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Analisi dell'impatto ambientale di Bitcoin

Luglio, 2021

Premessa

Come la maggior parte delle questioni sociali ed economiche, l'impatto ambientale dei Bitcoin non è una questione che può essere analizzata scientificamente, perché comprende aspetti sociali, morali e politici, che dipendono dal punto di vista soggettivo. Noi esseri umani siamo animali razionalizzanti, nel senso che prima ci facciamo un parere (di "pancia") e poi andiamo a cercare le fonti che ci danno ragione.

La conseguenza è che i sostenitori dei Bitcoin pubblicano dati, video e ricerche che dimostrano come l'impatto ambientale della criptovaluta sia minimo, o giustificato. Al contrario, i loro detrattori puntano il dito sulla carbon footprint dell'attività di mining, affermando che i Bitcoin stiano distruggendo il pianeta. Chi ha ragione?

Dopo una lunga analisi siamo giunti alla conclusione che sbagliano entrambi, perché cercano tutti conferme della propria opinione, piuttosto che capire il punto di vista avversario: i sostenitori dei Bitcoin pubblicano solo i dati e le ricerche che gli danno ragione, i detrattori fanno altrettanto. Con il presente articolo proviamo a far luce sull'argomento in qualità di osservatori neutrali, tentando un approccio il più imparziale e scientifico possibile.

Siccome è praticamente impossibile essere completamente neutrali su un argomento, rimandiamo alla descrizione del profilo personale dell'autore per quanto riguarda la "dimostrazione" della nostra presunta neutralità.

Sintesi degli argomenti

Riassumiamo brevemente quali sono i principali argomenti relativi al fabbisogno energetico dei Bitcoin:

  1. Utilità dei Bitcoin: i sostenitori dicono "E' vero, consumano troppo, ma ne vale la pena" mentre i detrattori ribattono "E' uno spreco di energia, inquinano e basta". Da questo punto di vista hanno tutti torto: non ha senso supportare una posizione ideologica parlando di utilità, perché essa è un valore soggettivo, che dipende dal nostro ventaglio di valori (o dalla nostra "funzione di valore").
  2. Spreco di energia: affermare che i 75 TWh annuali consumati dai miners siano uno spreco di energia è come dire che ogni anno ettolitri di acqua vengono sprecati per annaffiare delle piante infestanti. Dipende da dove viene l'acqua: se parliamo di acqua piovana, allora "annaffiare" la gramigna non è uno spreco. Nel caso dei Bitcoin sembra che i miners utilizzino l'energia elettrica prodotta in eccesso, che altrimenti andrebbe sprecata. Se questo è vero, allora il presunto "spreco" di energia attribuito ai Bitcoin è inesistente, anzi: forse non è uno spreco, ma addirittura una spinta alla conversione verso le energie rinnovabili.
  3. Tipo di energia: chi sostiene che i Bitcoin siano inquinanti di solito ragiona così: parte dal consumo elettrico mondiale delle rete Bitcoin, guarda dove sono localizzati i miners, valuta il mix energetico della nazione ospitante (tipicamente incentrato sulla combustione) e infine calcola l'impronta di CO2 equivalente, facendo le ovvie proporzioni. Questo è come dire che siccome un cittadino USA mangia in media 13 tacos all'anno, allora noi italiani consumiamo 780 milioni di tacos all'anno. Gli italiani mangiano in modo diverso dagli americani, così come i miners utilizzano fonti energetiche diverse da quelle dei loro connazionali. Infatti chi fa mining cerca di guadagnare, quindi cerca di attingere energia dove costa meno, il che di solito avviene là dove vi è un esubero di energia, che tipicamente avviene nei pressi delle fonti rinnovabili. In soldoni: non è corretto assumere che il mix energetico utilizzato da un minatore sia dello stesso tipo di quello della nazione che lo ospita.
  4. Confronto con VISA: i detrattori dei Bitcoin affermano che una transazione sulla blockchain consuma circa 800.000 volte più energia di una transazione con carta di credito. Il dato in sé è più o meno corretto, ma è come confrontare il consumo di un treno merci carico di ciliegie con l'energia necessaria a mettere una ciliegia in cima ad una torta. Il consumo di una transazione Bitcoin è un processo end-to-end, da mittente a destinatario, che comprende tutta la catena del pagamento. Per par conditio, il consumo di una transazione VISA dovrebbe tener conto dell'intera infrastruttura bancaria, ovvero: il processore front-end, il processore del pagamento, i server della banca, la sicurezza dei caveau, il trasporto di denaro su mezzi blindati, i backup Sheltered Harbour ecc. Anzi, per fare un confronto scientificamente corretto, si dovrebbero considerare anche le impronte CO2 prodotte dagli edifici delle banche, compresi luce e riscaldamento, fino all'ultima macchinetta del caffè. Infine l'equivalente di una transazione VISA non è l'equivalente di una transazione sulla blockchain, ma corrisponde invece ad una transazione Lightning Network, la quale richiede meno traffico di una transazione con carta di credito o debito.
  5. Consumo a regime: a differenza della maggior parte delle attività umane, il consumo energetico dei Bitcoin non andrà aumentando in modo proporzionale al numero di utilizzatori, ma potrebbe addirittura diminuire e diventare trascurabile entro un paio di decenni (se non prima). A regime la maggioranza delle transazioni avverranno sulla Lightning Network, per cui la blockchain sarà usata relativamente poco (rispetto a Lightning Network).

