Bandiera inglese Bandiera italiana

Capitolo 7 - Michele Salvadori

Fingiamo tutti assieme che vincere sia importante!


L'ufficio di Cerulli era rimasto identico a se stesso: fastidiosamente ordinato. L'unica novità era che la radio a valvole, col suo bell'abito di legno massello, si era avvicinata di mezzo metro alla porta d'ingresso. Claudia si agitò sulla sedia, studiando Andrea mentre leggeva l'ultima pagina della lettera. Adesso l'avrebbe sentita. Gli avrebbe risparmiato le urla, niente sceneggiate per carità, lei era un ispettore di Polizia, non un'adolescente. Eppure non riusciva a togliersi dalla mente un'immagine ricorrente: lui che prova a giustificarsi, lei che gli mette le mani sul collo e inizia a strangolarlo. Lentamente, per spaventarlo a lungo, senza aver fretta di ucciderlo.
Lo scoop sull'InterNom era esploso il giorno prima, all'ora di pranzo. Al telefono Andrea era stato serio, compito e professionale come sempre. Claudia ricordava ogni viscida parola che il verme aveva pronunciato, durante la lunga conversazione: "Sono d'accordo, apriamo un'indagine su questa presunta InterNom. No, mai sentita nominare. Deve trattarsi di un'organizzazione segreta, qualcosa capace di occultarsi anche ai nostri occhi".
La lettera di Amedeo era arrivata un paio d'ore dopo.
I nostri occhi? Brutta carogna, fedifrago e traditore, maschio arrogante, falso come Giuda, più di... peggio che... Claudia non trovava le parole per esprimere l'odio che le faceva ribollire il sangue. I nostri occhi? Se appartieni all'InterNom e non lo puoi dire, ti posso anche capire, brutto imbecille, ma se ti esprimi a quel modo allora sei proprio stronzo.
"Qualcosa capace di occultarsi anche ai nostri occhi": come si poteva solamente concepire un'espressione tanto fasulla? Lui, tenente in carriera dell'InterNom, ipocrita al punto da dirle che la sua organizzazione non sapeva della sua organizzazione.
Dovrebbe esserci l'ergastolo, per eccesso di stronzaggine.
Ecco! Aveva finito di leggere: adesso prova solo a giustificarti e sei morto.
- C'erano impronte digitali, sulla lettera?
Il morale di Claudia precipitò in picchiata verso il pavimento, attraversò le mattonelle grigie, volò oltre le fondamenta, s'infilò nel nucleo terrestre e si smarrì negli spazi siderali. Era tutto quello che riusciva a dirle? Non provava nemmeno a giustificarsi? Claudia non credeva alle sue orecchie. Balbettò qualcosa, confusa.
- Ma io ti... brutto...
Andrea cercò di calmarla, abbozzando un sorriso.
- Vedi Claudia, è il nostro lavoro, non sto dubitando di te. Potrebbe essere la lettera di un mitomane, dobbiamo controllare le impronte prima di...
- Sei un... un...
La fronte di Andrea fu scossa un minuscolo aggrottare delle sopracciglia, insomma un cenno d'umanità. Stava iniziando a capire, finalmente, o almeno a sospettare.
- C'è qualcosa che non va?
Claudia si guardò attorno, disperata. Era come parlare col muro: un mero esercizio di fonetica e dizione, senza alcuna pretesa di essere ascoltati. All'improvviso notò il quotidiano piegato in due, sulla scrivania. In prima pagina, a caratteri cubitali, echeggiava un titolo che le tolse le parole di bocca: "L'InterNom ci controlla. Ma chi controlla l'InterNom?". Sotto c'era un sommario dal taglio sensazionalistico, per vendere anche l'ultima copia, come se ce ne fosse stato bisogno: "Si dicono custodi della Civiltà dell'Uomo. Ma si tratta di una custodia preventiva, capace di sterminare ogni altra forma di vita, pur di riportare l'uomo al centro dell'universo". Ma la chicca era la fotografia accanto alla prima colonna: un ritratto a colori di Andrea Cerulli con in mano un binocolo ad infrarossi, nascosto, non troppo bene, dietro a una tenda socchiusa.
Tremante di rabbia, Claudia raccolse il giornale e glielo sbatté in faccia, senza staccare l'indice dalla fotografia. Poi, approfittando del momento d'imbarazzo, trovò il coraggio per insultarlo come si meritava.
- Sei un merdoso tenente dell'InterNom. Hai sentito bene? Ho detto InterNom.
Lui reagì come nessuno dei due aveva previsto. Si alzò dal tavolo e ripose la sedia al suo posto. Aggirò la scrivania, con passo lento, allineando al contempo alcuni fascicoli, che si erano leggermente scostati dal parallelismo della stanza. Si avvicinò a Claudia, le tolse il giornale di mano, sistemò il nodo alla cravatta, aggiustò i baffi, schiarì la gola e la baciò.
Lei lo schiaffeggiò un paio di volte, prima di ricambiare.

