incarico, la violentavano a colpi di ferie arretrate, e lei doveva recitare la parte della brava bambina, senza protestare. Invece li avrebbe inchiodati tutti per le palle, al muro, martellando a casaccio sui coglioni rappresi dal pudore. Guardò Andrea negli occhi. Era evidente che non le stava leggendo il pensiero, adesso.
- Sono fuori, Andrea. Devo tornare a Como stasera, prima delle ferie.
- Como? Ferie?
- Ho mesi di arretrati, io, e con la scusa del trauma psicologico e un paio di graffi mi rimandano a casa, a leccarmi le ferite e sbollire la rabbia.
Pochi minuti prima le sue mani s'erano fatte strada sotto i vestiti di lei, facendola sussultare. Andrea aveva sospettato che quelli fossero sussulti di dolore, sulle ferite fresche, e non di piacere. Ma non voleva pensarci più, un po' per orgoglio, un po' per pigrizia. Censurò l'argomento e rispose a voce bassa.
- E cosa facciamo, adesso?
- Vai avanti tu, caro, trovi quel bastardo e lo inchiodi al muro. Finora ti è sempre scappato, ma adesso che hai scoperto qual è il trucco, puoi prenderlo.
Lo spettro di Paolo Levis aleggiò etereo nell'aria tremolante, tracciato da un pennello invisibile. Claudia aveva ragione: li avevano presi tutti, dal primo all'ultimo, mancava solo Paolo Levis. L'anarchico aveva usato il misterioso tessuto grigio per offuscare denaro e persone, girando per l'Italia come una nuvola di silenzio invisibile. Ma c'era il fruscio dei quaranta miliardi, in quel silenzio.
Andrea poggiò la valigetta, un pretesto per abbassare lo sguardo.
- Dovrò fare rapporto.
- Conosci la mia risposta, Andrea.
- Mi spiace, ma devo ubbidire.
- Sei tu che mi hai chiesto un consiglio, Andrea! Forse credevi che ti avrei dato ragione, che non avevo niente da dire. Invece anch'io ho la mia opinione, caro. Sarò schietta: non mi fido dell'InterNom. Quelli stanno fregando tutti, compreso te.
- Ma io non posso...
- Volere è potere, Andrea! Come ca... cavolo fai a dire "non posso"? Pensa con la tua testa, una volta tanto. E se volessero proprio questo, quelli della Grande Truffa? C'è una vocina che mi dice: "teniamolo segreto, questo misterioso tessuto grigio. Studiamo come funziona, non diciamolo a nessuno, e incastriamo quel bastardo di Paolo Levis ".
- Io da solo?
- Ce la puoi fare, ne sono sicura.
Togli la regina e il re è allo sbaraglio, spacciato e indifeso. Dagli la fiducia di una donna e ti conquisterà il mondo intero, o almeno la scacchiera.
- Un furgone! - esclamò il sovrano, lisciandosi i baffi.
- Quale furgone?
- Non sta smontando e rimontando un bel niente! Levis ha foderato un furgone con un panno come questo, per andare ovunque gli piace, restando invisibile ai nostri satelliti!
L'istinto di Claudia reagì velocemente, prima che qualcuno li guardasse. Baciò Andrea tra centinaia di passanti (veri), poliziotti delusi (voltati di spalle), mezzo miliardo di lire (tagliato a fettine), un tessuto grigio (invisibile) e mille scaglie di luce gialla (o sole mio).

Tornare a casa la sera, mentre la notte scende leggera come il velluto. Il cuore si svuota, la porta si apre, un mondo familiare ti salta addosso, facendoti le feste. Il breve istante in cui il calore della certezza si sovrappone alla nausea della monotonia, il cervello riconosce i dettagli, vaglia gli odori, nota i pertugi stretti, quelli mai visti prima. Come la strettoia tra il divano e il tavolino, rimasta invisibile per anni. Un collo di bottiglia in una prigione d'oro.