Nelle prossime sezioni andiamo ad approfondire, uno per uno, gli argomenti sopra elencati.

Money vs Energia
Prodotto interno lordo mondiale in rapporto al consumo di energia
(BP Statistical Review of World Energy 2014)

Utilità dei Bitcoin

Anche se abbiamo detto che non ha senso chiedersi se vale la pena "sprecare" energia per produrre Bitcoin (perché è una questione soggetiva) riportiamo qualche cifra che può aiutare a contestualizzare il concetto di "spreco di energia". Ciascun lettore può liberamente valutare, secondo il proprio metro di giudizio, quali attività sono utili e quali meno utili secondo lui. In altre parole, anche l'affermazione "preferisco rinunciare ai Bitcoin che alle lucine di Natale" è perfettamente legittima: ognuno ha diritto di difendere i propri valori.

Importante: nel 2021 è stato stimato un consumo di circa 75 TWh per la rete Bitcoin. I dati riportati qui sotto fanno però riferimento al periodo 2016-2018. Perciò, per coerenza, in questa sezione attribuiamo un consumo di soli 63 TWh alla rete Bitcoin (ovvero: usiamo un valore riferito allo stesso arco temporale dei dati sotto riportati) [6], [14], [16].

  • Consumo annuale della rete Bitcoin: 63 TWh
  • Consumo annuale totale USA: 3.989 TWh
  • Consumo annuale totale USA per luci natalizie: 7 TWh
  • Consumo annuale mondiale videogiochi (console escluse): 75 TWh
  • Consumo annuale USA dei "dispositivi passivi" (led, stand-by ecc.): circa 220-240 TWh
  • Stima consumo annuale mondiale dei "dispositivi passivi": circa 940 TWh

    Assumendo un'assegnazione mondiale media del 30% dei consumi ad utilizzo domestico, e un 15% di spreco in dispositivi passivi. Di fatto tale percentuale è pari a oltre il 20% negli USA, ma stime precedenti (relative al periodo in cui le abitazioni usavano meno dispositivi digitali) suggerivano una percentuale del 10%. Un valore del 15% rappresenta perciò una stima prudente, che tiene conto di un'eventuale minore digitalizzazione delle nazioni più povere.

Questi numeri non danno ragione a nessuno, perché ognuno può interpretarli come vuole, a seconda della sua posizione ideologica, ovvero in base alla propria scala di valori. Quindi hanno tutti ragione e tutti torto:

  • I sostenitori sbagliano perché cadono in una trappola tautologica. Partono dall'assunto che i Bitcoin siano utili per lo sviluppo della civiltà e dimostrano scientificamente che meccanismi come la Proof of Work sono necessari per dare valore ai Bitcoin. Ma questo ragionamento ha senso solo per chi ha già deciso di reputarli utili: chi li percepisce come uno asset speculativo che rovina il pianeta non potrà mai essere convinto da queste argomentazioni.
  • Gli oppositori della criptovauta sbagliano perché credono che i Bitcoin siano solo una valuta, e non comprendono le finalità della rivoluzione in atto. I Bitcoin sono stati inventati per sostituire in toto il sistema bancario. Quindi, se i Bitcoin venissero adottati a livello mondiale, potremmo fare a meno di banche, carte di credito, bancomat, caveau blindati e compagnia bella. I quali consumano molta più elettricità delle rete Bitcoin.

Detto questo, vale la pena fare almeno un'osservazione.

Se tutto il mondo imparasse a limitare i consumi elettrici dei dispositivi passivi (staccare la presa della TV quando non viene utilizzata, disabilitare la modalità stand-by dei dispositivi, non utilizzare prese CFGI ecc.) si potrebbe evitare uno spreco di energia elettrica circa 15 volte maggiore dell'energia consumata dalla rete Bitcoin.

Spreco di energia

Per inquadrare la situazione, iniziamo col capire di quanta energia stiamo parlando. Secondo l'università di Cambridge, nel 2016 la produzione mondiale di energia elettrica era così suddivisa [6]:

  • Produzione totale di energia elettrica: 25.082 TWh
  • Consumo totale di Energia elettrica: 20.863 TWh
  • Energia elettrica da fonti idroelettriche: 4.164 TWh
  • Energia elettrica da fonti biologiche: 577 TWh
  • Energia elettrica da fonti solari/eoliche: 1.405 TWh
  • Energia elettrica sprecata nel trasporto (8%): circa 1.000 TWh

Corrispondente ad una percentuale di energie rinnovabili pari al 24%. Secondo altre fonti la percentuale di energia a bassa impronta al carbonio nel 2019 era pari a solo il 16%, secondo altre ancora al 18% [25]. Queste discrepanze fanno capire quanto sia difficile analizzare la questione: per semplicità noi assumeremo che la percentuale mondiale di fonti energetiche a bassa impronta al carbonio sia pari a circa il 20%.

