Bandiera inglese Bandiera italiana

Capitolo 3 - Andrea Cerulli

Vuoi uscire dal sistema? Esiste solo un modo: inganna te stesso


L'ufficio era grigio sporco, ma ordinato. Sul tavolo scartoffie maculate di appunti, grumi di gomma da cancellare, fogli sovrapposti con millimetrica precisione. Una calcolatrice scientifica, un computer portatile, una stampante, una stazione HF, un televisore tascabile, tre raccoglitori ingolfati di carta. Qualche libro aperto alla pagina giusta. Le tapparelle erano tutte abbassate alla stessa altezza, perché la sensibilità alla luce è logaritmica, quindi va giocata sui centimetri. La lampada orientabile puntava un fascio di luce ottimizzata, di lunghezza d'onda collaudata e verificata con lo spettrografo. Nell'angolo, sopra un gigantesco classificatore, troneggiava una radio d'altri tempi, sicuramente un vezzo, un mattone di legno scuro che spiccava come un'oasi nel deserto metallico della stanza.
Un bordello di ordine maniacale.
Andrea aprì gli occhi, sbadigliò con eleganza, e riprovò a leggere per la decima volta.


Il Nuovo Ordine Mondiale

Prefazione di Andrea Cerulli


E' con grande onore che ho accettato l'incarico di scrivere la prefazione alla traduzione italiana del manifesto del Nuovo Ordine Mondiale. Appartengo alla Corporazione da quasi dieci anni: quale modo migliore per esprimere la mia infinita gratitudine?
Il Nuovo Ordine Mondiale, che oggi molti abbreviano in N.O.M o direttamente InterNom (per sottolineare la presenza della Corporazione a livello internazionale) mi è stato maestro di vita, padre affettuoso e luce nelle tenebre dell'ignoranza. Senza di esso sarei soltanto un aggregato senziente di molecole. Invece, grazie alla Corporazione, la mia vita ha trovato una direzione degna di essere seguita, propagandata e divulgata con ogni mezzo.
Ma sarà il testo a spiegare, molto meglio di me, gli obiettivi umanitari, economici, sociali e politici dell'InterNom. Ho sempre odiato le prefazioni lunghe ed annacquate, perciò eviterò di rubare citazioni sparse dal testo. Vorrei però concedermi di presentare un aneddoto semplice, breve ed immediato, che da anni utilizzo per sintetizzare la vision della Corporazione.
L'aneddoto riguarda le cellule tumorali, un magnifico e tremendo esempio di immortalità. Esse sono capaci di vivere in eterno, in quanto non soggette ad alcuna sorta di invecchiamento. Finché l'organismo ospitante vive, quello malato di cancro per intenderci, le cellule tumorali hanno esistenza garantita nei secoli dei secoli. Sembra quasi che la natura stessa voglia dirci che l'immortalità del singolo individuo è un fenomeno cancerogeno. Pensiamoci un attimo: cos'è la cultura umana? Chi siamo noi se non effimeri pulviscoli sparpagliati nel tempo, destinati a vivere un secolo o poco più, se siamo fortunati? Al contrario, c'è un macro organismo eterno che non muore mai, si perpetua generazione dopo generazione, grazie alla tradizione orale, la letteratura e la scienza: il macro organismo della Civiltà dell'Uomo.
Noi esseri umani, fatti di carne ed ossa, siamo semplicemente le cellule della Civiltà dell'Uomo. Nasciamo, prolifichiamo e diveniamo scorie da espellere. I nostri cimiteri sono le toilette della civiltà, latrine colme di urine e feci ormai inutili al macroorganismo. E' una realtà che spaventa, un concetto che vogliamo negare, ma questo è l'atteggiamento peggiore da assumere davanti alla Verità. Io l'ho abbracciata senza pudore, lasciandomi ferire nel profondo e scandagliare dalla luce. L'esperienza ha esorcizzato ogni paura, e, credetemi, ne vale la pena. Accettate il vostro ruolo nell'universo, smettete di agognare ad un'immortalità che non vi spetta e fate la vostra parte.
Non dobbiamo essere egoisti, l'egoismo è sintomo di immaturità e irresponsabilità. Gli anziani sono più facilmente d'accordo, vedono già la falce adombrata di nero che attende dietro l'angolo, hanno capito di avere una missione breve ma importante: tramandare la conoscenza. Questo non toglie nulla alla nostra vita, anzi: dà un senso all'esistenza, un motivo alla vecchiaia, giustifica il passare del tempo e ci aiuta ad accettare il destino, che, inesorabile, attende.
Dobbiamo morire per tenere in salute il macro organismo ospitante.
Ci sono persone che non condividono questa tesi, si adoperano per infrangere le Leggi della Natura e remano contro corrente. Chiunque cerchi di vivere più a lungo del normale, o di preservarsi più degli altri, si comporta come una cellula tumurale. Invece di occuparsi del proprio ciclo, fatto di nascita, vita e morte, queste persone si macchiano di un crimine gravissimo: cospirano contro la Civiltà dell'Uomo come gli untori di un morbo cancerogeno.
E' questo il messaggio dell'InterNom. Il libro vi aiuterà ad accettare il ruolo che vi spetta, acciocché possiate condividere gli obiettivi della Corporazione e garantire la salute del macroorganismo che contiene tutti noi. Ogni piccolo contributo alla causa dell'InterNom è al tempo stesso un modo per salvarci: lavorare in coro ci aiuta a ritrovare la nostra natura di cellula sana, allontanando il pericolo dell'anarchia e dell'egoismo tipico degli elementi tumorali.
In conclusione: occorre salvaguardare il sistema per proteggere noi stessi.

