Bandiera inglese Bandiera italiana

Capitolo 4 – Stefano Cocciante

Su con la vita! Prima o poi finisce


Passato prossimo: due settimane prima

Che lavoro di merda.
La lepre correva veloce nel mare verde bagnato di fresco. Lui le stava dietro a fatica, le scarpe fradice, di cui una slacciata, il retino in mano e un guantone di pelle sul braccio destro. Potevano dargli almeno una pistola, una a proiettili narcotizzanti.
Invece no. Giù per la discesa, oltre il fossato, bestemmiando contro le nuvole, c'era stato anche un flop alle sue spalle e non aveva dubbi: rumore tipico d'orologio nell'erba, dentro l'erba, perduto per sempre.
I Jefferson Airplane come colonna sonora, qualcosa tipo Have a Revolution o roba del genere. Mai stato bravo coi titoli lui, mai stato bravo con niente. Quindi rockeggiava con musica anonima nelle orecchie su e giù per le colline, dietro a una lepre grassoccia vestita di grigio. Perché Elias aveva il cuore tenero. Le tirava su da cucciole, le nutriva con amore, le faceva ingrassare affinché non riuscissero a correre troppo veloci, infine le portava sui colli bolognesi con walkman e cuffiette. Le cuffiette erano per lui, per le lepri c'era la tutina di lana.
Un pazzo? Sì, ma non perché vestiva lepri, quello era il suo lavoro corrente. Molto prima di iniziare a correre c'era stato un regolare colloquio d'assunzione, tre anni prima:
- E' qui per il posto d'allevamento faunistico a domicilio?
- Sì, buongiorno. Sono Stefano Cocciante.
- Prego, si accomodi. Caffè?
- No, grazie.
- Già preso?
- Non lo prendo mai, grazie.
A quel punto, di solito, molti lo guardavano sorpresi e chiedevano:
- Neanche la mattina?
- No.
Solamente alcuni passavano a dubbi di livello superiore:
- E cosa beve a colazione?
- Camomilla.
Ma quel giorno, invece di uno sguardo perplesso o divertito, Elias si era trovato davanti un tizio pallidissimo, vestito di nero da capo a piedi, con una risposta smagliante sulle labbra.
- Fan-tas-ti-co! Vedrà, questo lavoro le piacerà!
E allora su per la collina. Go ahead.
Il walkman sputò fuori un'altra canzone, a metà tra il blues e il folk, mentre Elias continuava a correre e la lepre guadagnava terreno. In tre anni non era mai riuscito a riprenderne una. La maggior parte delle volte facevano la fine prevista, ma quando Sua Signoria non si degnava di cenare la preda ne approfittava, giustamente, per svignarsela. Era già successo sei volte. Per fortuna siamo ai primi di giugno, si era detto, anche se scappa non dovrò sporcarmi per correrle dietro e non prenderò freddo. Invece aveva diluviato tutto il mese di maggio e lui era infangato fin dietro le orecchie.
Lasciò perdere e si fermò ansimante, le mani sulle ginocchia. Un tabellone immaginario lampeggiò nella sua testa: Lepri 7 - Stefano "Elias" Cocciante 0.
Pazienza, tanto fra una decina di giorni scadeva il contratto di lavoro: fine dei tre anni, una bella liquidazione e tanti saluti. Niente più gabbie e niente più animali per casa, Sua Signoria avrebbe preso il volo e lui avrebbe smesso di gareggiare con le lepri.


Tempo indeterminato: vita di Elias Cocciante (melodramma in tre puntate)

Prima puntata

Consacrazione dell'adolescenza al motto di Oscar Wilde: metti tutto il tuo genio nella vita e fanne un'opera d'arte, per il resto usa il talento. In nome di cotanto impegno Elias non si curava della felicità, piuttosto gli premeva che la vita fosse zeppa di esperienze. Per raggiungere l'obiettivo collezionava un fallimento dietro l'altro. Ex chitarrista dei Robaglia, complessino heavy-metal underground emergente. Ex attore dilettante, non era mai riuscito a recitare senza sbronzarsi prima dello spettacolo. Ex animatore di locali notturni, licenziato perché organizzava partite a nascondino fuori della discoteca, anziché dentro.
Non esiste altro modo di fare esperienze diverse, se non quello di passare rapidamente dall'una all'altra. La parola "fallimento" è soltanto il punto di vista di chi non è d'accordo.

Seconda puntata

Elias raggiunge la prima illuminazione e aderisce alla filosofia blues: uno pensa al povero negretto in catene che canta e balla sulla scala pentatonica, memorizza bene quel sorriso di gioia (nonostante la schiavitù), lo digerisce e metabolizza. Morale: divertiti più che puoi finché hai fiato e gambe, perché non dureranno per sempre, né le gambe, né il fiato.
In quel periodo Elias prende atto della maledizione che lo accompagna: gli oggetti si disfano nelle sue mani, letteralmente. Se compra un computer è difettoso, se cambia automobile lo truffano, se cammina in centro scivola su una buccia di banana. Si potrebbe parlare di "sfortuna" ma quella è una parola tabù, Elias sa benissimo che si tratta solamente di improbabilità. Lui è un catalizzatore di eventi che sfiorano l'impossibile, la sfortuna non c'entra nulla.
Magari vince alla lotteria, ma subito dopo perde il biglietto. Se viene arrestato è sempre per un caso di omonimia. Per motivi simili sulla mensola in camera sua luccica in bella mostra la statuina di un premio Oscar che ha ritirato per errore, durante una vacanza negli States.
Non era sfortuna, giammai. In qualche modo lui era immune alle legge dei grandi numeri, e quindi succube della casualità estrema.