L'energia attribuita alla rete Bitcoin nello stesso periodo di riferimento (2016-2018) era pari a circa 63 TWh. Di questi, circa il 65% veniva consumato in Cina [17], ovvero circa 41 TWh. Secondo diversi studi [18] [19], pubblicati anche dai detrattori dei Bitcoin, la maggioranza dei miners tende a concentrarsi nelle regioni dove l'elettricità costa meno, che ovviamente sono proprio quelle dove vi è un esubero di energia.

Per esempio, la maggior parte dei miners cinesi è collocata tra le regioni di Xinjiiang e Yunnan. Lo Xinjiiang [18] [19] esporta verso le altre regioni oltre 100 TWh di energia, di cui circa il 20% proviene da fonti rinnovabili. Similmente, nello Yunnan [9] vengono generati 260 TWh di energia, a fronte di un consumo di soli 170 TWh. Purtroppo trasportare energia elettrica su lunga distanza è molto costoso, perché comporta notevoli perdite lungo il tragitto (vedi anche la questione del Renewable Curtailment), per cui l'energia in esubero rimane inutilizzata.

Da questo punto di vista hanno ragione i sostenitori dei Bitcoin: i miners cinesi attingono energia dalle regioni dove l'offerta supera la domanda, utilizzando energia che altrimenti andrebbe sprecata. Ma i detrattori non hanno del tutto torto, perché "sprecare" energia (esempio: aprire la diga) ha comunque un impatto ambientale minore che alimentare migliaia di dispositivi ASIC che vanno prodotti, trasportati, mantenuti e infine smaltiti (Life Cycle Impact Assessment).

Esiste però un altro argomento a favore dei Bitcoin. Secondo alcuni modelli teorici [5] [8] [10] [11] [12], la presenza dei miners nelle regioni dove vi è un esubero energetico permetterebbe di velocizzare lo sviluppo degli impianti locali, accelerando il processo di conversione verso le energie sostenibili. Se questo venisse dimostrato, allora l'ago della bilancia penderebbe a favore dei Bitcoin, perché la produzione di criptovalute potrebbe essere proprio la soluzione al problema della crisi energetica.

Purtroppo al momento questa è solo una teoria basata sull'assunto (non dimostrato) che i produttori dell'energia in esubero siano così "altruisti" da investire gli utili (provenienti dal mining locale) per accelerare il processo di conversione verso le energie rinnovabili, o per realizzare le infrastrutture necessarie per trasportare l'energia a distanza. Ma questo non è sempre vero, perché in alcuni casi la presenza dei miners ha come unico effetto l'aumento dei profitti, senza che questi vengano re-investiti nell'ambiente.

Combustione di gas metano

Un caso tipico è quello del lago Seneca. Secondo i detrattori dei Bitcoin l'attività dei minatori locali starebbe addirittura riscaldando il lago, cosa che però sembra falsa, come dimostrano i dati locali. Al tempo stesso il caso mostra come abbiano torto anche i sostenitori del Bitcoin, perché di fatto l'attività di mining ha raddoppiato l'emissione di CO2 nell'arco di due anni, e i profitti locali sono stati spesi in modo sì benefico (scuole e donazioni ai pompieri), ma non per esportare l'energia in eccesso.

Uno dei pochi casi in cui l'attività di mining sembrerebbe sicuramente a vantaggio dell'ambiente è quello dell'utilizzo del gas metano prodotto come scarto del petrolio, che viene solitamente bruciato per ridurre l'effetto serra (questo perché rilasciare metano puro sarebbe 25 volte peggio) [22] [23].

Alcune aziende si sono specializzate nella produzione di macchinari che permettono di bruciare il gas (in modo pulito) per alimentare dispositivi di mining: in questo modo gli estrattori di petrolio sono incentivati a ridurre le emissioni, perché i profitti di questa soluzione sono di gran lunga migliori delle alternative (le quali costano di più, e inquinano di più). Purtroppo non è facile stimare numericamente la diffusione di questo approccio.

Dal punto di vista dello spreco energetico la questione rimane perciò controversa, perché è sempre possibile scegliere quali dati presentare e come analizzarli, per dimostrare la propria posizione ideologica.

Tipo di energia

A seconda dello studio si hanno diverse stime per il consumo della rete Bitcoin nel 2020: 73 TWh, 78 TWh o addirittura 87 TWh [4]. Altri studi indicano un valore di 76 TWh, mentre alcune stime del 2018-2019 suggeriscono un consumo oscillante tra i 40 TWh e gli 80 TWh [3]. Quasi tutte le analisi convergono su un impronta al carbonio pari in media a 22 milioni di tonnellate di CO2, anche se altri studi ipotizzano che tale valore potrebbe arrivare a 37 milioni di tonnellate di CO2.

Per fissare le idee, assumiamo come stima un valore indicativo di 75 TWh per l'anno 2020 e cerchiamo di stimare le tonnellate di CO2 equivalenti. Vedremo come - anche in questo caso - non è affatto scontato convertire da TWh in tonnellate di CO2 equivalente, ovvero: ancora una volta la questione non è affrontabile con rigore scientifico, ma lascia molto spazio alla libera interpretazione.