Poteva andare, ma era un peccato non parlare dei telomeri. La scienza ufficiale non li aveva ancora scoperti, però Andrea già li conosceva e li considerava più adatti dell'allegoria delle cellule cancerogene. Ma l'InterNom non aveva ancora autorizzato la divulgazione della scoperta, l'argomento era top secret. Lungi da lui l'idea di infrangere una direttiva di Mamma InterNom.
Il telefono di servizio squillò sottovoce, sommerso dalle cartacce: il suono soffocato e discreto di una questione urgente. Andrea sistemò la cravatta (nera) e aggiustò la camicia (bianca), scrollò le spalle e raccolse la cornetta dalla marea di cellulosa.
- Pronto? No, non c'è problema, ero sveglio. Va bene, dimmi pure. Chi? E allora? Non lo conosco, mai sentito nominare. D'accordo, vai avanti...
Un lungo silenzio d'attesa prima di alzare la voce.
- Paolo LEVIS? Hai detto PAOLO LEVIS? Cos'hanno fatto? Ma sono impazziti, perdincibacco, gli ha dato di volta il cervello? Dovevano interpellarci subito!
Breve pausa.
- Nessun morto? Solo feriti gravi? Sono stati fortunati. Sto già arrivando.
Click.

Molti ispettori di Polizia sceglievano un'agente giovane, meglio se di corporatura atletica, meglio ancora se bionda, e si facevano la segretaria factotum con la scusa dell'aiutante da svezzare. Le parole "facevano" e "svezzare" erano oltremodo appropriate, almeno nella maggior parte dei casi, casi in cui l'ispettore era un totale idiota.
L'ispettore Meleri invece partiva col piede giusto. Nel suo ufficio Andrea trovò una donna sulla quarantina, capelli castani lunghi, striati di grigio e raccolti dietro, viso appena paffuto ma gradevole, uno sguardo intelligente e due occhi enormi. Non la solita pin-up, selezionata in base alla taglia del reggiseno, ma una donna matura dal fascino eterno.
- Buongiorno, ho appuntamento con l'ispettore Meleri. Può dirgli che l'Agente Speciale Cerulli è arrivato? Sono io.
- Anch'io.
- Come, scusi?
- Anch'io "sono io". Sono l'ispettore Claudia Meleri.
Dal nulla apparvero sulla divisa della donna le mostrine da ispettore. Andrea avrebbe giurato di non averle viste, forse perché non le aveva neanche guardate. Si vergognò con nonchalance, sotterrando l'imbarazzo sotto i tacchi mentre sfoderava un sorriso laccato di bianco.
- Ah, scusi, non pensavo...
- ... che fossi una donna.
- Sì, cioè no! Pardon, è che...
- Credeva fossi la "segretaria" in veste di agente, o viceversa.
- ...
- Prego, si accomodi.
Andrea avanzò con passo strascicato, la coda tra le gambe. Non era maschilista, no, era colpa dei luoghi comuni, era umano sbagliare, perfettamente normale. Via i sensi di colpa dunque, via il disagio della gaffe fresca fresca, adesso doveva conciliare rapidamente e concentrarsi sul lavoro. Chiuse la porta con grazia e delicatezza, un modo come l'altro per farsi perdonare, scostò la sedia senza alcun rumore e si sedette dentro un film muto.
Tre, due, uno: via con l'audio.
- Sono qui per il caso Levis, mi hanno telefonato stanotte. Sono venuto il prima possibile, spero di non disturbare.
L'ispettore Meleri guardò l'orologio appeso alla parete: le sette e mezza. Passi pure che lei era una stacanovista e spesso dormiva nel corpo di guardia, per sfuggire al traffico di Como ed una casa vuota dove annoiarsi. Ma ?sto tizio veniva da Milano. A che ora si era alzato la mattina? Meglio ancora: aveva dormito stanotte? A giudicare dalle occhiaie si sarebbe detto di no.
- Nessun disturbo. Non ho avuto tempo di aggiornare il fascicolo, stanotte, ma posso farle un resoconto a voce, se vuole.
- A voce andrà benissimo.
Claudia Meleri raccolse un fascicolo tra le mani, facendolo sbattere un paio di volte contro il tavolo, forse con l'intenzione di riassettarlo. Forse.
- Mi risulta che lei insegue Paolo Levis da anni, quindi salterò a piè pari la descrizione del soggetto, se permette.
- Nessuna obiezione.
- Bene: sa come siamo arrivati a lui?
- Con l'arresto di un contrabbandiere, un certo Francon...
- Franzon. Giuliano Franzon, un tizio zeppo di precedenti come un panettone farcito all'aringa. Trasportava cinque chilogrammi di marijuana dalla Svizzera all'Italia, a piedi, bivaccando nei boschi. Questo è l'unico particolare "normale".
- In che senso? (un panettone farcito con cosa?)
- Primo: bastano tre giorni per andare da Lugano a Como camminando a passo di lumaca. Il Franzon invece si è fatto un bel giro turistico, era in viaggio da almeno una settimana quando l'abbiamo preso al confine. Secondo: a casa sua c'era un documento intitolato "La Grande Truffa: Allegato Uno", con la descrizione dettagliata dell'operazione di contrabbando. Perché lasciarlo in un cestino dove tutti potevano trovarlo? Questo non è professionale, anzi, è talmente stupido da sembrare sospetto. Terzo: nel cestino, assieme al documento, c'era l'indirizzo di Paolo Levis, latitante da anni, pluri-ricercato, nel mirino dell'Interpol dal '92. Mancava il nome sulla busta, ma l'indirizzo del mittente era specificato a caratteri cubitali. Perché un errore tanto idiota?