Terza puntata

Seconda ed ultima illuminazione: la Meccanica Quantistica. Noi siamo fatti di carne, la carne è fatta di molecole, le molecole sono fatte di atomi, gli atomi sono fatti di particelle subnucleari. Quindi anche noi siamo aggregati di particelle quantistiche.
Per fare un albero, ci vuole il seme...
Cosa dice di bello la Quantomeccanica? C'è un concetto profondo e sconvolgente, che aveva fatto venire i capelli bianchi ad Einstein, e regalato un paio di dadi nuovi al Grande Vecchio: tutto va a puttane. Detto più scientificamente: tutto è casuale, non esiste causa o effetto, ma solo una certa probabilità per ogni evento.
Probabilità? Lui, Stefano Elias Cocciante, vittima degli eventi impossibili, scopriva che c'era una teoria fisica che si basava proprio su quello? Sul destino beffardo che lo prendeva in giro?
Detto fatto se l'era studiata, non aveva capito i dettagli, si era un po' perso negli spazi di Hilbert, ma alla fine ne era uscito vincitore. Adesso sapeva che se vai contromano in autostrada non è detto che farai un frontale: è soltanto molto probabile. La nostra volontà agisce sulla funzione d'onda, non sugli eventi, quelli spettano all'Onnipotente. Noi ci mettiamo là, diffusi tra mille opportunità, Lui lancia i dadi. Nient'altro che casualità, nessun motivo per questo, nessuna colpa per quello. Hai fatto un frontale? Riprova, sarai più fortunato.
Questa era la visione nichilista della Quantomeccanica, ma Elias ne aveva abbracciata un'altra: l'interpretazione (positivista) macro-determinista. Ossia: l'unica realtà che dipende da noi è la funzione d'onda? Benissimo, allora non resta che manipolarla come farebbe Michelangelo: con precisione ed amore.

Indicativo presente: 15 giugno 1995

C'erano tre cartelli all'incrocio: Como, Milano e Cantù. Il posto era quello giusto, l'Allegato Quattro diceva proprio così: bla bla (Sua Signoria), fermarsi all'incrocio, aspettare il furgone delle 11:50 e fingere che l'autovettura sia in panne.
Fingere?
La macchina era già morta due volte, quella mattina, Elias aveva forato appena uscito dal garage, la centralina GPL era in tilt da mesi, gli anabbaglianti sbadigliavano a singhiozzo e le frecce s'accendevano al contrario. Se svoltava a sinistra lampeggiava quella di destra, e viceversa. Per non pensare a quel che era successo due settimane prima. Dopo l'ultima gita Sua Signoria aveva fatto i capricci e c'erano volute tre ore prima di convincerla a tornare a casa. Elias era rimasto sotto l'albero a pregare in turco, spagnolo e copto, senza ottenere risultati. Alla fine gli era toccato arrampicarsi e improvvisarsi vigile del fuoco.
Ma quella era stata l'ultima volta.
La sera prima aveva gettato il contratto di lavoro tra le fiamme, con gran soddisfazione, ballando abbracciato alla bottiglia di tequila davanti al caminetto. Non a casa sua, ma in una baita presa in affitto per la Grande Truffa (così la chiamava Amedeo). Elias non si poteva permettere un caminetto vero, di solito s'accontentava di una lampada di Wood.
Abbassò il finestrino e respirò aria di montagna. C'era aroma di Svizzera da quelle parti, il confine era poco distante, come un cordone invisibile adagiato tra le montagne. La strada si stringeva all'incrocio, le istruzioni non specificavano il luogo esatto, ma il posto sembrava proprio quello descritto nel documento. Alberi dai rami bassi, penombra verde allungata sull'asfalto, nessuna abitazione in vista e traffico quasi inesistente.
Adesso doveva soltanto aprire il cofano e svitare la bobina, poi era fatta.