Il metodo più semplice consiste nel calcolare le tonnellate di CO2 usando il mix energetico di una nazione a caso, per esempio il Regno Unito. Si ottengono così 17 milioni di tonnellate di CO2. Un altro modo è quello di utilizzare il mix energetico mondiale, secondo il quale l'84% dell'elettricità è prodotta da combustibili fossili (33% Petrolio, 27% Carbone, 24% Gas). Così facendo si trovano invece circa 37 milioni di tonnellate di CO2 quivalenti.

Un altro approccio tiene conto del fatto che - almeno fino al 2021 - il 65% dei Bitcoin veniva prodotto in Cina [17], per cui è sensato stimare l'impatto ambientale dei Bitcoin usando il mix energetico della Cina. Come riferimento assumiamo i valori mediani delle emissioni e la distribuzione energetica della Cina, limitandoci alle cinque principali fonti di energia. Come produzione energica totale usiamo il valore 7.600 TWh, relativo al 2020. In questo contesto l'emissione totale di gas serra equivalente della Cina risulta:

Nr.SorgentePercentualeEnergia [TWh]CO2/Energia [t/GWh]CO2 [Mt]
1Carbone62%4.7128203.864
2Idroelettrico17%1.2922431
3Nucleare5%389125
4Eolico6%456125
5Solare3%2284510

Da cui si ottiene un totale di circa 3.900 MT di CO2, ovvero quasi quattromila milioni di tonnellate. Il consumo energetico della Cina è pari a circa 100 volte quello della rete Bitcoin, perciò, "se tutti i Bitcoin fossero prodotti in Cina", si avrebbe un impatto ambientale di circa 39 milioni di tonnellate di CO2.

I sostenitori dei Bitcoin sostengono però che analisi di questo tipo non sono abbastanza granulari. Ripetiamo perciò i calcoli per la sola Cina, tenendo conto di dove si collocano i miners cinesi. Il 65% della percentuale di produzione mondiale di hashrate [17] corrispondente a circa 49 TWh. I miners cinesi si concentrano (o meglio: si concentravano ai tempi di quest'articolo, vista la migrazione del 2021) principalmente in quattro regioni: Xinjiiang, Sichuan, Nei Mongol e Yunnan [17]. Considerate le vaste differenze geografiche all'interno del territorio cinese, la produzione di energia nelle regioni sud-occidentali (dove si concentrano la maggior parte delle montagne e dei fiumi) è molto diversa da quella delle altre province [9], [18], [19], [20]:

Struttura energetica cinese

In queste quattro regioni ci concentra circa il 90% del mining cinese, quindi possiamo considerarle rappresentative dell'impronta ecologica della Cina. Si vede subito come due di queste regioni abbiamo un'altissima percentuale di energie rinnovabili (Sichuan e Yunnan) mentre le altre due utilizzano ancora principalmente combustibili fossili. Questa analisi (più granulare di quella svolta sopra) permette di calcolare la carbon footprint dei minatori cinesi in modo più accurato. Tenendo conto della distribuzione dei minatori in queste regioni si ha [17]:

Nr.RegioneHashrate [% World]Bitcoin [TWh]Renewable [%]Coal CO2[Mt]Idro CO2[Mt]CO2Totale [Mt]
1Xinjiiang36%2710%190,0619,06
2Sichuan10%883%1,10,161,26
3Nei Mongol8%610%4,40,014,41
4Yunnan5%487%0,40,080,48

Da cui si ottiene che l'emissione attuale dovuta al mining cinese è pari a circa 27 milioni di tonnellate di CO2 (perché i dati in tabella coprono solo il 90% della Cina). Se assumiamo che anche i minatori "non cinesi" si procaccino l'energia elettrica in modo simile, ovvero se estrapoliamo questo risultato a livello mondiale, otteniamo un'emissione equivalente di 42 milioni di tonnellate di CO2.

Ma, secondo i sostenitori dei Bitcoin, neppure quest'analisi è corretta, perché i minatori cinesi non stanno fermi, ma si muovono da una regione all'altra in modo stagionale. Durante la stagione delle piogge si spostano dove l'energia idroelettrica costa meno, e viceversa [10]. Per cui l'affermazione "il 36% dei Bitcoin cinesi è prodotto in Xinjiiang" sarebbe vera solo 6 mesi l'anno, mentre per gli altri 6 mesi si dovrebbe assumere che "il 36% dei Bitcoin cinesi è prodotto in Sichuan e Yunnan".