In quel preciso istante Michele Salvadori si passò la lingua sulle labbra, mugugnando nel sonno. Non lavorava mai di mercoledì, era il suo giorno libero e ne approfittava per dormire fino a tardi. Adorava rigirarsi sotto le lenzuola, ascoltare i suoni del giorno che avanzava, lasciarsi incantare dai mattoncini di luce colorata che s'arrampicavano lenti sull'intonaco, filtrando attraverso le persiane. Era come andare in vacanza, ma senza fatica: ad ogni giravolta sul materasso lui cambiava continente, oceano e deserto.
Adesso stava sognando. Un brutto sogno, un incubo pregno di significato eppure sfuggente, come se una parte di lui potesse capire, ma non volesse farlo. I protagonisti erano due: un uomo grasso e anziano, che in qualche modo era lui, e una donna alta, slanciata, dai lunghi capelli castani e il seno prorompente. Danzavano entrambi da soli, lontani, ognuno per conto suo. L'uomo era circondato da una decina di sagome scure, diverse l'una dall'altra. C'era l'ombra del codardo, che fuggiva le altre rintanandosi nell'angolo, vicino ad una macchia scura che s'agitava frenetica, ribellandosi alla luce. Più in là, stagliata contro la parete bianca, stava un'ombra impettita, fiera e orgogliosa, immobile e silenziosa. Poi venivano l'ombra della follia e della lussuria più sfrenata, entrambe incastrate all'interno di una gigantesca cornice, come un quadro in movimento appeso alla parete, dipinto in bianco e nero sulla malta grigia.
Su tutte, gigantesca e terribile, troneggiava l'ombra del male. Essa avvolgeva il soffitto come il manto della notte, raggiungeva ogni angolo, s'insinuava arrogante nei battiscopa, dietro i mobili, oltre il confine visibile della stanza. Spaventosa e mortale come una bara con uno specchio all'interno. Dietro di lei, lontane, c'erano altre ombre, ma era difficile distinguerle.
La donna era diversa: aveva un'unica ombra, misteriosa, anonima, quasi invisibile. Nel sogno Michele, nei panni dell'uomo grasso, si avvicinava alla sagoma femminile per afferrarla, per scoprirne la vera identità, ma non ci riusciva: la donna continuava a sfuggirgli.
Deluso e sconfitto, il protagonista maschile andava incontro alla donna allargando le braccia, e si univa a lei in un abbraccio inchiostrato di nero. Allora le ombre scomparivano, lasciando i due amanti affogare in un bagno di luce. Lui si scioglieva come carbone nel fuoco, lei come burro tinto di pece, arroventata dal calore dell'uomo. I due corpi diventavano tutt'uno, sprigionando folgori d'amore dalla pelle, illuminando la stanza che tornava a vivere, scacciando le tenebre. A quel punto lui diventava verità. Verità senza paure, affilata come un rasoio e crudele come l'amore. Senza giri di parole, senza zucchero per indorare la pillola, senza bugie a fin di bene. Una verità talmente intensa che Michele aprì gli occhi.
Era stato un brutto sogno, un incubo; doveva aspettarselo dopo la notizia di ieri sera. Amedeo era stato ricoverato d'urgenza per tentato suicidio. I medici avevano detto di prepararsi al peggio, Amedeo stava morendo. Era terribile, spaventoso e difficile da accettare, ma il mercoledì era il suo unico giorno libero, l'occasione per dormire più del solito. Michele si girò dall'altra parte e riprese a sognare. Un sogno bello e luminoso, pieno di giocattoli e risate e divertimento.
Come un bacio senza fine.

- E' la verità?
Andrea le prese le mani con dolcezza, stando attento a non sporgersi troppo. La porta era esattamente come la parete che dava sul corridoio: vetro spesso due centimetri, antiproiettile e antincendio, ma nulla poteva fermare lo sguardo dei colleghi.
- Lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.
- La mamma? - scherzò Claudia.
- L'InterNom - rispose Andrea, serissimo.
Lei strizzò gli occhi soddisfatta. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, dietro quella faccia di bronzo batteva il cuore d'un bambino. Le aveva spiegato tutto senza perdersi per strada o lesinare sui particolari. Era difficile da credere, ma non impossibile. Più accettabile della magia, più reale della fantascienza, meno verde degli extraterrestri. La tecnologia governava il pianeta, tutto qui. E loro, quelli dell'InterNom, controllavano la tecnologia. Semplice e chiaro. Ma l'umanità non era pronta, e non doveva sapere, perciò lui era stato costretto a mentirle. Alla fine lei aveva deciso di fidarsi un'altra volta.
- E adesso cosa si fa?
Andrea roteò gli occhi confuso, cercando di capire il senso della proposta: sesso in ufficio? Portare avanti le indagini? Optò per la seconda interpretazione, non senza rammarico.
- Credo che dovresti interrogare il socio di Andriancic, il signor Salvadori.
- Vuoi dire dovremmo.
- No, dovresti.
Indicò il giornale aperto sulla scrivania. La foto presa durante la sorveglianza di Elias era un pugno nell'occhio, un montante piazzato nella guardia di un pugile distratto.
- Io sono fuori gioco, Claudia, mi hanno tolto dalla prima linea, almeno finché non si calmano le acque. A "noi" non piace apparire sui giornali, anzi, non ci piace proprio che si sappia della nostra esistenza, in genere.
- Capisco.
- Comunque Salvadori vive e lavora a Firenze. Sono appena le dieci, se parti subito lo intercetti a pranzo.
Claudia lanciò un'occhiata all'orologio, appeso sulla parete, e notò gli scatoloni ammassati nell'angolo, nella parte meno luminosa dell'ufficio.
- Cosa sono quelli?
- Ho fatto sequestrare i computer di Andriancic, per darci un'occhiata prima che si svegli.
- Perché, sapete anche resuscitare i morti?
Andrea la guardò di sottecchi.
- Dipende: chi sarebbe il morto?
Un tremendo sospetto s'insinuò nei pensieri di Claudia. Era una domanda stupida, ma preferiva togliersi ogni dubbio.
- Beh, il burattinaio pazzo: Andriancic.
Andrea sospirò, prima di risponderle.
- Quello è un dritto. Ha ingerito una dose di barbiturici quasi letale, capace di mandarlo in coma, ma se la caverà. Difficile dire quando tornerà in sé, un nostro specialista l'ha visitato meno di un'ora fa, è in coma reversibile.
- Ma il primario aveva detto...
- Il primario è un cerusico medievale, a confronto dei nostri medici.
Giusto, glielo aveva appena spiegato, stupida lei a non arrivarci. L'InterNom era avanti di un paio di secoli rispetto alla scienza ufficiale; Claudia doveva metabolizzare e ricalibrare la scala dei suoi ragionamenti.
- D'accordo, allora, parto subito. Hai l'indirizzo di Salvadori?
Il sorriso di lui si fece sfavillante come un'opera di Andy Warhol: l'amore fa miracoli, anche con gli uomini di ghiaccio, ma ci sono miracoli difficili da comprendere.
- Molto di più, ho un fascicolo completo: niente indagini sul campo significa più tempo per riordinare le scartoffie.
La dispensa che Claudia si ritrovò tra le mani conteneva almeno cinquanta pagine. Il titolo era tanto ovvio quanto azzeccato: "La Grande Truffa".

