Bandiera inglese Bandiera italiana

Capitolo 8 - Jacopo Zabinsky

Critichiamo chi esce dal branco, disprezziamo chi ci fa paura, ma ridiamo di entrambi


Jacopo ci avrebbe passato la vita, sotto le coperte. Accanto all'anima gemella, esplorando angoli di pelle con pazienza e devozione, consumando i polpastrelli a forza di carezze e i muscoli a forza di abbracci. Ma una donna vuole sempre uscire, prima o poi. A cena fuori, fare shopping, bere qualcosa, vedere qualcuno. Vedere gente. Così Jacopo aveva sviluppato un timore reverenziale, per la gente. Persino adesso che era prigioniero di un pazzo, incatenato in uno scantinato anonimo di un mondo ancora più anonimo, persino adesso era costretto a vedere gente. Non si poteva più nemmeno soffrire in pace, al giorno d'oggi, perché la tortura andava di moda. Se lui non si era ucciso, durante l'adolescenza, era solamente perché lo facevano tutti.
A Jacopo piaceva tuffarsi negli occhi dell'amata e bagnarsi nella luce della sua anima, coltivare la sacra intimità della coppia, dimenticarsi del mondo. Non capiva perché la gente, invece, preferisse i ristoranti chiassosi e affollati. Perché uscire a bere qualcosa, quando hai il frigo traboccante di birra? Anche perché lui iniziava la mattina, facendo colazione con la Batida al posto del latte. Quindi beviamo qualcosa, d'accordo, anzi ti dirò di più: beviamo qualsiasi cosa. Un paio di spritz al Campari, qualche bicchiere di vino, un gin tonic caricato pesante e, dulcis in fundo, una bottiglia di grappa prime uve. Guarda, va tutto bene, tranquilla: sono alcolizzato da quand'ero bambino. Andare al cinema? Perfetto, Jacopo lavorava nel settore della pellicola indipendente, conosceva tutti i cinema d'essai della provincia, faceva amicizia coi registi in erba, erba compresa, frequentava attori da due soldi ed entrava gratis durante le proiezioni. Dove vuoi, quando vuoi, anche a casa di amici, quelli col videoregistratore e la passione per Stanley Kubrick o Woody Allen, da vedere e rivedere. Invece no, un film versione privè era triste, la femminilità non si disseta con qualche goccia d'emozione, serve un bagno di folla affinché il cinema diventi un'esperienza degna d'essere vissuta. Quindi si doveva uscire.
Ogni volta Jacopo abbandonava le lenzuola col groppone in gola, rovistando tra le montagne di vestiti neri, impiegando secoli a trovare i calzini; infilava gli anfibi, perennemente slacciati, e accompagnava la dolce metà a vedere la gente. Un ristorante, un centro commerciale, una birreria o un cinema. Dopotutto, a lui piaceva la gente. Adorava scambiare due chiacchiere col cameriere, impari sempre qualcosa da uno sconosciuto col tovagliolo sul braccio. Jacopo sapeva condirci i pasti, con la vita altrui, perciò spesso chiedeva lo sconto, alla cassa, per gustarsi l'astuzia del commerciante nel padroneggiare le trattative. In birreria attaccava bottone con gli altri avventori, prima a distanza, poi si trasferiva direttamente al loro tavolo e iniziava ad intonare canzoni sconce. Solamente al cinema non guardava niente e nessuno. Piantava gli occhi sullo schermo e si sforzava di non piangere dall'inizio alla fine, invano. Le lacrime gli uscivano copiose, non importava se il film era d'avventura, fantascienza, drammatico o animazione. Jacopo viaggiava con la fantasia, si lasciava trasportare dalla storia, dalle emozioni più banali, dai sorrisi ironici degli antieroi, dagli occhioni sognanti delle donne innamorate.
Insomma, Jacopo aveva imparato ad apprezzare la gente, e non mugugnava più come una volta. Era stato facile, dopotutto credeva nel cosmopolitismo, lui, nell'amore universale, nella grande famiglia che abbraccia l'intero pianeta senza conoscere la parola "estraneo". Ma avrebbe rinunciato al mondo intero pur di restare sotto le lenzuola da mattina a sera, giorno dopo giorno. Invece uscire con lui era sempre un disastro. La presunta anima gemella, perché a quel punto il ruolo di "accertata" era già venuto meno, piagnucolava lamentandosi di non sentirsi apprezzata.
- Hai parlato metà del tempo col cameriere, hai flirtato con la cassiera, ti sei unito ad un branco di zotici ubriaconi e durante il film sei rimasto muto come un pesce. Era meglio se restavamo a casa.
Perciò Jacopo aveva rinunciato: era uscito dal meccanismo della coppia, per non cadere mai più nel baratro della sofferenza. Passeggiava da solo, sotto la pioggia, specialmente in inverno. E si amava da solo, sotto le coperte, per restare al calduccio finché voleva.
Adesso avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a quella vita triste e solitaria, era certamente meglio che rantolare come un cagnolino strisciante davanti all'ultima arrivata. Almeno l'intimità era durata un paio di giorni, stavolta. Non che fosse una gran bella vita, è vero che le esperienze forti temprano l'animo, ma lui avrebbe preferito evitare d'essere temprato. Troisi aveva ragione: perché scegliere tra un giorno da leone e cento da pecora? Cinquanta da orsacchiotto vanno più che bene. Jacopo era un ottimista in fondo, nonostante i poster dei Cure appesi in camera e l'adorazione per i Depeche Mode. I darkettoni erano ottimisti in tutto il mondo, tranne che in Italia. A Londra, durante i requiem, si raccontavano barzellette macabre; allo Slimelight si rideva e scherzava sulla morte e sul sesso, che tutto sommato erano la stessa cosa.