La strada era accesa di luce bianca, in discesa ancora di più, perciò gli occhiali da sole non erano un optional ma una necessità. L'agente al volante aveva inforcato un paio di rayban scuri, perso fra mille pensieri, e non aveva sentito la domanda del collega.
- Cos'hai detto?
- Che mi fa schifo. Già puzzava prima, adesso si è pure spogliato mezzo nudo.
- Avrà caldo. Cosa sta facendo?
- Si è rimesso a dormire sul pavimento.
- ?Sto tizio dorme tutto il tempo, mi chiedo come fa.
- E' un perditempo, è facile dormire per quelli come lui.
L'autista ponderò varie risposte. E' vero, i fannulloni di quel genere erano allenati a dormire. Alcuni imparavano da studenti, frequentando università dove ti alzavi a mezzogiorno, studiavi un paio d'ore e poi iniziavi a drogarti con tutto quello che ti capitava a tiro. Altri ce l'avevano nel sangue, un dono ereditato dai genitori benestanti, assieme a tutte le balle sull'impegno sociale, l'ecologia e le manifestazioni in piazza. Quelli come lui invece, figli di contadini con i campi in affitto, avevano altre abitudini: sveglia alle sei, mungere le vacche, a scuola in bicicletta e il pomeriggio sul trattore. Quelli come lui finivano in Polizia, nell'Esercito o in qualche altra arma speciale. Nel suo caso molto speciale.
I pensieri svanirono tutti assieme, all'unisono, scacciati da un campanellino d'allarme che iniziò a vibrargli nella testa. C'era un auto ferma all'incrocio, subito dopo la curva, che bloccava completamente il passaggio. Seguendo la procedura l'altro agente chiuse lo sportello scorrevole, oscurando la finestra a sbarre che dava sul prigioniero.
- Che succede?
- C'è un coglione in mezzo alla strada, guarda che roba. Dio, non ci posso credere: quello si è addormentato all'incrocio!
Il clacson echeggiò tra gli alberi maculati di verde scuro. Elias aprì gli occhi e si rizzò di scatto, andando a sbattere contro lo specchietto retrovisore, frantumandolo. Merda! Non aveva staccato la bobina, e adesso? Se la macchina si metteva in modo era la fine, tre anni di lavoro buttati nel cesso. Doveva fermare quel furgone almeno cinque minuti, così stava scritto nel contratto, e l'avrebbe fermato ad ogni costo.
Era arrivato il momento della sua specialità: improvvisare.
Tolse le chiavi dal cruscotto e se le ficcò in tasca, scendendo dall'auto. Il piano era semplice: aprire il cofano e spiegare che la macchina era in panne. Perché non avrebbero dovuto credergli? Nel caso peggiore sarebbe sceso un poliziotto, avrebbe dato un'occhiata al motore e detto qualcosa come "qui sembra tutto in ordine". A quel punto Elias poteva lanciare le chiavi tra i cespugli senza essere visto: aveva lavorato come prestigiatore in un night-club, qualche anno prima, far sparire un mazzo di chiavi davanti allo spettatore era un giochino da bambini, per lui.
Inoltre c'era la sua capacità di scatenare eventi improbabili, come ultima risorsa, ma davvero ultima: non era in grado di prevedere cosa sarebbe potuto accadere. L'idea che la vettura si potesse incendiare per combustione spontanea lo fece rabbrividire. Quante probabilità c'erano?
- Rimanga dov'è, appoggi le mani sul tetto e non faccia alcun movimento.
Piano saltato: quelli facevano sul serio.
Dentro il blindato l'autista aveva preso il comando della situazione. Staccò il dito dal microfono rivolgendosi al collega accanto a lui.
- Ho visto troppi film d'azione per farmi fregare come un babbeo, la cosa mi puzza. Mi puzza assai. Per nessun motivo scendiamo da qui, ok?
- E che facciamo?
Davanti a loro Elias gesticolava senza staccare le mani dalla carrozzeria, comunicando alla meno peggio con i pollici. Aveva una faccia talmente abbattuta che si vedeva lontano un miglio qual era il problema. La risposta risuonò attraverso dagli altoparlanti dell'autoblindo.
- Questo è un trasporto speciale, mi spiace, non possiamo aiutarla. Spinga la macchina a margine della strada - attimo di pausa umanitaria - le farò mandare un carro attrezzi.
Era fottuto, letteralmente fottuto. Chinò la testa sconfitto, disperato, rassegnandosi al peggio. Doveva bucare le gomme, ecco cosa avrebbe dovuto fare, altro che svitare la bobina! Anni e anni di koan zen, I Ching, inneggiamenti al carpe diem, e poi eccolo lì, a cascarci come un dilettante. E' la storia del confine tra pratica e teoria: un setto di cartilagine trasparente, ma alto e invalicabile come un muro di gomma.
Ascolta quel che predico senza badare a come razzolo.
L'universo gli aveva mandato messaggi chiarissimi, quella mattina, ma Elias non gli aveva decifrati. Si era lamentato, invece di cogliere il nesso: aveva forato una gomma? Bene, perciò era senza ruota di scorta: quale scusa migliore per bloccare l'incrocio? Ma il suggerimento cosmico s'era inceppato, incastrato tra le sinapsi pessimiste della vittima sepolta in lui, rapito dal suono lamentoso della parola "imprevisto".
In oriente il termine "problema" è tradotto come "opportunità".
Quindi era un idiota, un completo imbecille, e adesso si meritava quella punizione. In piedi con le mani appoggiate sul tettuccio bollente, le gambe divaricate, sotto un sole giallo itterizia e la fronte grondante di sudore e sangue.
Sangue?
Doveva aver sbattuto davvero forte quando s'era svegliato, per sanguinare dalle tempie. Effettivamente gli girava anche un po' la testa, aveva quella nausea di mal di mare misto a sonnolenza che lui non poteva riconoscere, almeno non ancora. Forse stava per ricevere un'altra illuminazione mistica, avrebbe compreso i misteri del continuum spazio-temporale ed imparato a padroneggiare le leggi del Fato. Molti supereroi nascono a quel modo: un ragno radioattivo, una tempesta cosmica, una botta in testa.
Invece svenne.