Le due gazzelle sfrecciavano tra gli appenini toscani, scavalcando colline illuminate di verde, sotto un cielo maculato di nuvole cotonate. Claudia poggiò il dossier sul sedile posteriore, sospirando pensierosa. Così è l'amore: cerchi un motivo razionale, una spiegazione logica, un sapore del carattere o una sfumatura della personalità, ma non trovi nulla. Non c'è motivo, nessuna legge, solamente fremito sulla pelle e dolcezza sciolta nel cuore. Se esistessero regole in amore, anche le macchine saprebbero amare.
Andrea era un bacchettone, ostinato e terribilmente imbranato, e quindi adorabile. Glielo diceva il fascicolo di cinquanta pagine, zeppe di riflessioni, dettagli e schede biografiche. Quell'uomo aveva sicuramente talento nel fare il punto, forse più di Colombo e Magellano messi assieme. Il fascicolo terminava con un brevissimo riassunto, ineccepibile come tutto il resto.

Indiziati sotto sequestro:

- Stefano Cocciante, detto "Elias", nato a Bologna nel 1973.
Trasferito nel Carcere Speciale di Bologna, reparto ospedaliero, il 18/06/1995.
Diagnosi: trauma cranico.
Prognosi: non prevedibile.

- Amedeo Andriancic, detto "Oleron", nato a Trieste nel 1966.
Trasferito nel Carcere Speciale di Trieste, centro rianimazione, il 20/06/1995.
Diagnosi: overdose da barbiturici.
Prognosi: una settimana.

Indiziati a piede libero:

- Giuliano Franzon, detto "Zagreus", nato a Chioggia nel 1955.
Evaso il 15/06/1995 tra Como e Cantù, durante il trasferimento nel Carcere Speciale di Milano.

- Paolo Levis, latitante dal 1992, nato a Piove di Sacco nel 1969.
Ultimo avvistamento: Piove di Sacco (PD) il 14/06/1995.
Note particolari: soggetto armato e altamente pericoloso.

Indiziati sotto sorveglianza:

- Michele Salvadori, nato a Pisa nel 1972, residente a Firenze.
Professione: vice presidente della Taunus Bank, agenzia di risparmio online fondata da Amedeo "Oleron" Andriancic nel 1993.