Jacopo guardò le generose mammelle della donna incatenata davanti a lui. Ecco un'idea fantastica per un quadro situazionista, se fosse uscito vivo da quella trappola sapeva cosa dipingere. Erano anni che cercava un modo per esprimere la sua teoria unificata della morte e il sesso. Il discorso suonava all'incirca così:
- Ci sono forme di vita che non invecchiano, come alcuni virus e batteri. Però sono altamente sensibili all'ambiente circostante, basta un minuscolo aumento di temperatura e un'intera colonia di creature immortali scompare in un batter d'occhio. Animali e piante hanno scelto la strategia opposta: il singolo individuo muore per salvare la specie, affinché ogni generazione sia diversa dalla precedente e possa adattarsi ai cambiamenti ambientali. Riassumendo: noi moriamo di vecchiaia perché ci riproduciamo. Conclusione: la morte è il prezzo dell'orgasmo.
Ma nessuno lo capiva, di solito ridevano, oppure domandavano "L'hai davvero pensato tu? Non l'hai letto da nessuna parte?".
Prova a dire qualcosa di profondo e sarai marchiato a vita, come Caino, condannato a camminare solitario lungo il mondo, incompreso e deriso per il marchio che porti sulla fronte. E' meglio evitare la frasi intelligenti, in società, piuttosto bisogna ribadire quei concetti che tutti hanno già compreso, ma usando parole sempre nuove, così potranno riconoscersi e dire "Cacchio, ha ragione. E come lo ha detto bene! Ma che ragazzo intelligente!"
L'intelligenza era una puttana, e Jacopo non andava a puttane. Masturbarsi era più divertente, e non si rischiava di prendere brutte malattie.
La donna si mosse appena, forse stava per svegliarsi. Tristano l'aveva portata giù da un paio d'ore, già svenuta, e l'aveva appesa al gancio che pendeva dal soffitto. Era stato tutto previsto nei minimi dettagli: la catena pendula, il collare per lo schiavetto, una cantina sepolta da qualche parte sui Colli Albani. Un teatrino personale per Jacopo e la bella sconosciuta.
Una lista della spesa scritta col sangue del destino.
Che brutto pensiero! Meglio concentrarsi sull'arte, l'idea del quadro non era niente male: una donna matura, capelli castani lisci, coi pantaloni della divisa aderenti e il petto nudo, ammanettata e addormentata. Titolo dell'opera: "Morte & Sesso". Forse così la gente avrebbe capito. Una speranza inutile, un sogno impossibile, ma non aveva importanza. Era un situazionista lui, non un pittore qualsiasi. Un rivoluzionario dell'estetica, un martire delle forme, un ribelle del costume. Perciò era abituato a perdere.
Tra cent'anni qualcuno avrebbe scoperto i suoi quadri e lo avrebbe osannato come un grande artista, i critici avrebbero sprecato tonnellate di parole per adulare le sue opere: "era avanti coi tempi", "un precursore", "un genio incompreso". Sai che soddisfazione. Vivere in eterno, quando sei già morto, non è un granché; la sfida di Jacopo era diventare immortale subito, nel giro di pochi anni, anzi: settimane. Una sfida impossibile, a detta di molti, ma Jacopo era ottimista fino in fondo, ci credeva e ci provava con tutte le sue forze. Ma per riuscirci doveva evitare di pensarci, perché la coscienza è nemica dell'eternità.
Un altro conato di vomito emerse dalla bocca della prigioniera, ma stavolta c'era anche un colpo di tosse, assieme al liquido verde scuro arricchito dai pezzettini di frutta fresca. Ecco, si era svegliata. Addio intimità.

La testa le rintronava come una campana intarsiata di crepe profonde, lo stomaco ribolliva inquieto e non sentiva più le mani. La situazione era disperata, perché farsi ulteriormente del male guardandosi attorno? Claudia abbassò la testa sconfitta, lasciando scendere una nebbia di tenebre tra le ciglia socchiuse. Si era fatta fregare da un teppista di quartiere. Uno che aveva fatto del terrorismo una professione, ma restava comunque un Gian Burrasca da strapazzo, un autodidatta del crimine. Paolo Levis era cresciuto scavalcando recinzioni, rubando motorini e facendo a cazzotti nei bagni della scuola. Invece lei non aveva scuse: tre anni di accademia alle spalle, cintura gialla di Karate Shotokan, prima classificata al poligono di tiro, dieci anni di servizio attivo, due come ispettore alla narcotici.
Come dire che la strada insegnava meglio dell'accademia. Concetto difficile da mandar giù, per un poliziotto in carriera. Le certezze di una vita le traballarono dentro, scuotendola da capo a piedi, eppure, tra le frange disperate dell'oblio, cresceva in lei la convinzione che non doveva arrendersi, aveva perso una battaglia, non la guerra. Ma altre mille paure urlavano più forte, come sirene tentatrici, la nenia seducente della sconfitta. Il crimine non paga? Bugia, tremenda bugia, Claudia l'aveva sempre saputo, ma non aveva mai trovato il coraggio di ammetterlo. Mettersi a nudo davanti allo specchio fa male, la verità colpisce allo stomaco, stritola le budella e spreme i polmoni. La verità fa vomitare.