Questo assunto sembra convincente perché farebbe coincidere i dati con quelli presentati sia dai detrattori dei Bitcoin [3], sia dai sostenitori [25]. Ne segue che circa il 70% dell'energia consumata dai miners cinesi dovrebbe provenire da fonti rinnovabili, da cui si ottiene (per la sola Cina):

Nr.EnergiaHashrateBitcoin [TWh]CO2/Energia [t/GWh]CO2 [Mt]
1Fossile30%156009
2Idroelettrica50%25240,6
3Geotermica20%10380,4

Pari a soli 10 milioni di tonnellate di CO2, che se estrapolate a livello mondiale corrispondono a circa 15 milioni di tonnellate di CO2 (sempre equivalente). Possiamo quindi concludere che:

  1. Stimare la quantità di CO2 prodotta dalla rete Bitcoin non è affatto facile, perché non tutti i dati sono noti. Quindi si deve procedere a tentoni (i.e. azzardando stime) e questo lascia spazio di manovra per aggiustare i dati a proprio comodo. Abbiamo infatti trovato stime che vanno dai 15 ai 42 milioni di tonnellate, per un valore medio di circa 30 milioni di tonnellate di CO2
  2. Assumendo come valore di riferimento i 30 milioni indicati come valore medio della nostra analisi, e confrontandolo con i 37 miliardi di tonnellate emesse a livello mondiale, si ottiene che i Bitcoin contribuiscono allo 0,08% dell'emissione totale. Questo valore scende a 0,04% se assumiamo corrette le stime dei sostenitori della criptovaluta (ovvero una penetrazione del 70% di energie rinnovabili)
  3. Anche in questo caso non è facile capire chi abbia ragione, perché la questione rimane piuttosto soggettiva. Possiamo solo sbilanciarci a dire che coloro che attribuiscono ai Bitcoin la colpa del riscaldamento globale stanno un po' esagerando, perché - anche assumendo le stime peggiori - il consumo della rete Bitcoin resta inferiore allo 0,1% delle emissioni mondiali (meno di una parte su mille)

Bitcoin o alluminio?

Le discussioni sul presunto spreco di energia e sul tipo di energia permettono di affrontare un altro argomento: se decidessimo di rinunciare ai Bitcoin, cosa accadrebbe all'energia "risparmiata"? Come potrebbe essere impiegata? Potremmo scegliere come/dove impiegarla, o andrebbe sprecata?

Ovviamente in questo caso non possiamo discutere dati concreti, ma solo azzardare ipotesi. Ipotesi che comunque hanno validità storica, perché negli ultimi decenni la maggior parte delle località caratterizzate ad un esubero energetico si sono specializzate nella produzione di alluminio. Il motivo è semplice: siccome trasportare l'energia elettrica non è possibile (o non conveniente), là dove esiste un surplus energetico si preferisce convertire l'energia in qualcosa di trasportabile (e quindi commerciabile) che sia sconveniente produrre altrove: l'alluminio soddisfa tutti questi requisiti.

Produrre alluminio consuma infatti parecchia elettricità, ovvero circa 14.000 KWh per una tonnellata, per cui la sua produzione risulta conveniente solo in quelle regioni dove vi è un esubero energetico. L'impronta al carbonio della produzione dell'alluminio dipende da molti fattori: qualità della fabbrica, tecnologie impiegate, mix energetico locale ecc. Possiamo però assumere che produrre una tonnellata di alluminio produca circa 6 tonnellate di CO2 equivalente [26].

Possiamo così stimare cosa accadrebbe se venisse interrotto il mining di Bitcoin: i produttori di energia in esubero non potrebbero né venderla né trasportarla, perciò probabilmente cercherebbero di monetizzare il surplus di energia. Storicamente ciò suggerisce che sceglierebbero di produrre alluminio. Convertendo i 75 TwH di energia attualmente assorbiti dalla rete Bitcoin in alluminio si avrebbe una produzione di circa 5 milioni di tonnellate di alluminio, pari a circa 30 milioni di tonnellate di CO2. Questi valori sono compatibili con un rapporto di conversione pari a 14 MWh/t [25].

Questo valore considera solo il processo di produzione, e non la raccolta/trasporto dei materiali. Per produrre una tonnellata di alluminio servono infatti 4 tonnellate di bauxite e mezza tonnellata di elettrodi (oltre ai 14.000 KWh di energia).

Il fatto che l'emissione di alluminio sia identica a quella del mining non è un caso: le emissioni di CO2 di entrambi i processi sono praticamente trascurabili, per cui il contributo principale di gas serra è quello dovuto al processo a monte, ovvero alla produzione di energia. Perciò, se l'energia è la stessa, è naturale che anche la quantità di CO2 sia la stessa.

Questo ragionamento assume che l'alluminio sia prodotto con lo stesso mix energetico dei Bitcoin, il quale è "più verde" della media mondiale. Se l'alluminio venisse prodotto con un mix generico, si avrebbero 0.6 Mt di CO2 per ogni TWh [26]. In tal caso la produzione di alluminio di 75 TWh sarebbe pari a 45 milioni di tonnellate di CO2.

Conclusione: la conversione da Bitcoin ad alluminio cambierebbe solo come viene utilizzata l'energia, ma non avrebbe alcun miglioramento sull'emissione di gas serra.

Per correttezza osserviamo che questo ragionamento non tiene conto del fatto che che l'alluminio, oltre che prodotto, va poi trasportato, lavorato e riciclato. Perciò, se andassimo a conteggiare tutte le emissioni di CO2 associate al ciclo di vita dell'alluminio, quasi sicuramente l'ago della bilancia finirebbe col pendere a favore dei Bitcoin.