Salvadori era un arrampicatore sociale, questa l'idea che si era fatta Claudia leggendo il rapporto. Un uomo capace di vendere la mamma in leasing, ricomprarla con gli interessi e speculare sulle trattative commerciali, pagando le rate con un finanziamento a tasso zero.
I toscani che aveva conosciuto in passato erano molto diversi. Ospitali, semplici, gagliardi e giocosi. Gente che amava chiacchierare con gli amici sull'uscio, fumando il sigaro o sorseggiando un buon vinello. Michele Salvadori invece sembrava un avvoltoio assetato di denaro e carriera, un serpente in doppiopetto dalla lingua biforcuta.
Claudia riprese in mano il fascicolo. Nella fotografia Salvadori portava i capelli corti e un paio di occhiali rettangolari, con la montatura più larga delle lenti, forse per nascondere lo sguardo e salvaguardare la privacy. Naso aquilino, pelle abbronzata, occhi leggermente a mandorla. Poteva facilmente essere scambiato per un peruviano o un boliviano.
Le venne spontaneo pensare agli Etruschi, da qualche parte doveva pur essere finito il genoma del popolo misterioso. Certo che, osservando l'espressione beffarda di Salvadori, gli Etruschi sembravano ancora lì, furbamente mescolati all'uomo moderno, tra le colline fiorentine.
Claudia controllò la seconda gazzella, per accertarsi che non ci fossero sorprese, prima di voltare pagina. Il padre di Salvadori era un architetto, la madre francese, perciò Michele parlava due lingue sin da bambino. A scuola aveva imparato l'inglese, e, da qualche anno, era socio dell'accademia italiana di valorizzazione della cultura cinese. Sin da ragazzo era stato un leader indiscusso, il capo del gruppo, il riferimento del quartiere. Il fascicolo comprendeva persino le referenze della parrocchia (l'InterNom sapeva davvero tutto), allegando le note entusiaste dei capi scout e i verbali delle assemblee d'istituto scolastico.
Se c'è chi nasce pecora, Salvadori era nato cane pastore.
Da giovane aveva organizzato decine di feste, coordinato le cene di classe, smosso le compagnie e bruciato le tappe. Niente di strano se a vent'anni era già capogruppo vendite nel settore delle multiproprietà. Un anno dopo aveva mollato tutto per unirsi al progetto di Amedeo Andriancic: la Taunus Bank, la prima banca italiana su Internet. Salvadori ne aveva scalato la gerarchia più veloce di uno scoiattolo a caccia di ghiande, altrettanto goloso della ricompensa. Nel 1994 era entrato nel direttivo della banca, dopo nemmeno un anno dalla data di assunzione. Da pochi mesi era stato nominato vice presidente, perciò adesso era il padrone assoluto della compagnia. Questo non bastava a far scattare un accusa di omicidio intenzionale, ma era comunque un movente niente male.
Claudia lasciò perdere il fascicolo e guardò fuori dal finestrino, sciogliendosi nel ricordo dell'abbraccio di Andrea. Ridacchiò sottovoce, noncurante dell'occhiata perplessa che l'autista le rivolse attraverso lo specchietto. Lei era l'ispettore e loro erano gli agenti ai suoi ordini: poteva permettersi di sorridere quanto voleva. Poteva anche innamorarsi, se le andava. A trentasei anni non puoi aver paura, la vecchiaia è troppo vicina per lasciar spazio alle paranoie, bisogna buttarsi nella vita, gettarsi di petto, senza chiedersi quant'è profondo o quanto fa freddo. Meglio sbattere la testa su uno scoglio, che restare sulla barca, a guardare il mare da lontano.
Si sentiva saggia, oggi. Le sembrava di aver già sbagliato in passato, e non voleva più ripetere gli stessi errori. Che buffa sensazione! Era certa di aver sprecato l'amore, da giovane, ma non rammentava più quando. Era un ricordo antico, che sembrava risalire ad una vita precedente, un'altra realtà, lontana nel tempo e nello spazio. Ci aveva pensato spesso, negli ultimi giorni, meravigliandosene, ma ogni volta le pareva che un velo opaco le calasse davanti agli occhi, ottundendole la coscienza e cancellando ogni perplessità. Se quello era l'amore, quasi quasi preferiva restare zitella.

Salvadori abitava in una laterale di Viale Giovine Italia. Appena Claudia scese dalla macchina fu investita da una sferzata di aria bollente. Tante nuvole in cielo, ma neanche una brezza nella conca arsa dal sole, luccicante di acciaio e cemento. S'aggiustò la divisa, per non sudare troppo, poi impartì gli ordini: tre uomini in macchina, a mo' di antifurto umano, gli altri due con lei.
"Una chiacchierata, Claudia: dovrà sembrare una chiacchierata". Andriancic era stato ritrovato da poche ore, perciò c'era una vaga possibilità che Salvadori non sapesse ancora nulla, o che avrebbe finto di non sapere, che era lo stesso.
L'appartamento era al quarto piano di un enorme condominio, un po' datato ma orgoglioso di resistere al tempo. Davanti alla porta Claudia si fermò paralizzata. Dall'interno proveniva un rumore soffocato, simile al ronzio di uno stormo di mosche. Centinaia di mosche, forse migliaia. Il brusio andava e veniva, ritmico e inquietante, accompagnato da un sibilo periodico.
Claudia fece segno agli agenti, che reagirono disponendosi ai lati della porta, poi estrasse il distintivo, col pollice sul calcio della pistola.
Una chiacchierata, doveva sembrare una chiacchierata.
Din don.
Zoom. Zaam. Zooom zooom... zzz...
Il ronzio era cessato bruscamente.
- Chi è?
- Polizia. Siamo qui per farle qualche domanda. Può aprire?
La risposta arrivò dopo un paio di secondi.
- Certo. Un attimo solo, per cortesia.
Alla voce imbarazzata seguì un trambusto soffocato, rumori di mobili che si spostavano, sedie che strisciavano e oggetti non meglio identificati che cadevano sul pavimento. O almeno così sembrava. Se stava nascondendo delle prove, erano prove grandi e rumorose, possibile che l'enfant prodige della Taunus Bank fosse talmente idiota?
Finalmente la porta si aprì.
Sull'uscio apparve Michele Salvadori, praticamente identico alla fotografia del dossier, a parte alcune improbabili differenze. Indossava un pigiamino coi puffi, un paio di pantofole tigrate e aveva gli occhi lucidi di chi ha dormito troppo. Dietro di lui, buttati alla rinfusa dentro agli scatoloni, s'intravedevano dei rettangoli neri striati d'acciaio. Claudia riconobbe, a fatica, i pezzi di una pista polistil, smontati alla rinfusa. E non era l'unico giocattolo in vista, l'intero appartamento era un luna park in miniatura. Metà della scrivania era occupata da una gru telecomandata, che forse serviva a prendere le graffette senza alzarsi. Dal muro sporgeva una libreria piena di giochi in scatola, una cesta colma di palline da golf, un plastico per soldatini e un dado di proporzioni gigantesche. Le pareti erano ancora più strabilianti, tutto ciò che si poteva appendere era stato, giustamente, appeso: arco e frecce, uno scudo medievale, una spada di legno, un mappamondo gonfiabile, qualche maschera di carnevale. Dalla parte opposta, vicino all'ingresso, girava a tutta velocità l'elica bianca di un aeroplano. Claudia impiegò qualche secondo a vederci un ventilatore travestito, non è facile riconoscere un oggetto utile in mezzo ad una marea di giocattoli. E poi, qualsiasi altra persona intelligente avrebbe aperto le finestre, piuttosto che appendere eliche turbinanti alle pareti.