- Credo che...
L'ispettore Meleri alzò la mano con autorità. Andrea ne approfittò per valutare la taglia del reggiseno: avrebbe tranquillamente potuto essere la segretaria di se stessa.
- Non ho finito. Quarto: ci autorizzano ad entrare in casa del Levis, con tutti i crismi, squadre speciali e compagnia bella, e cosa troviamo? Che il figlio di puttana, scusi il termine, ci stava aspettando. E da parecchio sembra. Aveva sistemato delle armi in un garage secondario, preparato una via di fuga e c'ha pure lasciato una molotov chimica come accoglienza.
"Scusi il termine" doveva esserle uscito spontaneo. Andrea era diventato paonazzo come un bambino sorpreso a rubare le caramelle. Sparare sulla folla era tranquillo. Torturare un prigioniero era routine. Aprire un cervello in due, una questione di precisione. Ma le parolacce gli davano mal di stomaco.
- Tutto bene, agente Cerulli?
- Sì, sì, stavo riflettendo (ma che linguaggio, cribbio). C'è dell'altro?
- Il resoconto dei feriti, se vuole. Ma credo che lei si riferisca alle informazioni.
Perspicace la donna, davvero brava, da tenere sott'occhio. Andrea avrebbe incluso il nome dell'ispettore nel rapporto all'InterNom.
- Esattamente. Cosa avete trovato?
Meleri si alzò dalla scrivania, offuscando il sole che sbadigliava basso all'orizzonte, oltre la finestra. Diresse verso un tavolo dov'erano ammonticchiati una marea di sacchetti di plastica con sorpresa. L'esatto contrario dell'uovo di Pasqua: fuori trasparente, dentro cioccolato. Ma guardando meglio, il cioccolato non era cacao, bensì residui di plastica nera bruciacchiata.
- Si è salvato solo questo.
Davanti al naso di Andrea oscillò una busta sigillata con dentro un disco rigido, perfettamente integro e lucido. L'unico ovetto farcito al cioccolato bianco.
- Era nel computer di Levis?
- Esatto.
- E l'avete trovato intero?
- Quinto: le sembra logico che un professionista del genere abbandoni un computer senza distruggerlo? Poteva sparargli una raffica di mitra, calpestarlo con gli anfibi, dargli fuoco appena entrato in casa. Invece no: il PC si trovava nel posto più lontano dall'esplosione, schermato dietro un mobiletto di metallo, che guarda caso ha fatto da scudo.
Gli occhi dell'ispettore si agitavano frenetici, come se guardassero da vicino una banderuola nella bufera. Andrea conosceva già la risposta, ma fece ugualmente la domanda.
- Lei non crede alle coincidenze, vero?
- Assolutamente no. Il mio lavoro non me lo permette.
Bene, era arrivato il momento di scoprire le carte. La donna era in gamba e avrebbe collaborato, non valeva più la pena fingersi sprovveduti. Sul tesserino appeso alla giacca stava scritto "Agente Speciale Andrea Cerulli - Digos", lui doveva renderlo credibile e recitare la parte. Ma la poliziotta in carriera aveva già intuito troppo. Andrea si alzò in piedi, le mani dietro la schiena, avanzando di un paio di passi verso la donna. Claudia Meleri mascherò perfettamente l'ansia, arroccata dietro gli occhi marroni spalancati.
- Senta, ispettrice...
- Ispettore. Termini come "ispettrice" sono preistoria.
- Senta, ispettore, io lavoro al caso Levis da tre anni. Lei ha perfettamente ragione: siete finiti in trappola, Levis vi stava aspettando e il disco rigido si è salvato apposta, per lasciarci una traccia su cui lavorare. Le dispiace se lo prendo io?
La mano si protese, rimanendo a bocca asciutta un paio di secondi. Meleri ritrasse la busta con aria sospettosa.
- Perché scusi?
- Perché so cosa cercare. Scommetto che il contenuto del disco è stato cancellato, che i suoi uomini hanno già provato a leggerlo ma non hanno trovato nulla di interessante. Corretto?
- Perfettamente esatto e dannatamente inutile.
- Come ha detto?
- Lei ha ragione: i miei "uomini" hanno collegato questo coso ad una di quelle macchinette infernali, hanno bestemmiato per ore cercando di capirci qualcosa, poi sono venuti da me con le orecchie basse mugugnando che era stato cancellato tutto. Ma vede, Agente Speciale Cerulli, si dà il caso che io sappia cos'è questo coso, e che sia anche capace di pigiare qualche tasto su quelle macchinette, spesso meglio dei miei uomini. Quindi ho eseguito personalmente il recovery dei dati e trovato il file compromettente. Mi spiace averle rubato il lavoro, se avessi saputo che mi mandavao un esperto...
Un altra sorpresa pasquale ondeggiò davanti al naso di Andrea, ma stavolta la confezione era più grande e all'interno c'era un fascicolo di qualche pagina. Cento a uno che la donna lo teneva in mano da almeno un paio di minuti, nascosto dietro la schiena: era apparso troppo velocemente da un luogo troppo imprecisato. Serviva classe per studiarsi colpi di scena a quel modo, era un dono riservato a pochi. Ci voleva tempismo, un pizzico di psicologia e una certa dose di sadismo.
- Bel colpo, Meleri, i miei complimenti. Bel numero davvero.