- Sei sveglia?
Non era sola! Claudia spalancò gli occhi, carichi di odio come una doppietta pronta a sparare, ma restò di sasso. La voce veniva dall'ombra di un ragazzo, incatenato, con un collare attorno al collo. Il suo primo pensiero fu la vergogna del seno scoperto. Il secondo fu la consapevolezza della stupidità del primo.
- Chi sei?
- Mi chiamo Jacopo Zabinsky.
- Zabinsky?
- Di padre polacco.
C'era una sfumatura strana nella voce del ragazzo, come se fosse infastidito dalla conversazione. Claudia non prese nemmeno in considerazione l'idea di aver turbato il sottile piacere dell'intimità altrui; preferì procedere con rigore logico.
- Da quanto sei qui?
- Questo è il terzo giorno, se non ho perso il conto. Prima ero legato alla sbarra, vicino al letto, così potevo arrangiarmi col servizio toilette. Ma stamattina la musica è cambiata.
- E' già mattina?
- Credo che albeggiasse, quando sei arrivata.
Claudia si girò lentamente verso di lui, facendo leva sulla punta dei piedi. Le caviglie erano avvolte da catene, arrotolate senza lesinare l'una sull'altra e fissate ad un blocco di cemento. Era difficile persino respirare, in quella posizione.
- Sono una poliziotta - disse per chiarire i ruoli.
- Lo avevo immaginato.
- Da cosa?
- Dai pantaloni della divisa. Il resto è abbastanza neutrale.
Neutrale? Da quando in qua le sue tette erano neutrali? Se il maiale voleva far intendere che non l'aveva guardata era un ipocrita patentato. Probabilmente gli era anche venuto duro, al porco, e adesso ce l'aveva con lei come se fosse colpa sua.
- Sai chi ci tiene prigionieri?
- Un pazzo di nome Tristano.
Tristano! Quindi Oleron aveva confessato la verità, nell'ultima lettera. Una verità distorta, farcita col vuoto delle omissioni, ma essenzialmente sincera. Chiunque fosse il vero burattinaio, si stava divertendo a far girare il testimone, come una staffetta quattro per quattro, ma qui il testimone cambiava ad ogni giro. A volte era del materiale trafugato dall'InterNom, a volte un carico di marijuana, altre volte un ispettore di Polizia privo di sensi. Claudia era passata indenne tra le grinfie di Salvadori, ma solamente per essere raccolta da Paolo Levis e consegnata a Tristano. A saperlo prima, sarebbe ingrassata apposta per fargli dispetto.
- Come mai conosci Tristano?
- E' una lunga storia.
- Abbiamo tempo e sono molto interessata. Ti ascolto.
Jacopo si schiarì la gola.
- Sono un pittore, o almeno ci provo, ma non guadagno abbastanza, a malapena riesco a pagare l'affitto di una camera doppia di un appartamento affollato. Così, ogni tanto, mi tocca accettare qualche lavoretto extra. Me la cavo bene col montaggio video, a volte lavoro a Bologna su pellicole a basso budget, sono poche ore, ma ben pagate. Durante una di queste trasferte ho conosciuto Tristano. Stava lì nello studio, a guardare le attrici, come ipnotizzato. Mi ha colpito il modo in cui i suoi occhi seguivano le curve femminili, era elettrizzante, mi ha trasmesso per via empatica un ardore e un coraggio che non conoscevo. L'ho invidiato subito, per lo sguardo spudorato, la voce sensuale, gli abiti sporchi e trasandati. Eppure, un paio di ragazze bellissime, di quelle che puoi solo sognare, gli ronzavano attorno. Ci hanno presentato, e dopo un po' lui mi ha offerto un lavoro che non potevo rifiutare. Due milioni di lire, in contanti, per pochi giorni di lavoro, ma ad una sola condizione: non dovevo parlarne con nessuno, anzi, non dovevo nemmeno pensarci.
- Pensarci? Di cosa si trattava?
- Una specie di documentario su una fantomatica corporazione, una certa InterNom. Sicuramente piatta come storia, a metà fra il realismo e la cronaca giornalistica, credo che abbiano speso tutto per gli effetti speciali. Le riprese erano scadenti, anzi, pessime.
- Tu hai montato quella videocassetta?
- Certo, perché la conosci? Non doveva uscire a ottobre?
Claudia sfogliò rapidamente il suo calendario mentale: sorveglianza di Cocciante, dal diciassette al diciotto giugno; lettera di Oleron e scoop sull'InterNom, venti giugno; arresto di Salvadori, ventun giugno. Se oggi era il ventidue giugno, e se Jacopo era qui da tre giorni, allora lui era stato catturato il diciannove, perciò non sapeva nulla del documentario trasmesso in mondovisione. Jacopo sembrava del tutto innocente. Sembrava. La Grande Truffa era un capolavoro di apparenze, un copione farcito con alibi prefabbricati e tante, troppe, coincidenze.
- Vai avanti: cos'è successo dopo?
Jacopo sbuffò seccato. Il collo iniziava a fargli male, stava molto meglio quand'era legato alla sbarra del letto, prima che arrivasse la poliziotta. Tutta colpa delle donne, era sempre colpa delle donne se la sua vita andava a puttane.
- Beh, ho montato il filmato, anche se non è stato facile allineare il video con tutti quei sottotitoli, in dodici lingue diverse. Comunque ho rispettato la scadenza, al tramonto mi sono incontrato con Tristano e siamo andati a Roma.