Confronto con Visa

Vediamo adesso il confronto tra l'impronta ecologica di una transazione Bitcoin e una transazione Visa. Come accennato sopra confrontare queste due entità ha poco senso, perché è come comparare mele con pere. Perciò, invece di fare un confronto tra transazioni, andiamo a confrontare il consumo energetico delle due infrastrutture: solo in questo modo possiamo infatti confrontare cose simili tra loro.

Abbiamo stimato il consumo annuale della rete Bitcoin a circa 75 TWh annuali (alla data di questo articolo), pari ad un'emissione di circa 30 tonnellate di CO2. Proviamo adesso a stimare il fabbisogno energetico della tecnologia alternativa, ovvero del sistema bancario mondiale.

Premessa: si potrebbe obbiettare che non è corretto confrontare una singola criptovaluta (il Bitcoin) con l'intero sistema bancario, ma si dovrebbe bensì confrontare una criptovaluta con una singola moneta fiat (esempio: il dollaro). Chiariremo questo punto più avanti: per adesso cerchiamo di stimare l'impatto ambientale globale delle banche.

Un studio recente indica questi valori per i consumi energetici delle banche [4]:

  1. Estrazione dell'oro: 58 milioni di tonnellate di CO2
  2. Banconote/ATM: 7 milioni di tonnellate di CO2
  3. Banche: 390 milioni di tonnellate di CO2

Il valore di 7 milioni di tonnellate per le banconote/ATM è compatibile con quello di uno studio italiano [3] secondo il quale il carbon footprint annuale di banconote e punti ATM in Euro zona (nel 2020) è pari a 480.000 tonnellate di CO2. Estrapolando da questo dato l'impatto globale su scala mondiale, si ottiene una stima pari a circa 5-6 milioni di tonnellate di CO2.

Secondo altre stime l'estrazione dell'oro consumerebbe invece 240 TWh, pari a circa 90 milioni di tonnellate di CO2. Molti sostenitori dei Bitcoin tendono a sommare l'impatto ecologico dell'estrazione dell'oro a quello del sistema bancario, ma noi preferiamo non farlo, per rispettare il punto di vista di chi sostiene che il sistema bancario può funzionare in modo indipendente dall'estrazione dell'oro.

Altri studi attribuiscono al sistema bancario un consumo di circa 263 TWh annuali, pari a circa 100 milioni di tonnellate di CO2 [22]. Mediando tra queste diverse stime e mettendo tutto assieme si ottiene un'emissione totale dell'attuale sistema monetario pari a minimo 300 milioni di tonnellate di CO2. Questo senza contare che l'importanza di monete come il dollaro è legata al prezzo del petrolio, il quale a sua volta dipende dall'utilizzo di forze governative, politiche, diplomatiche e militari per garantire il controllo delle zone di estrazione. Alcuni sostenitori dei Bitcoin tendono ad aggiungere anche queste spese all'impatto del sistema bancario, ma in questa sede preferiamo non farlo, sempre per evitare le argomentazioni soggettive (come nel caso dell'oro).

Come risultato, anche non tenendo conto di fattori "soggettivi" (estrazione dell'oro, spese governative, forze militari ecc.) il sistema bancario impatta l'ambiente almeno 10 volte più delle rete Bitcoin. Questo è un risultato oggettivo, che non può essere messo in discussione. Quello che invece resta opinabile è se questo numero sia giustificato o meno. Qui si entra - ancora una volta - nella sfera soggettiva, dove la risposta dipende dalla propria posizione ideologica.

Secondo i sostenitori dei Bitcoin questo risultato suggerisce che le criptovalute siano una soluzione al problema ambientale, sia perché spingono verso le fonti di energia rinnovabile, sia perché l'adozione della blockchain su larga scala potrebbe ridurre quasi a zero le emissioni di gas serra [24]. I detrattori sostengono invece che le criptovalute non potranno mai rimpiazzare il sistema bancario, per cui sono solamente uno spreco di energia.

Date le finalità di questo articolo a noi non interessa dire chi avrà ragione su lungo termine, ma possiamo confermare il fatto che la rete Bitcoin è almeno 10 volte più ecologica del vigente sistema bancario.

Dollaro contro Bitcoin?

Nella sezione precedente abbiamo visto come il sistema bancario mondiale consuma minimo 10 volte l'energia utilizzata dalla rete Bitcoin. Alcuni detrattori dei Bitcoin potrebbero obbiettare che tale analisi non ha senso, perché stiamo confrontando l'energia richiesta da una singola criptovaluta con l'energia richiesta dall'intero sistema bancario, il quale permette di far funzionare tutte le monete fiat. Da questo punto di vista sarebbe più corretto confrontare il consumo del sistema bancario con quello di tutte le criptovalute: Bitcoin e Altcoin.

Ancora una volta la questione non può essere discussa in modo razionale, perché ogni persona ha un'opinione a priori sull'argomento. Chi è contrario ai Bitcoin tende a mettere tutte le criptovalute nello stesso calderone, come se fossero "alleate" tra loro, e conseguentemente vede solo due attori in gara: da una parte il vigente sistema bancario, dall'altra parte il mondo delle criptovalute (Bitcoin e Altcoin).