Le prime pagine del documento si perdevano tra discorsi sull'importanza della memoria del sapere e la teoria termodinamica dei gas. Poi, a pagina tre, di punto in bianco cambiava stile.

La Grande Truffa: Allegato Due
Per raggiungere gli obiettivi sopra enunciati l'Esecutore deve individuare una persona adatta al ruolo di Messaggero. Il Messaggero dovrà svolgere un'attività illegale per circa tre anni prima di essere arrestato, e ricevere adeguate istruzioni riguardo la gestione dell'attività stessa (vedi Allegato Uno).
Una volta istruito il Messaggero occorre attendere che le Forze dell'Ordine risalgano al mittente dell'Allegato Uno - ovvero l'Esecutore - e si muovano per arrestarlo. A questo punto è indifferente la tipologia di trappola da preparare, si lascia piena autonomia all'Esecutore dell'operazione. Si consiglia però di sfruttare il lungo margine di preavviso per non esser colti impreparati: le Forze dell'Ordine potrebbero sferrare un attacco massiccio direttamente presso il domicilio dell'Esecutore e non vanno affatto sottovalutate.
L'Esecutore non dovrà produrre alcuna copia di questo documento, a parte la stampa dell'Allegato Uno da spedire al Messaggero. Dovrà invece conservare una copia dell'Allegato Due sul proprio disco rigido e distruggerla al momento di evacuare l'edificio. E' importante che le presenti informazioni vengano cancellate tramite il comando DELETE e non in altro modo (evitare quindi il FORMAT o la distruzione fisica del dispositivo).

Nota
Se la procedura verrà seguita correttamente in ogni dettaglio, avremo dimostrato la nostra tesi e quindi verrà garantita l'eternità del sapere. Per la consapevolezza purtroppo possiamo avanzare solo ipotesi, in quando non esistono casi precedenti con cui raffrontarsi, all'interno del mondo del lavoro.


Claudia Meleri alzò gli occhi dal cappuccino fumante. Andrea aveva finito di leggere e stava torturandosi le labbra col pollice, ipnotizzato dal distributore di caffè caldo.
- Scommetto che da qualche parte c'è un tizio con l'Allegato Tre in tasca.
- Io ne sono sicuro.