- Perché a Roma?
- Perché lì c'erano gli studi televisivi, mi aveva detto lui. C'era anche una festa sui colli, per festeggiare la fine dei lavori e iniziare la campagna di post-produzione. Avrei conosciuto il regista, gli attori protagonisti...
Il volto di Jacopo s'infiammò di luce e meraviglia.
- Ehi, un momento, c'eri anche tu nelle riprese! Ti ho vista nei pezzi che mi hanno fatto tagliare!
- Lo so, lo so - grugnì Claudia - vai avanti.
- Beh, io ho accettato, ovviamente. Abbiamo preso la sua macchina e siamo partiti per Roma. Tristano diceva che era una festa di nababbi, artisti eclettici che vivevano fuori dal mondo, sui Colli Albani. Io ci sono cascato come un asino, l'ho seguito fin davanti al casolare senza sospettare. Appena ho chiesto dov'erano le altre macchine lui si è girato verso di me. Ricordo solo che rideva come un pazzo, mentre alzava il manico dell'ombrello per colpirmi. Quando mi sono svegliato ero incatenato al letto. Fine della storia.
Claudia soppesò i particolari, continuava a non crederci ma stava al gioco.
- Non c'è altro? Nessun dettaglio? Qualsiasi informazione potrebbe tornare utile.
Jacopo distolse lo sguardo, imbarazzato. Dopo un momento d'esitazione rispose a voce bassa.
- Beh, non credo faccia molta differenza, ma ho comprato io le manette e tutto il resto.
- Cosa? Come mai?
- Dovevano esserci delle tipe alla festa, ragazze ben disposte. Tristano mi ha dato la lista delle cose da comprare, per divertirci un po': corde, manette, panna montata, latte condensato...
- Latte condensato?
- Sì, è uno degli strumenti più erotici al mondo, purtroppo non è la situazione adatta, altrimenti sarei felice di spiegarti come va usato...
Non ci stava mica provando, vero? Per fortuna Jacopo distava un paio di metri e non poteva toccarla nemmeno con lo sputo. Claudia ignorò la battuta, rafforzando la voce, per stringere lo scettro del comando tra le parole dense di autorità.
- C'era tanta roba su quella lista?
- Parecchia, ma non ricordo tutto. La maggior parte degli articoli li puoi vedere attorno a noi: la frusta appesa alla parete, le catene che abbiamo ai piedi, le manette. Poi c'era una bottiglia di cloroformio, un bisturi, del disinfettante, del cicatrizzante e alcune corde di cuoio.
- Niente male come spesa. Ricordi altro?
Jacopo rimuginò assorto per una decina di secondi, avvolto dal chiarore soffuso che entrava dalla minuscola finestrella vicina al soffitto. Poi rispose titubante.
- Sì, c'era un titolo in cima alla lista. Ma era privo di senso.
- Che titolo?
- La Grande Truffa: Allegato Otto.

Nelle due ore successive non fecero altro che vagliare possibilità di fuga. Jacopo era ammanettato come Claudia, mani e piedi, ma almeno poteva trascinarsi su e giù per la stanza, come un cane da guardia attraverso l'aia della fattoria, trascinandosi dietro collare e catena. Lei invece era appesa al soffitto, le mani atrofizzate sopra la testa, i piedi avvolti da lunghi tentacoli d'acciaio, ancorati sul fondo di un oceano di lacrime.
Jacopo si era ricordato che Tristano portava una chiave, appesa al collo, che sembrava quella delle manette. Anche Claudia si era ricordata qualcosa, una frase del suo maestro, riguardo le probabilità di successo nella vita. Non importa sapere a quanto ti danno, se è praticamente impossibile o se sarà una passeggiata, solo una cosa conta: conoscere la prossima mossa.
- Se Tristano torna nella stanza, dobbiamo stenderlo e prendergli la chiave.
Jacopo aveva espresso qualche dubbio, cosa normale per un masochista come lui, ma alla fine aveva concordato. Adesso era calato il silenzio, tra loro. Il canto vuoto della musica sorda, una cieca rassegnazione che aveva occupato i quattro angoli dello scantinato. Jacopo era sonnecchiante, accovacciato ai piedi del letto. Dall'altra parte della stanza, avvolta da una perenne penombra, Claudia lo osservava pensierosa. Non riusciva a convincersi che Jacopo fosse una vittima, una marionetta innocente manovrata da Oleron. Troppo facile pensarla a quel modo, troppo scontato. Quindi lei avrebbe continuato ad infrangere le regole.
All'improvviso la porta si aprì, crepitando lentamente sui cardini. Sull'uscio apparve la sagoma scura di Gesù Cristo. Il messia fece un passo, poi un altro, avvicinandosi in silenzio. Non era il Salvatore, ma ci assomigliava dannatamente. Quando fu abbastanza vicino, Claudia riconobbe l'uomo che aveva visto dimenarsi sopra una ragazzina, nel vicolo, a Bologna. Gli stessi capelli lunghi, coi boccoli castani, la barbetta da moschettiere, le sopracciglia truccate e lo smalto verde sulle unghie. Claudia inspirò a fondo. Quello era l'uomo che l'aveva spiata, come stava scritto nell'Allegato Cinque. E si vedeva lontano un miglio che gli era piaciuto farlo.
- Ssh! - sussurrò Tristano, indicando Jacopo - non svegliare il can che dorme!