Chi invece supporta la rivoluzione decentrata teorizzata da Satoshi Nakamoto percepisce due diversi schieramenti: da una parte c'è il Bitcoin, dall'altra parte ci sono le banche e le "shitcoin". Secondo questo punto di vista il Bitcoin sarebbe addirittura la soluzione al problema energetico. Esistono infatti modelli scientifici secondo i quali la diffusione del Bitcoin spingerebbe lo sviluppo della blockchain (come side effect), che a sua volta permetterebbe di rimpiazzare tutti i sistemi di certificazione, i databasi centralizzati, gli studi notarili ecc. [24].

Ecco perché ci limitiamo a stimare il consumo della rete Bitcoin e quello del sistema bancario, senza considerare le Altcoin. A nostro parere sarebbe inutile stimare anche il consumo energetico delle Altcoin, perché poi dovremmo schierarci da una parte o dall'altra, ovvero decidere se tale consumo va sommato a quello del sistema bancario oppure a quello della rete Bitcoin. E ciò farebbe venire meno l'imparzialità dell'intera analisi.

Consumo a regime

Col passare del tempo l'energia consumata dall'attuale sistema bancario è destinata a crescere, perché le dimensioni dell'infrastruttura crescono proporzionalmente al numero di utilizzatori e di transazioni. Al contrario, il consumo delle rete Bitcoin è destinato a diminuire entro un paio di decenni. Vediamo perché.

Il primo motivo è che - per effetto dell'halving - i profitti dei minatori sono destinati a diminuire nel tempo, per cui prima o poi produrre Bitcoin non sarà più conveniente. Questo non significa che la rete cesserà di esistere, perché si potrà sempre guadagnare qualcosa dalle commissioni, ma l'esaurimento del processo di "estrazione" renderà sicuramente meno remunerativa l'attività di mining.

Il secondo motivo - forse il più importante - è la diffusione delle soluzioni di "layer 2", tra cui spicca Lightining Network. Per capire cosa si intende per soluzione di layer 2 facciamo un esempio col sistema bancario.

Consideriamo il caso di un bonifico di 1.000€ dalla banca A alla banca B. Una transazione di questo tipo non implica che un impiegato della banca A scende nel caveau della banca A, apre la cassaforte, prende 1.000€, li carica su un furgone blindato, consegna al conducente l'indirizzo della banca B, ecc. La transazione avviene semplicemente attraverso una movimentazione digitale: l'unica cosa che si "sposta" sono i bit scritti in qualche database.

In questo caso, il denaro in contanti, il caveau della banca ecc. sono il "layer 1", ovvero le "fondamenta" su cui è edificato il sistema di pagamento. Sopra questo livello agiscono layer di livello superiore, che permettono transazioni più semplici e veloci, senza la necessità di movimentare denaro fisico. I layer superiori di una banca sono i conti correnti digitali, le carte di credito o debito, il banking online e così via.

You Tube (preview)
Marco Amadori spiega Lightining Network

Allo stesso modo, la blockchain rappresenta il "layer 1" del sistema Bitcoin. Sopra questo layer esistono soluzioni di "layer 2", tra cui appunto Lightining Network, che permette agli utenti di effettuare pagamenti senza scatenare una transazione "fisica" sulla blockchain. Ciò permette di inviare o ricevere Bitcoin al solo costo della trasmissione dati, ovvero con la stessa velocità e leggerezza con cui mandiamo un messaggio WhatsApp. Questa tecnologia abbatte drasticamente sia l'impatto ambientale di una transazione, sia il tempo di attesa della conferma del pagamento (ovviamente riduce anche le commissioni sulla transazione).

Conclusioni

Dopo aver analizzato la questione, e fatto i nostri calcoli, possiamo trarre alcune conclusioni:

Errori dei detrattori

  1. Confronti assoluti: in generale ha poco senso valutare una cifra in termini assoluti. Se diciamo che un autobus emette 10 volte più CO2 di un'autovettura, apparentemente stiamo facendo un confronto relativo, perché stiamo confrontando le emissioni dell'autobus rispetto a quelle di un'automobile. In realtà il confronto è assoluto, perché non abbiamo diviso le emissioni per il numero dei passeggeri. I detrattori dei Bitcoin fanno proprio questo errore: affermano che "i Bitcoin consumano più energia dell'Austria" senza confrontare questa cifra con quella delle alternative ai Bitcoin. Pubblicare notizie in questo modo è una forma di terrorismo psicologico, che probabilmente mira solo ad acchiappare click con titoli sensazionalistici.
  2. Informazione parziale: affermare che decine di TWh vengono "sprecati" per produrre Bitcoin, senza spiegare in quale altro modo potrebbe essere utilizzata tale energia, è come dire che un pannello solare "consuma" l'energia che arriva dal Sole, senza dire che la tale luce andrebbe altrimenti sprecata. Come abbiamo visto, se non esistessero i Bitcoin, il mercato suggerisce che l'esubero di energia prodotto nelle località a bassa densità demografica verrebbe usato comunque, e con un impatto ambientale peggiore di quello dei Bitcoin.
  3. Calcoli errati: anche utilizzando le stime più pessimistiche sulle emissioni di CO2 attribuibili alla rete Bitcoin, abbiamo visto come tali emissioni siano pari a meno dello 0.1% delle emissioni totali. Perciò non ha senso affermare che "I Bitcoin sono responsabili dell'effetto serra" o che "porteranno alla fine del mondo in pochi anni".
  4. Estrapolazione lineare: il consumo di energia delle rete Bitcoin non è proporzionale al numero di utilizzatori né al trascorrere del tempo, quindi è sbagliato fare proiezioni del tipo "se oggi lo usano in 10 e consuma 100, quando lo useremo in 100 consumerà 1.000". L'unico fattore che può far aumentare il numero di miners è il prezzo del Bitcoin, che guida il mercato stabilendo dove conviene andare a minare Bitcoin (ovvero: là dove l'energia elettrica costa meno). Il consumo della rete resterà stabile, o addirittura andrà diminuendo nel tempo.