Sarebbe stato un momento difficile per entrambi. La stanza era dipinta di grigio uniforme, un enorme buco quadrato senza ombre, quadri, finestre. Solamente il classico specchio, quello dietro il quale c'è sempre qualcuno a guardare. La testa di Giuliano era tutt'uno col tavolo bianco, il naso coperto da una treccia di capelli castani, l'altra ciondolava nel vuoto, a tempo col russare soffocato. Andrea staccò il naso dal vetro, leggermente deluso.
- Sta dormendo?
- Dorme sempre, da quando l'abbiamo preso. E' pulito, non è sonnolenza indotta. Si vede che ha parecchio da recuperare.
- E' pericoloso?
- Al momento no: è ammanettato alla sedia, polsi e caviglie. Non si sa mai.
- Bene: io entro.
L'ispettore Claudia Meleri seguì con lo sguardo quell'ometto insignificante uscire dalla porta, col suo passo felpato e i modi educati. Un Agente Speciale della Digos? Era chiaro come il sole che si trattava di una copertura. Quel tizio era stato autorizzato dal Prefetto, si era presentato poche ore dopo la fallita intrusione e adesso voleva interrogare lo sciamano. Probabilmente anche il resto era una finzione: la voce suadente, i gesti accorti, la gentilezza del sorriso. Agente Speciale Andrea Cerulli? Balle. Bastava guardarlo: in piedi davanti all'indiziato, mani dietro la schiena, completo elegante nero, camicia bianca e scarpe laccate. Tutt'altro che Digos.
Poi accadde qualcosa, qualcosa che la donna in divisa riuscì a spiegarsi solamente molto tempo dopo. Giuliano Franzon aprì gli occhi e alzò la testa. Simultaneamente il mondo vibrò per un istante di luce violetta attorno ai due personaggi.
Claudia sbatté le palpebre, confusa. Forse aveva del sonno arretrato anche lei, forse era meglio prendere un altro caffè. L'idea che ci fosse un difetto nell'impianto elettrico non le passò nemmeno per la testa, almeno all'inizio.
- Ben svegliato.
Giuliano guardò il volto lindo, gli occhi grigi punteggiati di luce, i baffi curati e la riga in parte. Avrebbe voluto ridere, crogiolarsi davanti a quell'icona di conformismo e perfezione, ma il sorriso gli morì sulla labbra. C'era qualcosa di inquietante nell'uomo che aveva davanti. Emanava un'aura di ostentata sicurezza, celata dietro una maschera di finta umiltà, si vedeva lontano un miglio che si sentiva padrone del mondo. Come se non bastasse, quando i due sguardi si incrociarono, fu come se uno specchio esplodesse nello spazio invisibile in mezzo a loro.
Si riconobbero.
Andrea subì il colpo con eleganza, avvantaggiato da una flemma naturale che aveva perfezionato negli anni. Una parte di lui sapeva, si aspettava qualcosa del genere, era preparato a fingere fino in fondo. Dopotutto era quello il suo lavoro: ingannare i comuni mortali. Stavolta però era diverso, il prigioniero seduto davanti a lui non era un delinquente qualunque. Era come guardare negli occhi una persona innamorata, ci sono sguardi che non si possono imitare, o ci sei o non ci sei. Andrea sapeva per certo che Giuliano c'era.
Bene, questo avrebbe facilitato le cose. Doveva solo stare attento alla conversazione, l'ispettore Meleri avrebbe registrato ogni cosa e non era ancora pronta per la verità. I dormienti vanno protetti, non possono essere destati prima del tempo, è per la loro salvezza che Andrea compariva sul libro paga dell'InterNom. Sarebbe stato un interrogatorio difficile per entrambi, lo sapeva già prima di entrare. Una sorta di confronto a due dentro una sauna finlandese satura di vapori tossici. Era importante stare attenti ad ogni pensiero, e questo valeva per tutti e due.
- Chi sei? - chiese Giuliano con voce agitata.
- Non ha importanza, veniamo al sodo.