- Fottiti.
- Oh, ma come siamo incazzosi, oggi! Ma che bella poliziotta focosa! Eppure io parlo nel tuo interesse, cara. E' meglio non avere spettatori, finché giochiamo al dottore.
Un lampo argentato baluginò tra le mani di Tristano. Claudia aveva già visto un coltello simile, ma non riusciva a ricordare dove. L'uomo le si avvicinò con passo scoordinato, come se fosse ubriaco. Arrivò ad un metro di distanza, fermandosi accanto a lei, poi iniziò a parlare con voce sbiascicata. Le parole sembravano chiazze di sangue sul velluto, pronunciate con violenza che sapeva di sudore e sperma.
- Ci siamo spinti un po' troppo in là, vero? Un ispettore della narcotici non dovrebbe indagare su dei poveri criminali che si cimentano con la psicologia umana! Sarebbe meglio incaricare uno strizzacervelli, uno scienziato, un premio Nobel. Non siamo mica dilettanti, noi altri...
- E cosa sareste?
- Siamo giocatori sopraffini! Illuminati che hanno guardato oltre il Velo di Maya, restando disgustati e nauseati. Noi infrangiamo le regole e ne siamo orgogliosi: siamo i cattivi, quindi non fidatevi e guardatevi le spalle. Invece voi... che delusione, che squallore! Arrestare un povero innocente, un cittadino esemplare, soltanto perché c'è scritto "Allegato Sette" su un pezzo di carta. Questa è cattiveria!
Claudia seguì la lama carezzarle la gola, chiedendosi se era meno spaventosa dello sguardo del pazzo che l'impugnava. Alzò gli occhi per controllare l'espressione dipinta sul volto di Tristano. Non c'erano dubbi: il coltello era più umano.
- Sei un pervertito.
Lui sorrise.
- Ma guarda, non lo sapevo. Visto che siamo così saggi, oggi, sapresti spiegarmi, cara, la differenza tra perversione e passione?
Claudia deglutì insicurezza e brontolò rabbia. Tristano interpretò quel rantolio confuso come un elogio al vittimismo. La giornata prometteva bene.
- Te lo dico io qual è la differenza. E' passione quando lo fai sul tavolo, senza sparecchiare, scansando appena i piatti e i bicchieri. Invece, se giri tutte le forchette verso l'alto, finché fai spazio, allora è perversione.
Bene, quello era pazzo. Claudia saggiò il pavimento con gli alluci, che sfioravano appena il terreno, poi contò le molecole di sangue che ancora salivano su per le dita, ormai atrofizzate, e decise che doveva ucciderlo. Magari soffocandolo con le tette.
- Tu credi nella magia, cara?
La conversazione stava degenerando. Claudia si fece aggressiva.
- La magia esiste solo nella tua testa, stronzo.
Tristano raccolse la sferzata rabbiosa e gliela rigettò contro.
- Certamente! Come la forza di gravità, le emozioni, i colori! Eppure la razza umana cade continuamente in preda all'amore, vittima di un cuore rosso pulsante di passione. Come si fa a dire che queste cose non esistono? Noi, quelli della Grande Truffa, sappiamo come manipolare la realtà, ci mancano i mezzi, ma presto avremo anche quelli. Nel frattempo ci tocca ricorrere a sotterfugi e inganni, ma il concetto resta comunque quello: conoscere, volere, osare, tacere.
- Citazione di una citazione, immagino.
Il volto dell'uomo si accese. Gli occhi bruciavano come ardesia in fiamme, vampe oscure avvolte dalla notte, baratri voluttuosi tesi verso la follia.
- Il sarcasmo è la difesa dei deboli. Noi siamo i vincenti, valutiamo gli eventi e ci adattiamo di volta in volta. Tu hai infranto le regole? Nessun problema, noi cambiamo programma e organizziamo un bel rapimento. La vita è mutamento.
- Vorresti dire che non era previsto? Che mi avete catturata solo perché ho arrestato Salvadori?
Tristano si lasciò andare ad una risata sguaiata.
- Così è, se vi pare.
Era chiaro che si divertiva. Tristano giocherellava con la verità come un bimbo con un caleidoscopio rotto tra le dita. Ci puoi vedere quello che vuoi.
Dietro di lui, nell'angolo, Jacopo alzò la testa. La risata l'aveva svegliato, adesso erano due contro uno. Ammanettati e legati, ma pur sempre in due.
- Lasciamo perdere la verità, che tanto non esiste, e godiamoci l'attimo fuggente. Sei pronta a giocare, cara?
- A che gioco giochiamo?
- Oh, io ho delle idee molto diverse dal cagnolino che sbava nell'angolo - indicò verso Jacopo con la mano libera, senza spostare la lama dalla gola di Claudia - ne abbiamo discusso a lungo, vero Zabinsky?
Jacopo si limitò a grugnire in silenzio, chiudendo le ginocchia contro il petto, nascosto dietro un muro immaginario. Tecnica rubata a Rogers Waters, pietra miliare della sua adolescenza, dopo Robert Smith e Martin Gore. Tristano invece continuava a parlare.
- Il nostro artista ritiene che sesso e morte siano la stessa cosa, vero Jacopo? L'idea non è male, è l'interpretazione che non mi convince. Lui dice che dobbiamo morire perché ci riproduciamo. Bene, allora io dico che ogni orgasmo è la compensazione della nostra inevitabile dipartita. Ergo: quando vengo lo metto in culo alla morte!