Polizia di Stato, documento agli atti: estratto dalla registrazione dell'interrogatorio "Meleri - Salvadori".
(selezione delle affermazioni più rilevanti, in ordine cronologico).

MELERI: Da quanto tempo conosce Amedeo Andriancic?
SALVADORI: Ho conosciuto Oleron durante una conferenza sul taoismo, tre anni fa. Indossava un frac nero, una camicia bianca a collo alto, stile primo ottocento, e un paio di occhiali tondi con la montatura in oro. Era impossibile non vederlo.
MELERI: Come mai lo chiamate "Oleron"?
SALVADORI: Ecco, non si dovrebbe dire, ma... beh insomma... da giovane era un po' bricconcello.
MELERI: Potrebbe essere più preciso?
SALVADORI: (imbarazzato) Era un hacker. Per fuggire alla noia, nel weekend, si attaccava alle prime reti, quelle private, prima di FidoNet; e quando buttava giù un server lasciava la firma: Oleron. Che sta per "No Reload", scritto al contrario.
MELERI: (pausa) Ma non si dovrebbe leggere "Daoleron"?
SALVADORI: Infatti: "da Oleron". Nome proprio, più preposizione semplice "da".

MELERI: Qual era il suo incarico precedente, nella Taunus Bank?
SALVADORI: Sales Director e Partners Manager.
MELERI: Faceva tutto da solo?
SALVADORI: No, avevo parecchi agenti commerciali, sotto di me.
MELERI: Parecchi quanti?
SALVADORI: L'ultima volta che gli ho contati erano seicento. Uno più uno meno.

SALVADORI: Questo è il prospetto assicurativo che offriamo ai potenziali clienti, come servizio opzionale. Nell'opuscolo sono elencate trenta diverse compagnie assicurative, così ognuno può scegliere la polizza che preferisce. Ce n'è per ogni portafoglio e ogni gusto.
MELERI: Ma perché vi siete messi a vendere assicurazioni sulla vita, invece di fare pubblicità alla vostra banca?
SALVADORI: Vede ispettore, si tratta di una formula innovativa: il cliente s'impegna a trasferire l'eventuale premio percepito presso la Taunus Bank, vincolandolo per tre anni. In cambio noi offriamo il nove per cento di interessi per tutto il periodo.
MELERI: E come fate a sostenere la spesa?
SALVADORI: (ride) Beh, tutti devono morire, prima o poi.

MELERI: Vediamo se ho capito: la Taunus Bank non ha costi di gestione perché esiste solo su Internet. La maggior parte dei "dipendenti" sono agenti commerciali, che vendono assicurazioni fornite dai vostri partners, e si intascano la provvigione per intero.
SALVADORI: Esatto. Si potrebbe dire che i partners ci pagano per assumere gli agenti commerciali, così possiamo permettercene a centinaia. La provvigione, concordata con la compagnia assicuratrice, va tutta al venditore. Più sei motivato, più vendi.

MELERI: Perché assicurate solamente chi possiede una patente?
SALVADORI: Perché è su quello che facciamo affidamento. In Italia muoiono circa settemila persone all'anno a causa degli incidenti stradali, pari ad una probabilità su mille di morire, nell'arco dei dodici mesi. Ci bastano ventimila assicurati per garantire venti decessi all'anno, pari a venti miliardi. E' statistico, semplicemente statistico. E noi, col vincolo dei tre anni sul premio depositato, campiamo con gli interessi.

MELERI: Quanti sono i dipendenti effettivi della Taunus Bank?
SALVADORI: Una decina di persone, una dozzina al massimo. Per lo più segretarie e personale amministrativo.
MELERI: Immagino che la fetta più grossa sia spartita tra molte meno persone.
SALVADORI: Immagina bene.

MELERI: Mi lasci indovinare: tutto il software della Taunus Bank è prodotto da Oleron.
SALVADORI: A costo zero, ovviamente.
MELERI: E lei si occupa di formare i venditori. Sempre a costo zero.
SALVADORI: Ovviamente.

MELERI: Una curiosità: qual è il segreto del suo successo?
SALVADORI: Adoro giocare.
MELERI: Come?
SALVADORI: Il gioco è alla base del successo. Il calcio è un gioco di squadra. La politica è un gioco sporco. Il matrimonio è un gioco di coppia. La vita è un gioco.
MELERI: Dice sul serio?
SALVADORI: Certo che sì! Quando giochi a Monopoli ti impegni, ti arrabbi, arrivi addirittura a litigare per un pezzetto di carta con sopra scritto "mille lire". Però quel pezzetto di carta ha valore solo per chi gioca, per il resto del mondo è cartaccia. E' come quando ti appassioni a uno sport, una telenovela, uno sceneggiato. Più lo segui, più assume valore. Se lo togli dal contesto, vedi solamente una dozzina di uomini in mutande che corrono dietro a un pallone. Vale lo stesso per il denaro, il successo e la carriera: hanno valore solo per chi ci crede.
MELERI: Però ci credono tutti.
SALVADORI: E' questo il punto! E' un gioco al quale partecipa mezzo mondo, ma rimane comunque un gioco, un grande gioco, se preferisce. Il denaro è solo una convenzione approvata su scala mondiale.
MELERI: E allora qual è il trucco?
SALVADORI: (arrogante) Quando hai capito che è una finzione è più facile buttarsi anima e corpo. Non c'è ansia, non c'è competizione, se perdi non succede nulla. Suvvia ispettore, lo sappiamo, non si muore di bancarotta, almeno non in Italia. Hai sempre una seconda possibilità, una terza, una quarta. Pulisci il tabellone, metti via le pedine, cancelli i debiti e fai un'altra partita.