Erano uomini dell'InterNom, non poliziotti qualsiasi, e reagirono come da addestramento.
La vedetta sul tetto caricò la mitragliatrice e tolse la sicura, guardandosi attorno come un radar assetato di rumori. Contemporaneamente azionò il visore speciale e scandagliò la zona centimetro per centimetro: suoni, ombre, fonti di calore.
Per sua sfortuna non pensò di guardare verso l'alto.
- Nessuno in vista, zona pulita.
Il diverbio sul sedile anteriore fu brevissimo.
- Perché io?
- Perché io faccio il carrista, lui l'artigliere, tu il fante. Oggi gira così.
A quel punto si mossero. L'autista sistemò il piede sull'acceleratore, scaricando il nervosismo represso nei cilindri e sistemando il fucile accanto al volante. Il terzo uomo s'infilò l'elmetto e strinse le cinghie del giubbotto antiproiettile, poi appoggiò lo scarpone sull'asfalto come se stesse sbarcando sulla Luna, la pistola ben serrata tra le mani. Iniziò ad avanzare verso il corpo steso a terra, tenendolo sotto tiro. La radio come un cordone ombelicale.
- Sono a cinque metri, non si muove. Due metri. Contatto.
Scandagliò Elias con una specie di calcolatrice tascabile, che ovviamente era tutt'altro. Gli agenti dell'InterNom non ti compilano la dichiarazione dei redditi, quando ti arrestano.
- Cristo, questo è svenuto davvero! Che faccio?
Dentro il blindato, l'unico posto all'ombra dell'incrocio, l'autista era più calmo e concentrato. Se il Tenente Cerulli aveva detto "state attenti" c'era un motivo, il passeggero poteva essere pericoloso. Dovevano procedere coi piedi di piombo.
- Spostalo lungo il bordo, ma senza toccarlo.
- E come faccio?
- Prendilo a calci. Non ti chinare su di lui per nessun motivo.
Silenzio radio per un paio di secondi. Faceva caldo sotto quell'elmetto.
- Ma questo sanguina. E' ferito alla fronte.
Nessuna pietà per i dormienti, così insegnavano alla Scuola Tattica Superiore.
- Usa i piedi e fallo rotolare. E' un ordine.
Il fante in prima linea avrebbe voluto ribattere, far osservare che erano tutti pari grado e nessuno aveva l'autorità per dare ordini, almeno fra loro. Però faceva un caldo boia, lui era nervoso e voleva tornare il prima possibile al sicuro dietro il vetro antiproiettile. Ingoiò le fisime che lo torturavano e puntellò lo scarpone sotto il fianco di Elias, rovesciandolo su se stesso. C'era un sorriso stampato sul viso spento, un sorriso beffardo che lo fece trasalire.
- Problemi?
- No... è che... questo sorride!
- E allora? Procedi! Forse gli piace essere preso a calci.
Il rituale si ripeté un paio di volte. Perno sul piede, colpo di reni, rotazione del corpo inerme sull'asfalto incandescente. Infine il fante improvvisato spinse la macchina da parte, usando una mano sola per non togliere il dito dal grilletto, senza perdere di vista la sagoma di Elias.
- Via libera. Hai copiato la targa?
- Affermativo. Un carro attrezzi sarà qui presto.
- ...
- Con un'ambulanza al seguito, non ti agitare e risali a bordo.
L'uomo indietreggiò lentamente, tenendo Elias ben dentro il mirino, fin quando sentì il conforto dello sportello metallico sulla schiena. Cinque secondi dopo era seduto al suo posto e stava già slacciandosi la cinghia dell'elmetto. L'autista azionò l'interfono.
- Qui abbiamo risolto. Novità?
Nelle cuffie solo il ronzio annoiato del rumore bianco.
- Torretta mi ricevi? Torretta?
Evidentemente no.
Aprirono immediatamente l'oblò che dava sul prigioniero: non era fuggito, almeno non letteralmente. Il guaio era decidere chi non fosse fuggito, perché la cosa la dentro non assomigliava nemmeno lontanamente ad una figura umana.
- Cos'è quello?
Si guardarono spaventati. Erano agenti InterNom, addestrati a situazioni del genere, ed era esattamente per questo che erano preoccupati: era una situazione del genere. Dove prima c'era Giuliano Franzon, seminudo e addormentato sul pavimento, adesso saltellava un'ombra nera. Le lampadine interne si erano spente, l'interno del cellulare era un'enorme macchia d'inchiostro e la sagoma scura, nera su nero, poteva essere qualsiasi cosa: una scimmia, un cane, un cucciolo di canguro. Probabilmente nessuno dei tre.
L'autista imprecò contro il pannello dell'illuminazione interna. Niente da fare, era saltato anche l'impianto d'emergenza. Cosa insegnavano alla Scuola Tattica Superiore, in questi casi? Avevano perso il contatto radio con la squadra d'artiglieria, la fanteria era allo sbando in attesa di istruzioni e le truppe meccanizzate brancolavano nel buio, incapaci di prendere una decisione. Tre uomini persi come una divisione di alpini durante la ritirata dalla Russia. A volte è meglio sbagliare in fretta, piuttosto che esitare e perdere l'occasione per agire.
Come a ribadire il concetto una spia rossa iniziò a lampeggiare frenetica davanti a loro. Si guardarono con un'espressione inesplicabile dipinta sul volto. Più che esterrefatti, più che increduli, più che sbalorditi: si era accesa la spia dell'allarme nucleare. Quando una luce s'illumina sul cruscotto dice sempre due cose: primo, io funziono, almeno come lampadina. Secondo: sta a voi decidere se dico la verità o se racconto balle.
- Si fotta chi sta in torretta. Scendiamo e apriamo lo sportello, pronti a sparare.
Rotolarono giù dall'autoblindo come nei film di guerra: capriola sull'asfalto e spazzolata rapida della zona, fucili perfettamente paralleli al suolo, visori all'infrarossi accesi, l'eco di un bip bip nell'elmetto.
- Lato sinistro: clear.
- Lato destro: clear.
Senza muoversi dal posto l'autista-meccanizzato scandagliò il corpo svenuto di Elias con la solita finta calcolatrice, per rilevare il battito cardiaco e interpolare la forma d'onda del cervello. Onde alfa di bassa frequenza, meno di sessanta battiti al minuto, quello dormiva alla grande. Contemporaneamente l'agente-fanteria controllò che sotto il blindato non ci fosse un regalo di natale fuori stagione.
- Soggetto svenuto: clear.
- Carrozzeria esterna: clear.
Rendez-vous davanti allo sportello posteriore. La squadra meccanizzata, sebbene provvisoriamente composta da un solo elemento, si piazzò a cinque metri di distanza, pronta a sparare contro qualsiasi cosa ci fosse là dentro. La fanteria si avvicinò allo sportello, fissò un'estremità del gancio di sicurezza alla maniglia, l'altra alla cintura, poi guardò il compagno.
- Vai.
Il fante si tuffò di lato, tenendo lo sportello sotto tiro. Lo strappo del corpo in caduta tirò la cinghia e lo sportello s'aprì con uno schianto sordo. Qualsiasi cosa fosse rimasta là dentro era praticamente già morta. Ma nulla si mosse all'interno del blindato.
Ci volò semplicemente sopra.
Non c'erano eventualità di quel tipo nell'addestramemento InterNom. Per una manciata di secondi rimasero entrambi a bocca aperta, rapiti dal battito possente delle ali, guardando il magnifico esemplare di aquila reale volare via. Era troppo anche per loro: il rapace era uscito con un solo balzo, aveva allargato le ali oscurando il cielo, poi si era librato sopra l'asfalto bollente sfruttando la vicinanza del suolo per aumentare la portanza.
Ma erano agenti InterNom e sapevano come reagire anche quando colti di sorpresa.
Continuarono a sparare finché finirono le munizioni.