Il sorriso di Tristano si allargò, mentre spostava il coltello sul seno di Claudia, pochi centimetri sotto il capezzolo.
- La vita è bella, quando sai cambiare punto di vista!
Lei riconobbe una luce familiare in quegli occhi dal colore indefinito, un calore infantile, la scintilla appassita di una vecchia conoscenza. Cercò di capire chi gli ricordava, dove l'aveva già visto, ma fu distratta dai lampi azzurri che brillavano sul soffitto. Guardò meglio: fulmini sottili e silenziosi, animati da un bagliore fioco, correvano all'impazzata da una parete all'altra. Le stesse schegge di luce impazzita che erano apparse durante l'interrogatorio di Giuliano Franzon, a Como, ma stavolta non c'erano lampadine che potevano esplodere. Erano state tolte tutte, dal lampadario, dalla plafoniera arrugginita, dal portalampada sopra la porta. Una precauzione?
All'improvviso Claudia spalancò la bocca in un grido di dolore, mentre una scarica elettrica le attraversava il cervello. Tristano aveva affondato il coltello nel seno, violentemente, e adesso stava rigirando la lama, lacerandole pelle e muscoli. Claudia abbassò lo sguardo: un rigagnolo di sangue scorreva nel buio. Il suo sangue.
- Oh - bisbigliò Tristano - adesso sì che le tette sorridono. Smile!
Pazzo, quello era completamente pazzo. Claudia si morse le labbra, mentre fiumi di lacrime le uscivano dagli occhi serrati. Le dita del suo aguzzino torturavano la carne sanguinolenta, assetate di malattia e perversione, come se cercassero di strapparle l'anima dal petto. Dove sei Andrea, dove sei quando servi davvero? In un solo istante Claudia provò ribrezzo, dolore, paura e solitudine. Era finita. L'uomo appoggiò il coltello sul pavimento. Nei suoi occhi brillava l'eccitazione del maniaco che aveva appena incominciato a divertirsi. La sua bocca le morse il capezzolo, succhiando avidamente sangue e pelle per una decina di secondi. Poi si lasciò cadere sulle ginocchia, alzò le braccia al cielo.
- In vostro onore, dèi supremi, vi offro questa vittima sacrificale. Possa il sacro nettare passare attraverso me, umile strumento degli altissimi, e placare la vostra sete eterna.
Dietro la cortina di lacrime Claudia vedeva a fatica. Tristano era inginocchiato tra lei e Jacopo, a torso nudo, col mento verso l'alto e la lingua protesa in avanti. Attendeva con pazienza ogni singola goccia di sangue, estasiato, mormorando frasi deliranti: grande madre divina, latte caldo rosso, elisir di vita eterna.
Poi Claudia vide la chiave, illuminata dai bagliori azzurri che ancora graffiavano le pareti e il soffitto. Jacopo aveva ragione: quella che Tristano portava al collo era la chiave delle manette. Claudia ingoiò il dolore e contrasse il diaframma: era cintura gialla di Shotokan, lei, e questo era il momento di provarlo. Si abbandonò completamente, stirando i polsi fino al limite, per caricare il peso sui piedi addormentati. C'era poco gioco, una decina di centimetri, ma potevano bastare. Dovevano bastare. Ruotò il busto verso destra, cercando un appiglio con la punta del piede, senza perdere di vista il pervertito inginocchiato davanti a lei. Tristano era lì, con gli occhi impallati al cielo, che si passava la lingua sulle labbra macchiate di carminio. Ancora un attimo, un attimo solo, abbassa la testa. Bravo.
Claudia raccolse le ultime energie e si alzò di scatto, spingendo sulla gamba sinistra per ruotare il busto. All'ultimo momento fece uscire il ginocchio destro, puntando dritto al mento di Tristano. Si udì un colpo sordo. Tristano volò all'indietro, cadendo rovinosamente nell'aia della fattoria, dove il cagnolino inferocito aspettava acquattato nelle tenebre. Prima ancora che Jacopo saltasse in aria, chiudendo il gomito per colpire l'avversario, Claudia osservò soddisfatta la bocca sanguinante di Tristano. Ti piace bere il sangue, brutto porco? Allora arrangiati.
Poi Jacopo piombò sul petto di Tristano. Un suono terrificante esplose nella stanza, simile a quello di una catasta di legno che andava in mille pezzi, schiacciata da una frana di montagna. Decisamente un bel colpo, per un pittore. Il suo gomito appuntito si era abbattuto sul torace di Tristano, frantumando almeno un paio di organi o di costole, non era facile capirlo nella penombra. Fiotti di sangue eruttavano dalla bocca del maniaco, inerte, steso sul pavimento.
Claudia tirò su col naso, cercando d'aspirare le lacrime che le rigavano la faccia.
- Può bastare: è fuori combattimento.
Jacopo s'accucciò accanto alla sagoma svenuta, imprecando sottovoce.
- Anch'io se è per questo. Credo di essermi rotto il gomito.
Decisamente un brutto colpo, per un pittore.
- Riesci a prendere la chiave?
- Ci provo.
Jacopo armeggiò un paio di minuti, cercando di inserire la chiave nella toppa con la mano sinistra, senza riuscirci. Le manette e la frattura dolorante gli impedivano i movimenti. Poi, dall'alto, gli arrivò l'illuminazione: prese la chiave tra i denti e l'inserì nelle serratura. Dopo una decina di secondi le manette caddero al suolo. Erano liberi.