MELERI: E' un suo antenato?
SALVADORI: Magari. Quello è Yang Lu Chan, detto l'Invincibile, uno dei più grandi maestri di Tai Ji Quan. Il ritratto originale è del 1868.
MELERI: Lei è un appassionato?
SALVADORI: Ho iniziato a risalire il Grande Fiume quand'ero un giovane giunco.
MELERI: Come?
SALVADORI: Pratico il Tai Ji Quan dall'età di sei anni.

MELERI: Come ha fatto Oleron a mettere in piedi la Taunus Bank?
SALVADORI: Un lascito improvviso. Due anni fa è morto un suo caro amico, non era sposato e non aveva parenti, così Oleron ha ereditato un paio di miliardi.
MELERI: Una bella cifra!
SALVADORI: Del tutto meritata, se permette.
MELERI: In che senso?
SALVADORI: Oleron era, anzi è, un genio. Molte persone avrebbero speso male quel denaro, forse avrebbero investito nel settore immobiliare, come fanno tutti. Il destino invece ha dato ad Oleron la possibilità di rendere concrete le sue idee geniali. Non è meraviglioso? Una questione di giustizia divina, direbbe lui.

MELERI: Avete una lista dei clienti ai quali avete venduto una polizza sulla vita?
SALVADORI: Certamente, mi lasci controllare. Ecco qui, vede, queste sono le copie cartacee dei nostri archivi informatici. Oleron mi prende sempre in giro, per questo.
MELERI: Per cosa?
SALVADORI: Preferisco sfogliare mille pagine piuttosto che accendere un computer.
MELERI: Son d'accordo con lei.
SALVADORI: Mi fa piacere... un attimo di pazienza. E' tutto qua dentro, vede? Nomi dei fornitori, concorrenti da tener d'occhio...
MELERI: Faccia con calma.
SALVADORI: Trovato! Allegato sette: "Lista dei clienti assicurati".
MELERI: Allegato sette?

SALVADORI: Conosco i miei diritti.
MELERI: Non la sto minacciando, signor Salvadori, vorrei solo dare un'occhiata a quella lista. E' nel suo interesse, non mi costringa a tornare con un mandato.
SALVADORI: Non posso, gliel'ho detto. E' in gioco la privacy dei miei clienti.
MELERI: Non voglio rubarle il mercato, abbia un po' di fiducia.
SALVADORI: Lei mi dia una buona ragione, e io le darò fiducia.
MELERI: Si rifiuta di collaborare?
SALVADORI: No, per carità. Chiedo soltanto spiegazioni, tutto qui.
MELERI: Quindi si rifiuta di collaborare.
SALVADORI: Le ho detto di no!
MELERI: Mi spiace, ma non vedo altra soluzione. Lei è in arresto per occultamento di prove, associazione a delinquere e tentato omicidio.