Elias aprì gli occhi alla prima scarica. Sopra di lui il cielo era punteggiato di candide nuvolette, troppo poche per far ombra e soprattutto troppo piccole per un temporale. Non c'erano fulmini, non pioveva e l'aria era immobile, neppure un alito di vento. Mai visto un acquazzone estivo tanto strambo.
A quel punto comprese che erano spari, non tuoni.
Si alzò in piedi con la testa dolorante, tastandosi la fronte: il rigagnolo di sangue era fresco, la coagulazione è un'impresa che richiede tempo, e lui era rimasto svenuto solo un paio di minuti. Appena guardò verso il furgone ricordò ogni cosa. Del resto era impossibile non ricordare, c'erano due soldati in mimetica in mezzo alla strada, una ventina di metri più in là, che gli davano le spalle sparando all'impazzata in tutt'altra direzione.
La curiosità tentò di prendere il sopravvento ma si arrese subito. Sapere a chi stessero sparando non era poi così importante, almeno finché non era lui il bersaglio, e non aveva alcuna intenzione di diventarlo. Mettere in moto l'auto era fuori discussione, quella carriola non sarebbe mai partita al primo colpo. Non restava che mettersi a correre nel bosco.
Dopo i primi cento metri iniziò a ridere. La filosofia blues andava applicata in ogni frangente, altrimenti restava una teoria sterile: la vita è una lotteria dove non vinci mai e smetti di comprare i biglietti. Poi, dopo molti anni, scopri che lo scopo del gioco non era vincere, ma far girare le palle e dare i numeri. I tre anni spesi a inseguire lepri stavano dando i primi frutti, Elias correva che era un piacere; se glielo avessero detto non ci avrebbe mai creduto: "questo lavoro ti salverà la vita".
Continuò a spron battuto per mezzo chilometro, gli girava un po' la testa ma non era nulla, niente in confronto alla paura di essere preso. E continuava a ridere. Rideva perché la macchina non era intestata a nome suo, perciò non sarebbero mai risaliti a lui. Forse avevano un identikit, ma come avrebbero potuto trovarlo? Elias era incensurato, uno dei tanti abitanti della città più popolare d'Italia, nel senso letterale del termine. Sarebbe tornato a Bologna in treno, tranquillo come un fachiro fra due guanciali. Presto avrebbe incassato l'assegno, pagato i debiti e dato una svolta alla sua vita. Aveva seguito le istruzioni alla lettera, il lavoro era finito, poteva finalmente cestinare la copia dell'Allegato Quattro che teneva in tasca.
Smise di ridere e si fermò pietrificato: si era scordato di dimenticare il documento in macchina. Soltanto a lui poteva succedere una cosa simile, adesso rischiava di non essere pagato. Per l'ultima clausola del contratto, un dettaglio insignificante, un'inezia rispetto a quello che aveva passato dal giorno che era venuto al mondo. Perché gli eventi lo perseguitavano? Perché le cose non giravano mai come avrebbero dovuto. Perché?
Si concesse una lacrimuccia soffocata, poi fece spallucce rassegnato: non era sfortuna, se l'era detto e ridetto, si trattava solamente di alterazione delle probabilità. Sarebbe successo qualcosa di bizzarro, un fatto non previsto che avrebbe risolto il problema. Bisogna avere fede soprattutto nei momenti difficili, ad essere ottimisti quando le cose vanno bene son capaci tutti.
Riempì i polmoni d'ossigeno e riprese a correre verso valle.
Qualcosa dietro di lui fece flop.