Claudia trattenne le lacrime, ripose il distintivo sullo scaffale della libreria, contò le lettere sparpagliate sul tavolo. Pianse quand'ebbe la certezza che c'erano solo bollette, la tassa sull'esistenza. Dopo la doccia controllò le medicazioni. Una dozzina di tagli sparpagliati tra il seno e l'addome, qualche crosta rugginosa, ma niente di grave. A quel punto squillò il telefono, inopportuno come sempre.
- Pronto?
- Ciao, sono io. Come stai?
- Andrea! Ma che... bello! Io bene, e tu?
- A posto. Ti chiamavo per il discorso di oggi pomeriggio...
- Perché, abbiamo anche parlato?
- Spiritosa! Parlo dell'idea di tenere segreta l'esistenza del panno grigio. Ci ho pensato a lungo: hai ragione tu.
La cornetta sobbalzò tra le mani di Claudia.
- Dici davvero?
- Sì, tesoro, ma ad una condizione.
Tesoro? L'aveva davvero chiamata tesoro? Claudia era troppo matura per non capire che c'era sotto qualcosa. Gli uomini si addolciscono solo quando conviene agli ormoni, ma nel caso di Andrea era assai difficile. I suoi ormoni erano caricati a salve.
- Quale condizione, tesoro?
- Deve restare tutto tra noi, completamente. Dentro di noi. Capisci cosa intendo?
- No.
- Lo devi dimenticare Claudia, non ci devi nemmeno pensare, è chiaro? Noi abbiamo vivisezionato una borsa di ortaggi solo perché siamo degli investigatori frustrati che brancolano nel buio. Insomma: non c'era nulla di interessante, nella borsa di De Santis.
- Come vuoi ma.... non ha senso. Se adesso ne abbiamo parlato, ci siamo già fregati.
- Vedi Claudia, in questo momento loro sono molto occupati, e questa telefonata passerà inosservata. Fidati di me. Ma tra pochi minuti torneranno davanti agli schermi, e riprenderanno le ricerche. Perciò è importante che tu smetta di pensarci immediatamente. Hai capito?
- Non sono sicura, ma ci proverò.
- Perfetto. Adesso devo riattaccare. Hanno avvistato Paolo Levis dalle parti di Palermo, scappo. Ti chiamo domani, d'accordo?
- Ok Andrea. Bacio.
- Idem.
Claudia ripose la cornetta lentamente, per ascoltare l'eco delle parole rimaste appiccicate sulla plastica. Nostalgia d'amore. Poi tutto tornò come prima, depressione compresa.

La cena fu un inno alla routine dimenticata: lume di candela, per coccolarsi un po', con gli occhi persi tra le pareti vuote e i quadri spenti. Smarrendosi nelle ombre angosciose della tristezza, Claudia ripensò ai presunti innocenti, quelli che aveva fatto arrestare. Stefano "Elias" Cocciante: un uomo sconfitto dagli eventi, un disperato inciampato in un gioco più grande di lui. Jacopo Zabinsky: sfigato per eccellenza, colpevole solamente di aver montato un documentario sull'InterNom. Ma Claudia era un ispettore di Polizia, perciò aveva imparato a convivere coi dubbi della coscienza. Meglio arrestarne dieci in più che uno in meno, le dispiaceva per gli innocenti, ma tutti dobbiamo sacrificarci, per costruire un mondo migliore. Anche lei si stava sacrificando, adesso. A casa da sola, china sul piatto ormai freddo, davanti ad un televisore annoiato. Tanto valeva andare a dormire.
Si avvinghiò al cuscino, quello di riserva, pensando ad Andrea. Funziona così in amore, spesso e volentieri. Lui ti entra nella testa, scava verso il cuore, pianta le radici nell'anima. Allora l'oggetto della passione può anche sparire, diventare una brezza sottile, smarrita nella tempesta della vita. L'importante è che la passione bruci dentro. L'amore esiste tutte le volte che vuoi, basta crederci abbastanza. La realtà si adatta, quando ci provi fino in fondo. La realtà è un'illusione, un sogno ad occhi aperti, un sospiro tra nascita e morte.
Una vacanza dal ruolo eterno della vacuità dell'anima.
- Fine della vacanza. Ci scusiamo per l'inconveniente. Arrivederci.