Dietro lo specchio la tazzina in mano all'ispettore Meleri vibrò un'altra volta. C'era qualcosa di bizzarro nell'aria, Claudia avrebbe giurato di aver visto di nuovo quel fremito di luce violacea: doveva far controllare l'impianto di illuminazione la mattina stessa.
- Voglio sapere dove finiva la grana.
- Quale grana?
- Il ricavato dell'attività di contrabbando. Da quanti anni lo facevi? Io penso almeno tre, forse cinque. Una volta al mese? Una volta a trimestre? Un bel gruzzolo, direi.
Giuliano si lasciò dondolare sulla sedia, sorridente. Quelli non avevano capito nulla. Magari lo sbirro aveva visto la verità in faccia, forse aveva compreso che la realtà è un giocattolo della mente e sapeva come stavano le cose. Però era un'anima giovane, inceppata sui primi raggi della ruota del Samsara, attaccata al denaro e alla rozza materia.
- Non ho soldi, io. Vivo cullato tra le braccia di Madre Natura.
La risposta confermò i sospetti. Andrea si lasciò sfuggire un'imprecazione silenziosa: capperi, sono davanti ad un pazzo invasato di misticismo, la minaccia peggiore per il Nuovo Ordine Mondiale. Le rotelle impazzite del sistema, le cellule tumorali da estirpare, i fanatici seguaci dell'immortalità, gli adoratori delle divinità pagane. Coloro che bruciano incenso e uccidono i bambini nella culla con gli attizzatoi, convinti di uccidere l'anticristo. Quelli che ballano a piedi nudi attorno al fuoco, inzuppati di ayahuasca fino al midollo, viaggiando tra mille allucinazioni sicuri di sapere cosa c'è dopo la morte.
Se Andrea non si arrabbiava mai c'era un preciso motivo.
Estrasse la pistola dalla giacca e la ficcò in bocca allo sciamano.
- Non prendermi in giro, Zagreus. Dove sono i soldi?
La tazzina del caffè, ormai vuota, scivolò tra le dita di Claudia finendo sul pavimento. Cazzo stava facendo quel folle nella sua stanza degli interrogatori? C'erano le telecamere, era tutto registrato, cosa gli saltava in mente? Si voltò verso il monitor per avere un'anticipazione di quello che sarebbe presto finito sul tavolo di un giudice. Ma lo schermo era bianco.
La registrazione si era interrotta.
C'era qualcosa che non andava, oltre all'impianto elettrico. Cerulli era stato troppo veloce, aveva ficcato la canna dell'arma tra i denti di Franzon in un solo fotogramma, poi l'aveva chiamato Zagreus. Perché? Cosa stava succedendo là dentro? Lo stupore si mescolò alla rabbia, come acqua gettata nell'olio bollente. Imprecando a bassa voce Claudia appioppò un paio di robuste sberle all'impianto a circuito chiuso, nella fattispecie al monitor davanti a lei, come se fosse l'unico colpevole. Avrebbe voluto appendere al muro quelli del reparto tecnico, solo pochi giorni prima avevano detto che era tutto a posto: "avete finito di tribolare: abbiamo sistemato i contatti difettosi, rifatto il cablaggio e montato telecamere nuove di zecca".
La tecnologia era opera del diavolo, Claudia non aveva alcun dubbio a riguardo.
Intanto, all'interno della stanza, Franzon tentava di rispondere come poteva.
- Aghfi er Hevvis.
- Non capisco.
- Ahmi del Evis.
La pistola uscì silenziosa dalla bocca del prigioniero, che si accasciò privo di sensi sul tavolo. I neon smisero di lampeggiare, con perfetto tempismo, mentre l'agente Cerulli riponeva l'arma nella fondina, riassumendo la candida espressione da maestrino delle elementari. Solidali con l'universo, in sintonia con la farsa surreale che era appena terminata, i monitor a circuito chiuso tornarono alla vita tutti assieme. A volte le sberle servono a qualcosa.
Comunque Claudia non aveva dubbi, avrebbe fatto controllare l'intero impianto elettrico, e dato una bella strigliata a quelli del reparto tecnico. La stanza degli interrogatori era più difettosa di un accendino scarico, anzi: pareva quasi che ci fosse un difetto nella realtà, la dentro.
Subito dopo si stupì di aver pensato una frase tanto assurda.