C'era una donna nello specchio, ma non era lei. Claudia aveva trentasei anni, non quaranta, i capelli bianchi li aveva ereditati dalla madre, e le rughe che correvano sul volto lo facevano solamente per sport, con sobria allegria. Doveva perdere qualche chilo, trascurarsi un po' meno e ritrovare la fiducia. Non ci si può arrendere a trentasei anni, il mondo era pieno di uomini, intelligenti e premurosi: prima o poi avrebbe trovato quello giusto.
Sorridere, il trucco era sorridere sempre, anche senza motivo. In macchina al volante, davanti allo specchio del bagno, persino nella toilette di un'agenzia corporativa senza nome e senza faccia. Sorridere fa bene allo spirito e ringiovanisce l'espressione del viso.
Controllò le ciglia un'ultima volta, con due occhi come i suoi un battito di ciglia poteva far piovere spasimanti dal cielo. Comunque quel giorno non ce ne sarebbe stato bisogno, era venuta a Milano per lavoro, non per un appuntamento galante.
Uscì dal bagno delle donne e si ritrovò nel corridoio dell'Enterprise. L'edificio dove lavorava Cerulli era un comunissimo palazzo semitrasparente, visto da fuori, ma dentro era tutta un'altra cosa. Luci al neon blu elettrico, pareti smaltate di bianco metallizzato, cavi e tubi che correvano da ogni parte. L'aspetto più inquietante erano le persone che aveva incrociato finora: tutte vestite uguali, uomini e donne, collezione Cerulli primavera-estate. Scarpe nere tirate a lucido, completo scuro elegante, camicia bianca e cravatta nera. Sempre impettiti, freddi come marmo e rigidi come automi.
Quando lesse la targhetta "Ten. A. Cerulli" trovò due motivi per tirare un sospiro di sollievo. Primo, Andrea non era un comune agente e adesso ne aveva la prova. Secondo, quell'uomo era un automa come gli altri, ma almeno era un volto familiare.
- Avanti.
L'ufficio era arredato in perfetta sintonia col resto dell'edificio, a parte una buffa radio a valvole anni cinquanta, una sorta di residuato bellico in confronto alla mobilia circostante.
- Ispettore Meleri, lieto di rivederla! Prego, si accomodi.
Claudia non si accomodò. Si era studiata la parte e l'aveva ripetuta parecchie volte, calcolando ogni parola, incluse le pause. Avanzò verso la scrivania, piantò i palmi aperti sul tavolo e inchiodò gli occhi in quelli dell'uomo che la scrutava fingendo un decente imbarazzo.
- Io so.
- Cosa?
- Bando alle ciance, so tutto. C'era un motivo per quel trasporto blindato, prima sospettavo soltanto, non volevo crederci, ma dopo l'evasione ho aperto gli occhi. Ho capito che la "realtà" che abbiamo davanti è un'illusione.
Strinse appena le dita sul legno, facendo scorrere i polpastrelli, poi riprese sottovoce.
- So che esistono altre realtà, altri mondi, là fuori. Mondi in cui agiscono elementi sovversivi che minacciano l'ordine costituito.
Si chinò ancor di più sulla scrivania, arrivando a pochi centimetri da Cerulli. Quella era la frase che aveva ripetuto più volte, la ciliegina sulla torta.
- La magia esiste, ed io voglio combatterla assieme a voi.
Andrea rispose con un lungo silenzio. Per qualche istante Claudia s'illuse di aver fatto colpo, di aver centrato il bersaglio. Lui si sarebbe sbottonato e le avrebbe detto ogni cosa.
Invece, il finto Agente Speciale lasciò sfuggire una risata garrula, che mal si intonava a quel volto maturo e arcigno.
- La magia non esiste, ispettore!
Duro come il cemento, quel tipo era peggio di un muro di gomma ignifugo. Claudia ponderò se insistere, sbattere il pugno sul tavolo e portare il bluff fino in fondo. Ma Andrea l'anticipò porgendole una patente di guida piuttosto malconcia. Appena aprì il documento Claudia ebbe un tuffo al cuore. C'era la fotografia del suo idolo, aveva visto tutti i suoi film, si era persa soltanto la premiazione agli Oscar, quando aveva ricevuto per la prima volta l'agognata statuetta.
- Ma questo è...
- Stefano Cocciante. Ci assomiglia molto, ma non è Jack Nicholson.
Effettivamente c'era quel nome sotto la fototessera. La somiglianza era spaventosa.
- E cosa c'entra ?sto tizio?
- Si sieda, ispettore. Ho parecchie novità.
Ecco, l'aveva fregata un'altra volta. Andrea guidava il gioco da quando si erano conosciuti, in lei stava nascendo l'opprimente sensazione di essere stata presa in giro da sempre, anche quando lui si era scusato malamente per una serie di gaffes maschiliste. Andrea iniziò la sua arringa serio e compito, come un vecchio professore innamorato della cattedra e del potere.
- Giuliano Franzon è scomparso tra le 12:20 e le 12:25 del quindici giugno, mentre il blindato era fermo all'incrocio a causa di un'autovettura che bloccava il passaggio. I miei uomini sono scesi per controllare, hanno aperto il portellone e crivellato senza motivo uno splendido esemplare di aquila reale. Fin qui sapeva già tutto, nevvero?
Claudia annuì, per niente rassicurata dal tono della domanda.
- Allorché son tornato in elicottero presso l'incrocio, ho perquisito personalmente la zona e ho trovato questo.
Cerulli lanciò sul tavolo un laccio di cuoio robusto, lungo circa mezzo metro. Claudia lo rigirò tra le dita, notando che c'erano incise due lettere: S.S.
- Di che si tratta?
- E' uno di quei cordini utilizzati per legare gli uccelli rapaci, un'estremità si fissa alla zampa dell'animale, l'altra a qualche solido appiglio. Provi a indovinare dov'era legato?
- Non faccia indovinelli idioti.
Andrea accusò il colpo, ma solamente a causa del termine "idioti".
- Era fissato sul ramo sporgente di un albero, un ramo che con molta probabilità si trovava esattamente sopra la torretta dell'autoblindo, alle 12:20 di ieri.
Si guardarono carichi di aspettative per un paio di secondi.
"Adesso lei capirà sicuramente tutto".
"Adesso lui mi dirà il resto".
Andrea sospirò deluso, poi riprese a parlare con voce monotona.
- Riepiloghiamo i fatti. L'agente in torretta è stato trovato addormentato, le analisi del sangue hanno evidenziato la presenza di una sostanza soporifera assimilata per via respiratoria. Inoltre il rapporto cita un allarme nucleare scattato durante l'evasione di Franzon. All'inizio ho pensato a un malfunzionamento del sistema di sicurezza, poi mi son detto "è sempre meglio controllare". Così ho misurato la radioattività residua all'interno e all'esterno del blindato, e indovini un po' cos'ho trovato?
Gli occhi di Claudia improvvisarono un balletto spazientito, come danzatori dervisci disturbati dagli applausi del pubblico. Ma non c'era pubblico nell'ufficio e lei non aveva tempo per altri indovinelli. Mosse appena le labbra, contrariata, sperando che Cerulli andasse avanti e la piantasse di giocherellare con le frasi ad effetto. Per fortuna lui capì.
- Esito positivo, la torretta pullulava di neutroni ad alta energia, particelle alfa e tante altre simpatiche cosette.
- Quindi?
- Credo che Franzon abbia usato uno di questi.
Andrea estrasse dal cassetto della scrivania una scatola di acciaio e l'aprì. All'interno, invitanti come cioccolatini, luccicavano ordinatamente una dozzina di proiettili cilindrici. Osservando meglio Claudia s'accorse che non erano proiettili, assomigliavano più a capsule metalliche, una specie di ammortizzatori in miniatura, ma senza le molle.
- Roba speciale, gingilli ad alta tecnologia. Giocattoli che abbiamo solo noi e alcuni reparti dell'esercito.
Ne prese uno tra le dita e indicò un microscopico forellino posto ad una estremità, quella dipinta di rosso. Il lato opposto era colorato di un verde brillante.
- Servono a mettere fuori combattimento chiunque si arrocchi all'interno di un edificio, dietro una parete et similia. Funzionano così: si appoggia il lato rosso della capsula contro il muro, poi si preme con forza sull'altra estremità, quella verde, in modo da comprimere lo stantuffo che funge da interruttore e attivare la cella di fissione.