    Vediamo un esempio di quanto siano sbagliate queste stime. In questo articolo un tale Daniel Shane affermava, nel 2017, che "Without a significant change in how transactions are processed, bitcoin could be consuming enough electricity to power the U.S. by the middle of 2019".

  5. Non servono a nulla: questo è l'errore più banale, perché la maggior parte delle riserve di valore non hanno utilità pratica. I Bitcoin sono una forma di oro digitale, proprio perché difficili da produrre e progettati per essere scarsi. La loro utilità è quindi un fattore soggettivo, che viene determinato dal numero di persone che gli attribuiscono valore (ovvero dalla legge di mercato) e non può essere usato come argomentazione.

Errori dei sostenitori

  1. La "Proof of Work" non è uno spreco: è lo stesso tipo di errore che fanno i detrattori quando dicono che "i Bitcoin non servono a nulla". Chi ha compreso il meccanismo di consenso utilizzato dalla blockchain converrà che l'energia spesa per la Proof of Work è spesa bene, perché garantisce la sicurezza della rete e permette di trasformare energia in denaro nel modo meno inquinante possibile. Ma questo è un ragionamento che può convincere solo chi ha già deciso di simpatizzare per i Bitcoin, quindi non può essere usato come argomentazione. Chi li reputa inutili a priori, considera giustamente inutile anche la Proof of Work.
  2. Consumano meno di altre cose: anche se è vero che i Bitcoin consumano meno energia del sistema bancario, meno dell'estrazione dell'oro e meno dei dispositivi lasciati accesi per pigrizia, risposte di questo tipo vengono percepite come argomenti fantoccio. Se una persona è contraria alla pena di morte per iniezione letale, è inutile dirgli che "la sedia elettrica sarebbe peggio". Allo stesso modo, coloro che credono che i Bitcoin siano dannosi per l'ambiente non possono essere spinti a cambiare idea dicendogli che le altre tecnologie sono peggiori. Le persone che vedono i Bitcoin solo come una moda speculativa (o un sistema di riciclaggio del denaro) non potranno mai essere convinte facendo del benaltrismo.

In conclusione, le ragioni dei sostenitori sembrano più convincenti di quelle dei detrattori, perciò - se dovessimo tralasciare le sfumature della discussione e dare una risposta netta - diremmo che:

L'attività di mining dei Bitcoin non è dannosa per l'ambiente
Per la precisione: è quasi sempre meno dannosa delle attività alternative (a parità di energia e collocazione geografica)

I sostenitori dei Bitcoin meritano comunque una tirata di orecchie. Per arrivare a questa conclusione abbiamo dovuto leggere oltre 200 pagine di documentazione tecnica, spulciare le fonti e fare diversi calcoli. Questo soprattutto per colpa dei simpatizzanti dei Bitcoin, che sostengono il loro punto di vista parlando di Proof of Work, penetrazione energetica, fonti rinnovabili, natural gas venting e sistema bancario, quando basterebbe fare un semplice studio

  1. Identificare le zone dove vengono minati la maggior parte dei Bitcoin
  2. Recuperare i dati dell'impatto ambientale (nelle zone identificate al punto 1) delle attività industriali prima della conversione al mining di Bitcoin (esempio: produzione di alluminio? spreco di energia?)
  3. Confrontare, per ogni località identificata al punto 1, l'impatto ambientale delle attività alternative ai Bitcoin (identificate al punto 2) con quella di mining

A nostro parere un'analisi di questo tipo metterebbe a tacere ogmi discussione, perché si avrebbe la prova oggettiva (anziché soggettiva) che minare Bitcoin è il modo più efficiente di monetizzare l'energia in esubero, con il minor impatto ambientale. Dimostrare questa affermazione significherebbe dimostrare una volta per tutte che produrre Bitcoin è utile all'ambiente, indifferentemente dalle diverse posizioni ideologiche.

Per dovere di cronaca ribadiamo che, per quanto tale risultato sia abbastanza plausibile (perché avvalorato da precedenti storici) non ci risulta che sia mai stato dimostrato scientificamente. I sostenitori dei Bitcoin dovrebbero quindi investire energie in tal direzione, visto che esistono anche scenari (vedi esempio del lago Seneca) in cui la conversione verso il mining ha peggiorato la situazione locale.