Non si diventa ispettori di Polizia gratis. Durante la "chiacchierata", che Claudia aveva registrato per intero, le erano tornate in mente le parole di Oleron, un po' alla volta, come tronchi liberati dal fango dopo un'alluvione.
... vi giuro sulla mia tomba che Salvadori è fuori da ogni gioco...
Sulla sua tomba? Il bastardo non era morto, e anche se lo fosse la sua tomba non valeva alcun giuramento, il giuramento di un'anima dannata è pura eresia, uno sberleffo alla verità. Qualsiasi cosa Oleron avesse detto, scritto o giurato era come la confessione di un serial killer a piede libero. Serviva solamente a depistare le indagini.
Una vipera come Salvadori fuori da ogni gioco? Ma se quello ci viveva dentro, al gioco!
Erano una banda di criminali, dal primo all'ultimo, e andavano arrestati tutti, uno per uno: Zagreus, Levis e Tristano, ammesso che esistesse. Claudia non poteva più credere a nulla ormai, nemmeno alla storia del burattinaio. Ma quale veggente! Non era una bambina lei, non si faceva incantare da sciocche superstizioni, aveva compreso la strategia di Oleron: spaventare, impressionare, suggestionare. Quando hai paura sei disposto a credere a tutto, anche alla magia, agli extraterrestri e alla vita eterna.
Avevano previsto ogni mossa? Bene, allora sapevano che lei avrebbe perso la pazienza. Basta con le regole, adesso si giocava sporco. Claudia aveva fatto trasferire Salvadori in Questura, per un interrogatorio formale, in modo da perquisire subito l'appartamento. Il mandato se lo sarebbe fatto firmare dopo. Fanculo le regole.
Incaricò un agente di stare di guardia nel corridoio, uno dietro alla porta, gli altri tre al loro posto in macchina, parcheggiata sotto le finestre del condominio. Poi aprì l'Allegato Sette ed iniziò a sfogliarne avidamente le pagine. Quanti erano? C'erano centinaia di nomi, a mo' di elenco telefonico, stampati in carattere minuscolo. Claudia valutò rapidamente le righe di ciascuna colonna: un centinaio, che moltiplicato per quattro colonne faceva quattrocento persone a facciata. Stimò un centinaio di pagine, forse qualcosina di più. Venivano fuori ottomila clienti in due anni, niente male per un'impresa messa su in quattro e quattr'otto.
Fu interrotta dallo squillo del telefono. Scambiò un'occhiata con l'agente davanti alla porta, poi allungò una mano sulla cornetta, sollevandola come se fosse di cristallo.
- Pronto?
- Claudia? Sono Andrea.
(sempre aggiornati, all'InterNom)
Fece un segno di distensione all'agente. Andrea continuò a parlare.
- Ho saputo che hai arrestato Salvadori. Ben fatto.
(aggiornati e veloci)
- Ho anche ascoltato la registrazione dell'interrogatorio. Molto interessante.
(più veloci della luce: l'hanno trasmessa via satellite?)
- Grazie. Hai chiamato solo per farmi i complimenti?
- No. Hai presente Artemio De Santis, la persona nominata da Andriancic nella lettera? Il nome mi suonava familiare, così ho controllato negli archivi e ho trovato una bomba: De Santis era un agente InterNom, un cadetto dell'Accademia Ufficiali della Scuola Tattica Superiore di Lecce. E' entrato in accademia nel settembre del 1992, poi, alla prima esercitazione, ha rubato alcuni documenti top secret e si è dato alla macchia.
- Insomma, vi ha fregato.
- Per un breve momento, sì. Tre ore dopo l'abbiamo rintracciato e risolto il problema.
- Risolto?
- Sì, risolto: recuperato il materiale e cancellato ogni traccia.
- Cosa intendi per cancellato?
- Beh, capisci non possiamo permetterci fughe di notizie. L'erba cattiva va estirpata prima che possa infestare il resto del prato.
- L'avete ucciso?
- Noi preferiamo il termine "cancellato", si adatta meglio alla realtà dei fatti.
Le ginocchia di Claudia ebbero un fremito di paura. Pensare che lei lo aveva addirittura sgridato, quella mattina, perché lui l'aveva ingannata. Non capiva se era viva perché Andrea si era invaghito di lei, o perché ormai il mondo intero sapeva dell'InterNom. Ci sono domande di cui è meglio ignorare la risposta.
- Non mi piace...
- E' acqua passata, Claudia, non guardiamo indietro, pensiamo al presente. Abbiamo un problema, adesso.
- E qual è?
- De Santis aveva rubato del materiale sperimentale, assieme ai documenti. E' stato recuperato tutto tranne una scatola di capsule soporifere, identiche a quella usata da Zagreus.
- Dio mio! Quante...
- Dodici, ce ne sono dodici in una scatola.
I pezzi del puzzle iniziavano a ricomporsi, finalmente. C'era una logica nella Grande Truffa, ben nascosta, ben travestita, ma non invisibile. Se De Santis e Oleron si conoscevano, allora De Santis aveva spifferato tutto sull'InterNom, e probabilmente Oleron aveva ricevuto le capsule prima che De Santis fosse "cancellato". Perciò c'erano ancora undici confetti nucleari, in giro, nucleari e soporiferi. Doveva stare attenta, molto attenta.

Dopo la telefonata di Andrea Claudia riprese in mano i tabulati della Taunus Bank. C'era una scheda dettagliata per ogni cliente, specialmente per chi aveva sottoscritto un'assicurazione sulla vita. Particolari strani, tipo il modello dell'automobile, l'indirizzo del meccanico di fiducia, le abitudini di tutti i giorni: dove faceva la spesa, a che ora usciva dal lavoro, le strade percorse più frequentemente. Salvadori difendeva la privacy dei suoi clienti come un pedofilo che slacciava le scarpine al bambino, prima di fotterselo. Il pensiero le fece accapponare la pelle, ma solo per un breve istante. L'idea di fare giustizia, rovesciando l'appartamento di Salvadori come un calzino, la tirò su di morale.
Iniziò dalla libreria, quella senza libri. Al loro posto c'era una collezione di giochi di società: Risiko, Monopoli, Manager, Dungeons & Dragons, dadi, carte da gioco, shangai, tre scacchiere e un domino. Claudia passò all'armadio del corridoio, sperando di trovare altro, invece nulla: solamente scatole sottili marcate "Simulation Games", accatastate l'una sull'altra. A giudicare dalle apparenze quella era la tana di Peter Pan, ma a guardare bene sembrava di sbirciare nel forziere di Capitan Uncino. Quando arrivò all'ultimo scaffale, passando davanti alla finestra, notò che la macchina della scorta sembrava parcheggiata nel tempo. Una brutta sensazione le pervase anima e corpo, facendole rizzare i peli degli avambracci. Era tutto a posto, terribilmente a posto, forse addirittura troppo a posto. Gli agenti stavano lì, immobili, perfettamente ligi alle consegne, talmente perfetti da non essere credibili. Nessuno si muoveva, là dentro. L'uomo al volante era appoggiato al finestrino, il capo leggermente chinato verso il basso, come se stesse leggendo. Tre secondi, cinque secondi, dieci secondi: non si era mosso nessuno. O qualcuno aveva premuto il tasto "fermo immagine", oppure gli uomini della sua scorta riposavano tra le braccia di Morfeo. Claudia prese la radio e parlò nel microfono.
- Mi ricevete? Sono Meleri: mi ricevete?
Nessuna risposta. L'addestramento e l'esperienza presero il sopravvento: scambiò di posto radio e pistola, poi si rivolse all'uomo di guardia, senza degnarlo di un'occhiata.
- Apri la porta. Usciamo.
Claudia rimase fissa sulla strada sottostante, immobile, con la canna della pistola poggiata sul vetro della finestra. Il silenzio era sceso nella stanza come un'ombra improvvisa, avvolgendola. Un tonfo sordo interruppe l'assenza ovattata di suoni e rumori, ma non era il suono di una porta che si apriva. Le bastò un'occhiata per capire cos'era successo: l'agente sull'uscio si era accasciato sul pavimento, privo di sensi.
Sono rimaste undici capsule soporifere.
La paura le svuotò il cervello, costringendola ad aggiornare i conti. Una capsula per la scorta, l'altra per entrare nell'appartamento, ne restavano nove. Si accorse di un lieve odore acre nell'aria, leggero e impalpabile. Appoggiò la pistola sul termosifone spento ed aprì la finestra con ambo le mani, nell'istante preciso in cui qualcuno infilava una chiave nella serratura.
Una chiave? Claudia ebbe appena il tempo di respirare una boccata d'aria fresca, a pieni polmoni, prima di svenire. E di pensare.