Fuori era giorno fatto, l'aria calda e umida sonnecchiava immobile sopra le colline tondeggianti. Sulla curva dell'orizzonte, dietro vigneti e campi di grano, si stendeva un enorme macchia grigia luccicante di riflessi. La Città Eterna.
- Ho guardato dappertutto, niente telefono.
Jacopo uscì dal casolare, mentre Claudia chiudeva l'ultimo bottone della giacca. La stoffa pesante della divisa l'avvolse in un caldo abbraccio, aiutandola a recuperare il pudore smarrito. Paolo Levis doveva averla trascinata a lungo, per sgualcire a quel modo l'uniforme. Anche Jacopo si era rivestito, se così si può dire. Indossava un paio di anfibi slacciati, pantaloni corti neri e consunti, un cinturone con le borchie e una maglietta attillata, nera pure quella. Aveva ritrovato anche il resto dei suoi effetti personali: un bracciale borchiato e un paio di piercing, che Tristano doveva avergli strappato di brutto, a giudicare dal sangue rappreso sui lobi.
- Ci sono case nei paraggi? - domandò Claudia.
Jacopo finì di rassettare il suo look trasandato, controllando che fosse al giusto livello di trascuratezza, prima di rispondere.
- C'era una fattoria lungo la strada, se ricordo bene.
- Va bene, tentiamo. Così ci facciamo una passeggiata e due chiacchiere.
- Due chiacchiere? E di cosa parliamo?
- Cinema.

Tutto si può fare in metà tempo, basta evitare la pausa sigaretta e la chiacchiera col collega. Andrea si portava talmente avanti col lavoro che aveva imparato a pianificare anche gli stati d'ansia, decidendo anzi tempo quando entrare in depressione e quanto a lungo. Gli agenti InterNom erano più che efficienti, più che perfetti, più che fedeli.
Era stato costruito così, il mondo del lavoro. L'InterNom era la macchina infallibile che manipolava la realtà, occultando le informazioni scomode per garantire a tutti un'equa disinformazione, senza discriminare nessuno. L'ignoranza era un diritto, come la pigrizia, e lo era specialmente per i lavoratori standard, quelli che avevano solamente due funzioni: produrre calore termico e alimentare l'ego del titolare. A nessuno interessava che gli impiegati fossero produttivi otto ore al giorno, purché rimanessero a disposizione, procedendo a passo di lumaca, pronti a scattare al minimo cenno. Era stata proprio l'InterNom a progettare il modello di impiegato perfetto: inutile, inefficiente e schiavo.
Perciò, se adesso Andrea stava lavorando il doppio, armeggiando su due tastiere, c'era un motivo. Voleva ritrovare Claudia, e per ottenere il permesso di riprendere le indagini doveva dimostrare ai superiori quanto lui valeva. Andrea poteva quasi sentirli, gli occhi dei superiori, incollati su di lui attraverso le mille telecamere del palazzo. Correvano voci strane sui leader dell'organizzazione. Si diceva che fossero un centinaio di persone senza età, con un cuore bionico e un cervello superiore, praticamente immortali. Guidavano l'InterNom come piccole divinità, dall'alto dell'Olimpo. Adesso erano loro ad occuparsi della Grande Truffa, avevano fatto requisire tutti i fascicoli, internare i criminali arrestati e avviato nuove indagini, indagini di cui Andrea non sapeva nulla. Ma il caso Levis gli spettava per diritto, erano tre anni che Andrea braccava quel brigante, prima o poi avrebbero dovuto ammetterlo: lui era l'unico che poteva arrestare Paolo Levis. Così, da due giorni lavorava senza sosta, mangiando e dormendo in ufficio. L'istinto gli diceva che, per salvare Claudia, prima doveva braccare il lupo solitario. Ed era talmente assorbito dalla missione di amore e giustizia, o di amore per la giustizia, che nel suo caso era la stessa cosa, da non accorgersi che il telefono stava squillando.
- Ufficio del Tenente Cerulli, chi parla?
- Sono io.
- Claudia! Come stai? Dove sei?
- Ancora viva, grazie. Sono sui Colli Albani.
- Cos'è successo?
- Paolo Levis ha usato le vostre capsule soporifere per fare irruzione nell'appartamento di Salvadori, a Firenze, e sequestrarmi.
- Lo sapevo che era stato Levis! Ma perché ti ha rapita?
- Ti spiegherò dopo, Andrea, adesso apri bene le orecchie: ho bisogno del tuo aiuto, sto chiamando da un telefono privato. Sei pronto a scrivere?
- Pronto.
- Allora: mi servono tre automezzi con personale armato. Il primo lo mandi verso Rocca di Papa, passata Grottaferrata, dopo un paio di chilometri c'è un casolare viola con un cancello verde. La porta è aperta, in cantina c'è Tristano Antonioni, l'uomo che mi teneva prigioniera. E' lo stesso che ci ha spiato a Bologna, mentre sorvegliavamo Stefano Cocciante.
- Cavolo!
- Aspetta. Manda anche un'autoambulanza, che è meglio.
- Stai male?
- Io sto bene, ho solamente qualche graffio, ma Antonioni è ridotto male. Stava ancora sputando sangue quando l'ho incatenato. Credo che abbia un'emorragia interna.
- Ricevuto. E gli altri due automezzi?
- A Grottaferrata, in Via Delle Rose. Uno è per me, l'altro per Jacopo Zabinsky.
- Chi?