Erano tornati nell'ufficio decorato dalle uova di Pasqua carbonizzate, il tempo di sedersi coi nervi a fior di pelle, ed era squillato il telefono. Niente po' po' di meno che il Prefetto in persona.
- Certamente signore... però, se permette... ah, non sapevo. D'accordo, se lo dice lei. Va bene, nessun problema. Ho capito, sì. Arrivederci.
Esitante, Claudia ripose la cornetta senza togliere gli occhi dal viso impassibile di Andrea Cerulli. Se quello era un agente della Digos lei era la fata turchina.
- Come ha fatto?
- Fatto cosa?
- A tirare la maniglia. A smuovere i pezzi grossi senza neanche una telefonata.
- Io non ho fatto niente. Saranno stati i miei superiori.
La domanda "e come facevano loro a sapere?" restò scritta a caratteri invisibili nell'aria, sospesa sopra l'incrocio di sguardi che sfiorava il terzo grado della scala Mercalli. L'ispettore Meleri sapeva quando è meglio lasciar perdere. Andrea lavorava per qualcuno molto in alto, qualcuno di cui lei ignorava l'esistenza, qualcuno che magari in questo momento la stava controllando attraverso l'occhio indiscreto di un satellite spia. Inutile gareggiare con gente di quel calibro, Claudia si sentiva come una formica che si era appena svegliata sulla lingua di un formichiere. Poteva fare un po' di chiasso, ma non sarebbe cambiato nulla comunque. Tanto valeva stare al gioco.
- Va bene, dimenticherò quel che ho visto. Nessuna tortura, nessuna minaccia con pistola, niente di niente. Tanto le registrazioni sono saltate.
Claudia avrebbe voluto sentirsi rispondere qualcosa come "lo sapevo", oppure un ipocrita "davvero?", invece nulla. Andrea restò immobile davanti a lei con la faccia scolpita nel bronzo, come un angioletto del presepe che aspetta di tornare nello scatolone, passata l'Epifania. L'unica emozione che traspariva dal suo volto era l'impazienza, la fretta di chi preferisce arrivare al sodo e non vuole perdere altro tempo.
Difatti fu lui a cambiare discorso, appena la durata del silenzio superò i dieci secondi.
- Quel tizio è un impostore, un pazzo che vive nella menzogna.
- Come l'ha capito?
- Conosco lo stile. Le persone come Franzon lottano per uscire dal sistema, imparano a sopravvivere di bacche e radici, si lavano una volta al mese e dormono nei boschi. Quando dicono di aver studiato è perché hanno sfogliato le parafrasi new age di Frazer. Travisano ogni cosa e vedono la realtà come più gli garba.
- Insomma si costruiscono il loro mondo nella testa.
Un bagliore d'ammirazione attraversò gli occhi di Andrea. Contemporaneamente, all'interno del suo cervello, un fattorino virtuale scattò dai blocchi di partenza con in mano la risposta sincera, un foglietto con sopra scritto: "come facciamo tutti noi". Ma l'aggregato di neuroni a forma di maggiordomo venne fucilato strada facendo e il messaggio non arrivò mai al centro del linguaggio. L'agente Cerulli censurò se stesso e rispose come insegnava l'InterNom.
- Esatto. Non si può uscire dal sistema, almeno non a quel modo. Persone come Franzon coltivano la marijuana sul balcone e tirano su piante di tabacco abusivamente, poi vanno a comprare l'accendino dal tabaccaio, senza prendere atto della loro incoerenza. Bevono birra ghiacciata senza capire che qualcuno ha lavorato la latta e fabbricato il frigorifero. Fumano senza prendere coscienza che da qualche parte c'è chi costruisce la cartine. Usano uno zaino cucito da un bambino coreano, indossano mutande confezionate in Cina e affilano coltelli d'argento made in Taiwan.
Claudia era sempre più sorpresa. L'uomo seduto nel suo ufficio, che parlava a mani giunte, era capace di estrarre un pistola in una frazione di secondo e ottenere l'appoggio del Prefetto. Ma soprattutto era inzuppato d'odio, un odio viscerale per chi attentava all'ordine costituito. Lei aveva imparato a non giudicare le persone dall'apparenza, ma Andrea Cerulli andava oltre quell'insegnamento, infrangeva ogni intuizione, prevaricava le emozioni, poteva rovesciare un giudizio prima ancora che venisse formulato. Si sentiva smarrita in un deserto senza sole, un oceano senz'acqua, un volto senza vita. Quell'uomo era un mostro.
L'esperienza di anni ed anni nella Polizia l'aiutò a mascherare il disgusto. Inspirò a fondo e focalizzò l'attenzione sugli argomenti di comune interesse.
- E cosa avrebbe detto, l'impostore, mentre lei lo interrogava?
- "Armi del Levis": i profitti del narcotraffico sarebbero serviti a finanziare le attività terroristiche del movimento anarchico. Un'ipotesi interessante.
- Ma?
- Chiaramente falsa. I soldi sono finiti altrove, all'insaputa del Franzon. E' questo che intendevo quando dicevo che vive nella menzogna.
Claudia vide chiaramente che la capacità alla meraviglia era come una partita a pallone. Puoi calciare forte fin che vuoi, sfondare la barriera, trafiggere il portiere e bucare la rete, ma prima o poi vai a sbattere contro le tribune e il pubblico si frega la palla. Si rassegnò completamente, non era più il caso di chiedere né come né perché. Infrangendo il concetto appena espresso Andrea la sorprese ancora, come se le avesse letto nella mente.
- Ho l'inventario delle armi in possesso di Paolo Levis: una pistola Beretta, un fucile mitragliatore SC-70, una decina tra fumogeni e lacrimogeni, parecchie munizioni, mezzo chilogrammo di C4 e qualche detonatore. Converrà con me che le spese per le bombolette spray e la benzina sono trascurabili.
(Cristo, ma questo dorme coi fascicoli degli indagati sotto il cuscino?)
- Dall'altra parte abbiamo almeno cinque chilogrammi al mese per tre anni. Assumendo un guadagno netto di cinquemila lire al grammo fanno venticinque milioni al mese, ovvero trecento milioni l'anno, circa un miliardo in tre anni. Soldi che il Franzon non ha mai visto, ne sono sicuro, è solamente un barbone orgoglioso di essere un morto di fame.
Nella testa di Claudia le cifre correvano all'impazzata. Era abbastanza probabile che lo sciamano lavorasse per due soldi, praticamente gratis. Il Levis s'era comprato un bel po' di roba, ma non possedeva un'armeria da un miliardo. Entrambi vivevano in affitto, non c'erano tirapiedi sul libro paga, nessun contatto con la criminalità organizzata. La domanda rifilata sulla canna della pistola un quarto d'ora prima aveva il suo senso: dov'erano finiti i soldi?
- Quindi?
- Non lo so, dovremo indagare. Abbiamo un mistero da risolvere, due indiziati, di cui uno a piede libero. Possiamo contare sulla vostra collaborazione?
Ah bella, adesso lei era di nuovo necessaria! Cos'era, uno zuccherino offerto al cavallo zoppo per non buttarlo giù di morale? Claudia allontanò il pensiero autolesionista, raccogliendo tutta la professionalità in un sorriso a denti stretti.
- Certamente. Da dove si comincia?
Andrea intrecciò le dita e si chinò sulla scrivania.
- Dall'autore del documento, dobbiamo scoprire chi ha scritto "La Grande Truffa".
Si vede che i tifosi avevano ributtato il pallone in campo e l'avevano presa in contropiede. Le sorprese non avevano mai fine quella mattina. Ed erano appena le nove.
- Io credevo che fosse chiaro: è stato Paolo Levis.
- Paolo Levis ha fatto la terza media, non sarebbe capace di tracciare un piano simile neanche dopo un elettroshock. E' soltanto un esecutore, un contatto, il tramite tra l'autore e Giuliano Franzon. Possiamo contare su una sola certezza.
- Sarebbe?
- Chi ha ideato il piano ha previsto tutto, e adesso ci sta manovrando come burattini.