Oddio, aveva detto "fissione"? I ballerini dervisci svennero, raggiunsero il Nirvana ed uscirono dalla Ruota del Samsara. Cerulli colse lo sguardo disorientato di Claudia e confermò.
- Fissione nucleare. C'è un minuscolo reattore all'interno della capsula, a confinamento magnetico, frutto di ricerche di micro ingegneria, un nostro brevetto. Non si preoccupi, non è una bomba. Il reattore serve soltanto a fornire l'energia necessaria per l'emettitore laser. Il raggio esce da qui - Andrea indicò il forellino sulla facciata rossa - per un brevissimo istante, qualche centesimo di secondo. Il tempo di bucare la parete, oppure una lastra d'acciaio. Dopodiché il temporizzatore interno dirotta l'ultimo rimasuglio di energia sulla pompa ad aria compressa, collegata alla tossina contenuta nel serbatoio superiore, ad alta pressione, e la proietta all'interno del foro praticato dal laser. La tossina reagisce con l'ossigeno presente nell'aria, producendo una nube che addormenta le vittime in un paio di secondi. E' stato progettato per essere usato anche all'aperto, il gas soporifero mette fuori combattimento chiunque si trovi a meno di cinque metri dalla sorgente.
L'ispettore Meleri abbassò lo sguardo, mordicchiandosi le labbra senza darlo a vedere. Era difficile ammetterlo, ma avrebbe accettato molto meglio la storia della magia.
- Mi sta dicendo che Franzon avrebbe usato uno di quei cosi per fuggire?
Andrea unì i polpastrelli sorridendo arrogante. Evidentemente la poliziotta continuava a non capire, oppure non voleva. Dopo un attimo di esitazione Andrea prese carta e penna, si allungò sul tavolo, affinché Claudia potesse leggere, e iniziò a scrivere.
- Ore 12:20. Il blindato si ferma. Franzon è già seminudo. Appena lo sportello che lo separa dal vano dell'autista si chiude, Franzon estrae la capsula e la conficca contro il soffitto. Ho già verificato, c'è un foro praticato attraverso la botola interna del blindato.
La penna continuò a tracciare la scaletta con calligrafia terribilmente ordinata.
- Ore 12:21. Franzon si spoglia nudo e apre la botola della torretta. E' ovvio che era aperta, mi lasci continuare! Alle 12:22 Franzon sguscia accanto all'uomo addormentato. La torretta è stretta e difficilmente ci passano due uomini, ma una persona magra può farcela, specialmente se ben lubrificata. Per questo Franzon si era steso sul fondo del blindato, per rotolarsi nel grasso. Gli interni sono spesso un po' trascurati, sa com'è: siamo militari, spartani per definizione.
Ore 12:23. Mentre l'uomo sceso a terra sposta la macchina in panne, Franzon afferra l'aquila, che qualcuno aveva legato al ramo dell'albero, probabilmente narcotizzata, e la ficca nel cellulare. Infine richiude la botola e sparisce fra le fronde.
Claudia riordinò i pensieri aggrovigliati. Ammesso che esistessero celle a fissione nucleare lillipuziane e che ci fosse pure un serbatoio "interno" in quel gingillo, poco più lungo di un ditale, la spiegazione poteva anche stare in piedi. Inoltre c'era il laccio di pelle trovato sull'albero, che, antipaticamente, dava ragione all'ometto coi baffi.
Ma c'erano almeno tre punti che non le tornavano.
- Facciamo così: io prenderò in considerazione questa versione dei fatti, anche se mi suona un tantino fantascientifica. In cambio lei risponde a tre domandine, questioni che non potrei risolvere da sola.
- Sentiamo.
- Primo: com'ha fatto Franzon ad aprire le botola che conduceva alla torretta?
Andrea raccolse di nuovo la capsula, che aveva poggiato sul tavolo, facendola luccicare tra le dita, prima di riporla con cura maniacale nella scatola.
- Questo è un prototipo, in fase sperimentale da anni. Il difetto principale sta nel campo di confinamento magnetico. Per evitare fughe di gas verso l'utilizzatore usiamo la pompa ad aria compressa, creando una cintura di vuoto lungo il perimetro, così che la capsula aderisca perfettamente alla parete. Ma non siamo ancora riusciti ad evitare che il nostro uomo venga comunque irraggiato da una radiazione altamente cancerogena.
Chiuse la scatola di cioccolatini soporiferi e la ripose nel cassetto.
- Deve sapere che il blindato è predisposto ad operare anche nell'eventualità di un attacco batteriologico, chimico o nucleare. In quest'ultimo caso l'equipaggio può rifugiarsi all'interno del cellulare, che è schermato dalle radiazioni quanto un bunker antiatomico. Attivando la capsula Franzon ha fatto scattare l'allarme nucleare, e di conseguenza il sistema di sicurezza ha sbloccato la serratura della botola, per permettere a chi stava in torretta di rifugiarsi all'interno.
Fece una breve pausa, arricciando le labbra in una smorfia disgustata. Descrivere passo passo il modo in cui era stato gabbato gli richiedeva un grande sforzo.
- Ritengo che Franzon sapesse tutto ciò - continuò - deve essere stato Paolo Levis a organizzare il piano, conosce i sistemi di sicurezza a menadito, specialmente i nostri, quindi faceva affidamento sull'esistenza di un meccanismo del genere. Ho risposto alla sua prima domanda?
- Sì, grazie - Claudia si mise più comoda sulla sedia, poi continuò - Seconda questione: come mai Franzon possedeva una di quelle capsule? Ammesso che l'abbia rubata, comprata al mercato nero o ottenuta da Levis, posso assicurarle che è stato rovesciato come un calzino, dopo l'arresto. Comprese le radiografie allo stomaco.
Non c'erano limiti alla capacità di esprimere disgusto da parte Cerulli, poteva trasmettere il ribrezzo a pelle, per via empatica. Si vedeva lontano un miglio che quello che si apprestava a dire gli pesava da morire.
- Semplice: c'è un complice infiltrato tra noi. Un basista.
Claudia si grattò la nuca preoccupata: Cerulli aveva ragione, qualcuno doveva aver avvicinato Franzon in carcere, prima del trasporto, per consegnargli la capsula. Una brutta questione, ma la bruttezza deve venire a galla per essere estirpata, sotterrarla non serve mai a nulla, a parte ingannare se stessi per confortarsi nel tepore della menzogna.
- Ultima domanda. Se l'aquila reale è soltanto una messa in scena, un trucco da prestigiatori, allora perché lei ha parlato di stregoneria, ieri mattina a Como?
Andrea riprese la penna tra le dita, tamburellando nervosamente sulla scrivania. Quando finisce il tempo delle bugie arriva il momento delle mezze verità: si può essere del tutto sinceri, senza dire nulla di compromettente, basta usare le parole giuste.
- La magia non esiste, è vero, ma ci sono individui che non l'hanno ancora capito, o che non vogliono capirlo. La società è ammorbata dal cancro della superstizione, il mondo è zeppo di creduloni che si bevono ogni fesseria, e di ciarlatani che se ne approfittano. L'organizzazione per cui lavoro - fece un gesto con la mano abbracciando l'intero edificio - combatte ogni tipo d'ignoranza, al fine di portare luce, verità e chiarezza. Purtroppo il nemico ci conosce e fa di tutto per screditare il nostro lavoro. Ecco la ragione di quell'aquila: propaganda a favore della magia.
Sorrise compiaciuto, aveva omesso parecchi dettagli, ma tutto sommato le cose stavano veramente così.
- Però non ha risposto alla mia domanda: perché lei ha parlato di stregoneria?
Cerulli contrasse le dita ancora più nervosamente.
- Perché loro ci credono, è questo il guaio peggiore. E siccome sono convinti di essere dei maghi, dal mio punto di vista andrebbero trattati come se lo fossero veramente.
- In che modo, per la precisione?
La penna si spezzò tra le dita di Andrea.
- Fosse per me li brucerei sul rogo. Tutti quanti.