- Jacopo Zabinsky. E' stato lui a montare il documentario, quello sull'InterNom, ma è innocente: l'hanno ingannato e poi rapito, come me. Comunque ha collaborato e adesso va protetto. Voglio una scorta armata che lo accompagni fino a casa, a Padova. Io invece prendo il primo volo per Torino.
- Torino? Sei sicura? Non sarebbe meglio se...
Claudia lo interruppe alzando la voce.
- Ho detto Torino, subito! Prenotami un volo, chiama il Questore di Como e spiegagli cos'è successo. Digli che gli mando il rapporto via fax, appena atterro.
- Ma...
- Artemio De Santis è vivo e vegeto, tesoro, e abita a Torino. E' lui l'uomo che si è fatto intervistare col volto oscurato, nel documentario sull'InterNom. De Santis ha simulato la sua morte, per far perdere le tracce e lavorare in segreto alla Grande Truffa.
- Ma è impossibile!
- Ascolta Andrea: Zabinsky ha registrato personalmente l'intervista all'agente pentito, due mesi fa, proprio nella casa di De Santis, abbiamo l'indirizzo. E' lui il traditore, combaciano sia il volto che il nome, perciò adesso sappiamo dove trovare l'Allegato Nove.
- Nove? E l'otto qual era, scusa?
- Una lista della spesa, gingilli per giochetti sadomaso, nulla di importante. L'Allegato Otto era un diversivo, una trappola per rallentare le indagini. Ma sono sicura che De Santis ha in mano il numero nove, e deve essere roba che scotta.
- Se lo dici tu...
Claudia si tastò le ferite, rattoppate alla meno peggio con un paio di cerotti. Le facevano male, ma almeno avevano smesso di sanguinare. Erano i dubbi, a torturarle la mente. Non riusciva a smettere di pensare che fosse tutta una messa in scena, compresa la fuga recente. Ma lei ormai aveva deciso: li avrebbe arrestati tutti, uno per uno. Adesso toccava a Jacopo.
- Claudia, ci sei?
- Sì, scusa, stavo pensando... fammi avere anche un ricambio completo, assieme ai rinforzi. Pistola, munizioni, radio e manette. E' importante.
- Ci avevo già pensato.
- Sei un tesoro.
- Lo so, grazie.

Durante il viaggio Jacopo aveva rischiato di affogarci, nel suo timore per la gente. L'immersione era iniziata con un tuffo nel Raccordo Anulare, quando uno della scorta aveva detto puttane negre di merda, Jacopo aveva ribattuto è un lavoro come gli altri, il poliziotto aveva risposto lavorano un cazzo. Dopo un grassa risata, un elogio alla battuta e un sorriso d'intesa, il capo della scorta aveva aggiunto:
- La prostituzione non è legale, quindi non è un lavoro.
- Qualsiasi lavoro è prostituzione, se lo fai per soldi - avrebbe voluto rispondere Jacopo. Invece aveva preferito mordersi la lingua, scegliendo la politica del silenzio. Silenzio di tomba fino a Padova, quindi, dov'erano arrivati nel tardo pomeriggio, giusto in tempo per passare accanto allo Stadio Euganeo quando le prime passeggiatrici uscivano di casa, a guadagnarsi il permesso di soggiorno. Jacopo evitò di fare altri commenti, aveva già di che preoccuparsi. Ad esempio: perché, se lui abitava a Forcellini, passavano per lo stadio? Dove lo portavano, al Due Palazzi? Era appena l'ombra di un sospetto, partorito dai suoi neuroni assopiti, ma Jacopo iniziava già a preoccuparsi. Disperato, cercò conforto nella catena di eventi che lo avevano portato fin là. Tutto era iniziato il giorno che aveva conosciuto Tristano.
- Che belle ragazze - aveva detto Jacopo, guardando le aspiranti attrici.
- Eh, tanto fumo ma niente arrosto - aveva commentato Tristano.
Dopo queste parole gli occhi di Tristano erano corsi dietro ad un paio di tacchi a spillo, avevano mordicchiato i calcagli, succhiato il tendine, corteggiato il polpaccio, leccato la coscia e annusato il sesso. Infine, tornando alla realtà, il pornomessia aveva aggiunto:
- Ma che bel fumo.
Jacopo aveva riso. Tristano invece aveva sospirato più forte, facendosi serio.
- Io penso che se devi soffrire, nella vita, deve essere per colpa del destino, non per colpa della tua codardia.
A quel punto Tristano s'era alzato, aveva preso la modella, l'aveva spinta contro il muro, prima che lei potesse gridare, e gli aveva cacciato la lingua in bocca. Quella c'era stata. Grande, aveva pensato Jacopo, questo è un grande, diventerà mio amico e maestro.
Ma adesso, mentre il cellulare della Polizia si lasciava la Casa Circondariale alle spalle, attraversava un meleto invisibile, volando tra campi di granoturco virtuali, ed entrava nel Carcere Speciale di Padova, Jacopo si pentì di aver ascoltato il consiglio di quel pazzo. Guardando le mura di acciaio e cemento, guarnite da fotocellule e filo spinato, Jacopo finalmente comprese che tutto era collegato: l'incontro con Tristano, l'intervista a De Santis, il montaggio del filmato, la prigionia sui Colli Albani e la fuga con la poliziotta tettona.
Mentre lo ammanettavano, nel caldo torrido del piazzale, Jacopo sorrideva. Finalmente un posto tutto suo, dove dormire tranquillo, senza vedere gente.