Quando riaprì gli occhi era stesa sul pavimento, ma non osò muoversi. C'era qualcuno nella stanza, poco lontano, che armeggiava dietro di lei. L'ombra si mosse, entrando nel suo campo visivo. Trench in pelle rasente al terreno, pantaloni neri attillati, stivali con fibbie d'acciaio alti fino al ginocchio, capelli scuri tagliati a spazzola e rasati ai lati: Paolo Levis che legava i piedi dell'agente svenuto. Il panico e l'adrenalina iniziarono a scorrerle impetuosi nelle vene, facendola quasi sobbalzare. Claudia era sdraiata prona, sopra un'enorme dragone giallo che decorava un tappeto orientale, pulito e piacevolmente profumato. Mosse appena le caviglie, senza farsi notare: erano libere, come i polsi; evidentemente era rimasta svenuta solo pochi istanti, la boccata d'aria pura doveva aver diluito gli effetti del gas.
Dunque Paolo Levis aveva commesso un errore! Adesso era lei a tenere il coltello dalla parte del manico, poteva saltargli addosso e prenderlo di sorpresa. Meglio ancora: poteva puntargli la pistola alla tempia e gonfiarli la faccia di pugni. Ma la pistola era rimasta sul termosifone. Calma Claudia, resta calma, hai la situazione in pugno. Levis sta legando il tuo collega, hai tutto il tempo di pensare alla mossa migliore, tanto il coglione non ti sta guardando, secondo lui sei bella che svenuta.
Levis distava un paio di metri, inginocchiato accanto all'altro poliziotto. C'era una macchia nera sul pavimento, ma era difficile capire cos'era, probabilmente si trattava di una pistola. Levis doveva averla avuta in mano, quand'era entrato nell'appartamento, poi l'aveva poggiata per stringere i nodi. Claudia stimò di trovarsi a meno di un metro dal termosifone dove aveva lasciato la sua pistola. Purtroppo non poteva esserne sicura, perché era caduta col viso rivolto verso l'ingresso. Brutta cosa la fede, se non hai un'altra scelta.
A quel punto lo sentì ghignare. Levis la stava guardando e sorrideva sarcastico. La tentazione di ruotare gli occhi fu enorme, riusciva a vederlo di striscio, ai margini del campo visivo. La paranoia le tolse il respiro, strangolandola con metodo, iniziando dalla gola e scendendo lentamente giù, fino alla bocca dello stomaco.
Paolo Levis l'aveva scoperta.
Il bastardo stava giocando a "io so che tu sai che io so". Capace che ci stesse pure provando gusto. Stava aspettando che lei si muovesse per prima, ne era sicura. D'improvviso lui alzò lo sguardo verso la finestra e Claudia ne approfittò per guardarlo meglio, senza muovere il viso di un millimetro. Sul volto del terrorista era apparsa un'espressione stupita e preoccupata: si era accorto della pistola sul termosifone.
Paolo Levis aveva commesso due errori: l'aveva lasciata sveglia e armata.
Non c'era tempo da perdere. Claudia scattò in piedi fulminea, drizzandosi sulle ginocchia con un colpo di reni, facendo leva sulla mano sinistra mentre la destra cercava disperata il contatto col termosifone. Fresco bianco sotto le dita, trovato! Impiegò meno un secondo per l'operazione, ma fu tutto inutile: la pistola non c'era più.
Paolo Levis non commette mai errori. Al massimo finge, per divertirsi.
Claudia era in piedi, spalle alla finestra, indecisa tra l'attaccare per prima, gridare aiuto o saltar giù dal quarto piano. Levis la guardava truce, con occhi di ghiaccio liquefatto nell'odio, studiando il campo di battaglia.
C'è un'enorme differenza tra la violenza e la cattiveria. La violenza ti spinge a digrignare i denti, alzare le mani e colpire alla cieca, caricando il colpo con rabbia. La cattiveria invece ti rende estremamente pericoloso. Con estrema calma Paolo Levis allungò una mano verso il tavolo, uno scheletro trasparente di vetro e acciaio, valutandolo come l'oggetto più cattivo a portata di mano. Claudia era pronta a lanciarsi sull'altra pistola, quella rimasta al centro dell'arena. Cosa voleva fare, il delinquente, afferrando una gamba del tavolo? Semplicemente sollevarlo, guizzando veloce come un serpente, e scagliarlo attraverso la stanza con tutta la cattiveria del mondo. Claudia avrebbe voluto pensare "non è possibile", "non è umano", ma non ne ebbe il tempo. Cadde al suolo priva di sensi, schiacciata dal peso del tavolo, esattamente dov'era svenuta prima.