Stilare la lista dei possibili traditori è uno dei lavori peggiori al mondo, prima si finiva meglio era. Andrea lavorò alla tastiera alternando impeto e morbidezza, come se stesse suonando una fuga di Bach, rapito dall'estasi del nominalismo. Dare un nome a ciò che ci spaventa è sempre un processo catartico.
- Ci sono tutti? - chiese porgendo il foglio all'ispettore Meleri.
Claudia controllò rapidamente. I secondini di turno, gli agenti che avevano caricato Franzon sul blindato, gli addetti alla mensa, gli uomini delle pulizie. Non mancava nessuno, il nome di ogni persona che aveva avuto una chance di avvicinare il prigioniero era stampato nero su bianco. Tranne i due presenti, ovviamente. Era sottinteso che anche loro erano tra i sospetti, così com'era sottinteso che si sarebbero controllati a vicenda.
La questione del basista si aggiungeva alla lista delle domande senza risposta: com'erano stati usati i proventi del narcotraffico? Chi era la mente della Grande Truffa? Claudia abbassò lo sguardo sulla scrivania, come se la risposta fosse nascosta da qualche parte, in mezzo alla scacchiera di fogli allineati. Si accorse che la patente era ancora lì, appoggiata sopra le altre carte.
- E Cocciante? Come l'avete trovato?
Andrea volteggiò sulla sedia girevole, elegante come sempre, anche quand'era nelle posizioni più improbabili. Sembrava nato con un bastone ficcato nel fondoschiena. Per non dire culo.
- Grazie a questo.
Tra dita che avrebbe suscitato l'invidia di un manicure apparve un portafoglio di pelle scura, macchiato di fango, spesso come una doppia razione di lasagne.
- L'ha trovato un contadino di Cantù, un tipo onesto, e l'ha prontamente consegnato alla più vicina stazione di Carabinieri. Il portafoglio era in mezzo ai campi, a meno di un chilometro dall'incrocio dov'è scomparso Franzon.
Claudia prese il panino farcito e lo aprì, trovandolo zeppo di banconote accartocciate.
- Un contadino davvero onesto.
- Un cittadino esemplare - precisò Cerulli.
- Vedo. Che prove abbiamo?
Andrea sorrise.
- L'ha visto con i suoi occhi, ispettore: Cocciante corrisponde perfettamente all'identikit dell'uomo che ha fermato il blindato. Come si può dimenticare la faccia di Jack Nicholson, anche se con vent'anni di meno? Non ci sono dubbi, è stato Cocciante a guidare la macchina fino all'incrocio, collocare l'aquila tra le fronde allungate di un tiglio e prendersi a testate per svenire. Un sistema masochista ma efficace per guadagnare tempo.
Cerulli aveva sempre ragione. Sempre. Era più antipatico di un'enciclopedia parlante. Non restava che mettersi in disparte e fare le domande di rito.
- E adesso che si fa?
Un sorriso sarcastico fiorì sotto i baffi pettinati di Andrea.
- Nulla. Assolutamente nulla.