Non ci vollero più di trenta minuti all'Agente Speciale Cerulli per stendere un piano d'azione coordinato. Sapeva esattamente dove finivano i confini tra Carabinieri, Polizia, Squadra Mobile e Digos, anche meglio dell'ispettore Meleri. Finito il lavoro aveva estratto un cellulare ultrapiatto e richiesto un trasporto urgente per il Carcere Speciale di Milano.
Un quarto alle undici il "mezzo di trasporto" parcheggiò nel piazzale della Questura. Claudia Meleri si concesse qualche istante per gustarsi le facce esterrefatte dei colleghi. Lei se l'aspettava, aveva già visto strani gingilli apparire e scomparire in un lampo tra le dita di Cerulli: era logico che il "trasporto speciale" facesse un entrata scenica. Si trattava di un'autoblindo antisommossa con mitragliatrice sul tetto.
- E' davvero necessario?
L'Agente Speciale si voltò verso di lei, lanciandole un'occhiata compassionevole, come se la domanda fosse più sciocca del previsto.
- Sì. Conosco i miei polli, e Franzon è uno di loro.
- Loro chi?
Seguì un lungo silenzio imbarazzante.
- Coloro che lottano per sovvertire il sistema. Il cancro che affligge la società. Uomini e donne che remano contro il tempo, vogliono tornare all'età della pietra e trascinarci nel baratro della loro follia.
Andrea sapeva che l'ispettore non aveva capito un accidenti. Fece segno d'aspettare ai tre uomini in piedi, appena scesi dal furgone blindato, si avvicinò a Meleri e le sussurrò una sola parola nell'orecchio, facendo vibrare quintali d'odio in ogni sillaba.
- Stregoni.
Claudia trasalì. Si stava abituando all'idea di essere finita in un complotto internazionale, già s'immaginava fascicoli da bruciare sugli extraterrestri, tecnologie fantascientifiche e organizzazioni paragovernative. Ma che la minaccia venisse da una banda di cartomanti armati di pendolino, questa no! La caccia alle streghe era finita da secoli, non funzionava più come capro espiatorio per eliminare chi minacciava l'ordine costituito.
Scosse la testa rassegnata: Cerulli non le avrebbe mai detto la verità.
Ma Andrea stava già pensando ad altro: l'aveva lasciata in mezzo al piazzale, assieme all'eco dell'assurda risposta, per dedicarsi ai preliminari del trasporto. E che preliminari! Appena finito di controllare sotto il furgone fece aprire il portello posteriore, esaminando ogni dettaglio: paratie interne, tenuta delle sbarre, integrità del rivestimento. I tre agenti al suo servizio aspettarono immobili sotto il sole, senza batter ciglio, infagottati dentro i giubbotti antiproiettile. Chiaramente neanche loro appartenevano alla Digos.
Sistemare Franzon sul furgone fu l'operazione più semplice. Il presunto sciamano era semiaddormentato, dovettero caricarlo nel cellulare come un sacco di patate. Appena il portellone si chiuse gli uomini presero immediatamente posizione. Uno in torretta, due sul sedile anteriore, Andrea di nuovo in piedi accanto all'ispettore Meleri. Parevano una squadra di calcio con marcatura a zona.
- Aprite il cancello - ordinò Claudia ai poliziotti di guardia.
Il motore dell'autoblindo ruggì graffiando l'asfalto con gli infrasuoni, poi si mosse verso l'uscita e si tuffò nel traffico.
- Lei come torna a Milano? Non vedo la sua macchina.
- Con quello.
Il dito di Andrea Cerulli puntava verso il cielo.